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Società di comodo: lavori di ristrutturazione bastano?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18581/2024, ha stabilito che un’impresa non è considerata una società di comodo se può dimostrare che i bassi ricavi sono dovuti a situazioni oggettive, come importanti lavori di ristrutturazione. La Corte ha chiarito che non è obbligatorio presentare un interpello preventivo per far valere tali ragioni in sede giudiziaria. La prova di un’impossibilità oggettiva a produrre reddito, dovuta a interventi strutturali necessari per la sicurezza, è sufficiente per vincere la presunzione legale di non operatività.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: la prova contraria vince anche senza interpello

La disciplina sulla società di comodo rappresenta uno strumento cruciale per l’amministrazione finanziaria nella lotta all’elusione fiscale. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Un’importante ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito che la presunzione di non operatività può essere superata se l’azienda dimostra l’esistenza di situazioni oggettive che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi, come nel caso di estesi lavori di ristrutturazione. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.

I fatti del caso

Una società proprietaria di una struttura alberghiera riceveva due avvisi di accertamento per annualità consecutive. L’Agenzia delle Entrate contestava alla società lo status di “non operativa” ai sensi della normativa sulla società di comodo, avendo dichiarato ricavi significativamente inferiori a quelli presunti dalla legge. Di conseguenza, il Fisco procedeva a determinare un reddito minimo imponibile e a richiedere il pagamento delle maggiori imposte.

La società impugnava gli atti, sostenendo che i bassi ricavi erano giustificati da una situazione oggettiva e straordinaria: l’immobile era stato interessato da imponenti e fondamentali lavori di ristrutturazione e messa in sicurezza che avevano reso di fatto impossibile l’esercizio dell’attività alberghiera se non in forma minima. Parte della struttura era stata concessa in affitto a terzi per un canone definito “irrisorio”, proprio a causa delle condizioni dell’immobile.

La normativa sulla società di comodo

La legge istituisce una presunzione legale: una società si considera “di comodo” o “non operativa” se l’ammontare dei ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi è inferiore a una soglia minima, calcolata applicando determinati coefficienti al valore degli asset patrimoniali. L’obiettivo è colpire quelle entità create al solo scopo di detenere beni (come immobili o partecipazioni) per conto dei soci, senza svolgere una reale attività d’impresa, beneficiando indebitamente di vantaggi fiscali.

La normativa, tuttavia, non è assoluta. Prevede la possibilità per il contribuente di fornire la “prova contraria”, dimostrando l’esistenza di “oggettive situazioni” che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi presunti. Una delle vie previste è l’interpello disapplicativo, ma, come vedremo, non è l’unica.

Le decisioni nei gradi di merito

In primo grado, i giudici davano ragione all’Agenzia delle Entrate, ritenendo insufficienti le prove fornite dalla società. La Commissione tributaria di secondo grado, invece, ribaltava la decisione. Accoglieva l’appello della società, valorizzando la documentazione prodotta (fatture e relazioni) che attestava l’esecuzione di “importanti e fondamentali lavori di ristrutturazione” negli anni contestati. Tali lavori, finalizzati alla messa in sicurezza dell’edificio (adeguamento della rete fognaria, installazione di ascensori, porte tagliafuoco, impianti antincendio), avevano reso la struttura oggettivamente inagibile per gran parte della sua capacità, giustificando così la drastica riduzione dei ricavi. Contro questa decisione, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulla società di comodo

La Corte Suprema ha rigettato i ricorsi dell’Agenzia delle Entrate, confermando la decisione di secondo grado e fornendo chiarimenti fondamentali. I giudici hanno sottolineato i seguenti principi:

1. La prova contraria in giudizio: La possibilità per il contribuente di superare la presunzione di non operatività non è subordinata alla presentazione di un interpello preventivo. L’interpello non è una condizione di procedibilità né limita la tutela giurisdizionale. Il contribuente ha sempre la facoltà di dimostrare direttamente in sede di contenzioso, senza preclusioni, la sussistenza delle condizioni oggettive che giustificano la disapplicazione della norma.

2. La natura delle situazioni oggettive: I lavori di ristrutturazione, quando sono estesi, necessari e funzionali a rispettare le norme di sicurezza e igiene, costituiscono una valida situazione oggettiva. Se tali interventi impediscono di fatto lo svolgimento dell’attività economica o la limitano a una porzione minima dell’immobile, la società non può essere considerata “di comodo”. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che l’albergo, durante i lavori, non potesse ospitare clienti senza violare norme fondamentali, rendendo quindi impossibile la produzione di un reddito adeguato.

3. Irrilevanza dell’attività svolta: La Cassazione ha ritenuto irrilevante la distinzione, sollevata dal Fisco, tra gestione alberghiera e gestione immobiliare (l’affitto a terzi). L’elemento cruciale è l’oggettiva impossibilità di utilizzare il bene per produrre reddito a causa di fattori straordinari e non imputabili a scelte antieconomiche dell’imprenditore. L’affitto a un canone “irrisorio” era una conseguenza diretta dello stato dell’immobile e non un indice di elusione.

Conclusioni

L’ordinanza in commento rafforza un principio di equità e ragionevolezza nell’applicazione della disciplina sulla società di comodo. Conferma che il contribuente ha il diritto di difendersi in giudizio portando prove concrete che dimostrino le difficoltà oggettive incontrate nell’esercizio dell’attività. Le imprese che affrontano periodi di crisi, ristrutturazioni necessarie o altre circostanze straordinarie che impattano sui ricavi, possono legittimamente contrastare la presunzione di non operatività, a patto di poter documentare in modo rigoroso le cause che hanno impedito il raggiungimento delle soglie di legge. La via giudiziaria resta pienamente percorribile, anche in assenza di un preventivo interpello all’Agenzia delle Entrate.

Una società con ricavi inferiori alla soglia minima di legge è automaticamente considerata una “società di comodo”?
No. La legge prevede una presunzione legale relativa, non assoluta. La società può fornire la prova contraria dimostrando che i bassi ricavi sono dipesi da situazioni oggettive che hanno reso impossibile il conseguimento del reddito minimo presunto.

È obbligatorio presentare un interpello preventivo per disapplicare la normativa sulle società di comodo?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’interpello non è una condizione necessaria per la tutela in giudizio. Il contribuente può dimostrare direttamente davanti al giudice l’esistenza di cause di giustificazione, anche se non ha presentato un’istanza di interpello o se questa è stata respinta.

Dei lavori di ristrutturazione possono essere considerati una causa oggettiva per superare la presunzione di non operatività?
Sì. Se i lavori di ristrutturazione sono di notevole entità, necessari (ad esempio per l’adeguamento a norme di sicurezza) e impediscono di fatto lo svolgimento dell’attività economica o la limitano in modo significativo, costituiscono una valida situazione oggettiva che giustifica i bassi ricavi e permette di superare la presunzione di essere una società di comodo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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