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Società di comodo: la prova per evitarla

Una società, accusata dal Fisco di essere una società di comodo a causa di un immobile incompiuto e non redditizio, ha vinto il suo ricorso. La Corte di Cassazione ha confermato che per superare la presunzione è sufficiente dimostrare difficoltà oggettive di mercato che hanno impedito la redditività, senza che sia necessaria una prova di impossibilità assoluta. L’appello dell’Amministrazione Finanziaria è stato quindi dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: La Prova delle Difficoltà Oggettive è Sufficiente

La disciplina sulla società di comodo rappresenta uno degli strumenti più incisivi a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’uso di entità societarie al solo fine di gestire patrimoni privati, eludendo la tassazione. Tuttavia, la legge prevede delle cause di esclusione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito la natura e la portata della prova che il contribuente deve fornire per dimostrare di non essere una società di comodo, focalizzandosi sul concetto di ‘impossibilità relativa’ di produrre reddito.

I Fatti del Caso: La Contestazione dell’Agenzia delle Entrate

Una società a responsabilità limitata si è vista notificare una cartella di pagamento per maggiore IRES dovuta. La pretesa del Fisco nasceva dal disconoscimento di perdite registrate da una sua società controllata. Quest’ultima era stata qualificata come società di comodo ai sensi dell’art. 30 della L. n. 724/1994, in quanto non aveva raggiunto i ricavi minimi presunti dalla legge. La causa di questa scarsa redditività era riconducibile al fatto che l’unico immobile di proprietà della società controllata era rimasto incompiuto.

La contribuente ha impugnato la cartella, sostenendo che la mancata redditività non derivava da una scelta volontaria, ma da oggettive difficoltà nel reperire partner imprenditoriali e finanziamenti necessari per completare l’immobile e avviare l’attività economica. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno dato ragione alla società, annullando la pretesa fiscale. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione.

La Disciplina sulla società di comodo e la Prova Contraria

La normativa sulle società di comodo presume che una società sia non operativa se non supera un test di ricavi minimi, calcolati in percentuale sul valore dei suoi asset. Lo scopo è colpire quelle strutture create per intestare beni (immobili, barche, partecipazioni) a una società per godere di un regime fiscale più favorevole rispetto a quello delle persone fisiche.

Tuttavia, la legge stessa (art. 30, comma 4-bis) consente al contribuente di superare questa presunzione fornendo la ‘prova contraria’, ovvero dimostrando l’esistenza di ‘circostanze oggettive’ che hanno impedito il raggiungimento della soglia di redditività. L’onere probatorio ricade interamente sul contribuente, che deve dimostrare che la sua inattività o scarsa redditività è dovuta a fattori esterni e non a una sua scelta.

Il Principio della ‘Redditività Relativa’

Il punto centrale della decisione della Cassazione è la corretta interpretazione del concetto di ‘impossibilità’ di conseguire reddito. L’Ufficio sosteneva che la società non avesse fornito una prova rigorosa di tale impossibilità, ma solo elementi ambigui. La Corte ha respinto questa visione, richiamando un suo precedente orientamento (Ord. n. 16472/2022) e affermando un principio cruciale: l’impossibilità non deve essere intesa in senso assoluto.

Una lettura assolutistica porterebbe alla conclusione che ‘nulla è impossibile’, vanificando la norma sulla prova contraria. Al contrario, il concetto va inteso in senso relativo: occorre valutare le ‘comprovate difficoltà tenute presenti le condizioni di mercato in cui la contribuente si trova ad operare’.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. I giudici di legittimità hanno ritenuto che la valutazione delle prove fornite dalla società (relative alle difficoltà nel reperire finanziamenti e collaborazioni per completare l’immobile) costituisse un ‘giudizio di merito’ incensurabile in sede di cassazione, in quanto la motivazione della sentenza d’appello era congrua e logicamente coerente.

La Commissione Tributaria Regionale aveva correttamente valutato che la documentazione prodotta dalla società era sufficiente a escludere ‘la concorrenza della volontà degli organi sociali di lasciare l’immobile incompleto’. In altre parole, la società aveva adeguatamente provato che il mancato completamento dell’edificio, e la conseguente assenza di reddito, non erano frutto di una ‘scelta di comodo’, bensì di ostacoli oggettivi e concreti. L’impossibilità di raggiungere una normale redditività è stata quindi correttamente interpretata come una difficoltà relativa, legata alle specifiche condizioni di mercato che la società si trovava ad affrontare.

Le conclusioni

Questa ordinanza rafforza un importante principio a tutela del contribuente. Per evitare la penalizzante qualifica di società di comodo, non è necessario dimostrare un evento eccezionale o una forza maggiore che ha impedito l’attività. È invece sufficiente fornire una prova concreta e circostanziata delle difficoltà oggettive, legate al contesto economico e di mercato, che hanno reso impossibile o estremamente difficile il raggiungimento dei ricavi minimi. La decisione sottolinea come il giudizio debba basarsi sulla sostanza economica dei fatti e non su una rigida applicazione formale della presunzione legale, offrendo alle imprese uno strumento di difesa più realistico ed efficace.

Come può una società evitare di essere classificata come ‘società di comodo’?
Secondo la sentenza, una società può evitare tale classificazione dimostrando, con prove concrete, l’esistenza di situazioni oggettive che le hanno impedito di raggiungere la soglia di ricavi o redditività prevista dalla legge, e che tali situazioni sono estranee alla volontà dei suoi organi sociali.

Che tipo di prova è considerata sufficiente per superare la presunzione di ‘società di comodo’?
Non è richiesta la prova di un’impossibilità assoluta a produrre reddito. È sufficiente dimostrare l’esistenza di difficoltà oggettive e rilevanti, valutate in relazione alle condizioni di mercato in cui la società opera. Nel caso specifico, la difficoltà nel reperire finanziamenti e partner commerciali è stata ritenuta una prova adeguata.

L’incompiutezza di un immobile è di per sé una circostanza ambigua che non esclude la qualifica di società di comodo?
No. La Corte ha stabilito che, sebbene l’incompiutezza possa apparire ambigua, non lo è più se il contribuente fornisce la prova che tale stato non deriva da una scelta volontaria, ma da ostacoli oggettivi, come quelli incontrati sul mercato per il rilancio dell’attività economica legata all’immobile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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