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Società di comodo: la prova per disapplicare le norme

Un’ordinanza della Corte di Cassazione affronta il caso di una società immobiliare ritenuta ‘di comodo’ dall’Agenzia delle Entrate. La Corte ha cassato con rinvio la sentenza di secondo grado che aveva accolto le giustificazioni della società, basate su difficoltà oggettive come lo stato fatiscente degli immobili e problemi burocratici. Secondo la Cassazione, per superare la presunzione di non operatività, non basta allegare delle difficoltà, ma occorre una prova rigorosa che dimostri come situazioni oggettive, concrete e indipendenti dalla volontà imprenditoriale abbiano reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi, tenendo conto delle effettive condizioni di mercato. La Corte ha quindi rinviato il caso per un esame più approfondito delle prove.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Comodo: Come Dimostrare l’Impossibilità di Produrre Reddito

La disciplina sulla società di comodo rappresenta uno strumento cruciale per l’amministrazione finanziaria nella lotta all’elusione fiscale. Tuttavia, cosa accade quando una società non raggiunge i ricavi minimi a causa di reali impedimenti oggettivi? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sull’onere della prova che grava sul contribuente, stabilendo criteri rigorosi per dimostrare l’impossibilità di produrre reddito e disapplicare così la normativa penalizzante.

I Fatti: Accertamento Fiscale e la Difesa della Società

Il caso ha origine da due avvisi di accertamento per IRES e IRAP emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società immobiliare in liquidazione per gli anni d’imposta 2013 e 2014. L’Ufficio contestava alla società lo status di ‘non operativa’ o ‘società di comodo‘, applicando il regime fiscale più oneroso previsto dalla legge.

La società si è opposta agli accertamenti, sostenendo l’esistenza di ‘oggettivi impedimenti’ che avevano reso impossibile la produzione di reddito. Nello specifico, la contribuente ha evidenziato come gli immobili di sua proprietà fossero fatiscenti e che difficoltà amministrative, legate all’ottenimento di autorizzazioni sanitarie e comunali, avevano bloccato i progetti di ampliamento e adeguamento delle strutture.

Mentre la Commissione Tributaria Provinciale aveva respinto il ricorso, la Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione alla società, ritenendo provate le cause oggettive di impossibilità.

La Disciplina delle Società di Comodo e la Prova Contraria

La legge n. 724/1994 introduce una presunzione legale: si considerano ‘di comodo’ quelle società che non superano un ‘test di operatività’, ovvero non conseguono un ammontare minimo di ricavi e proventi calcolato in percentuale sul valore di determinati beni patrimoniali. L’obiettivo è colpire quelle entità create non per svolgere un’effettiva attività economica, ma per gestire patrimoni privati eludendo la tassazione.

Tuttavia, la stessa legge (art. 30, comma 4-bis) prevede una via d’uscita: la società può chiedere la disapplicazione di queste norme antielusive se dimostra la sussistenza di ‘oggettive situazioni’ che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi. Questa prova può essere fornita sia preventivamente, tramite interpello all’Agenzia delle Entrate, sia successivamente in sede di contenzioso.

La Decisione della Cassazione: Quando la Prova non Basta

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione regionale dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando un’errata applicazione delle norme sull’onere della prova. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza e rinviando la causa a un nuovo esame.

L’Onere della Prova: Oltre la Semplice Affermazione

Il punto centrale della decisione è che, per superare la presunzione di non operatività, non è sufficiente per il contribuente affermare l’esistenza di difficoltà. È necessario fornire una prova rigorosa, dettagliata e concreta. La prova deve dimostrare che il mancato raggiungimento dei ricavi minimi è dipeso da situazioni oggettive, indipendenti dalla volontà dell’imprenditore e legate alle effettive condizioni di mercato.

Il Rinvio al Giudice del Merito

La Cassazione ha ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale avesse motivato la sua decisione in modo insufficiente. Il giudice di secondo grado si era limitato a prendere atto di una perizia che attestava lo stato fatiscente degli immobili e le difficoltà burocratiche, senza però analizzare in profondità se tali ostacoli fossero davvero insormontabili e, soprattutto, non riconducibili a scelte imprenditoriali o a una mancata pianificazione aziendale.

Le Motivazioni della Corte

Nelle sue motivazioni, la Corte ha ribadito principi fondamentali. Innanzitutto, ha chiarito che il contribuente può sempre difendersi in giudizio, anche senza aver prima presentato un interpello. Tuttavia, in tribunale, l’onere probatorio è stringente. Le ‘oggettive situazioni’ devono essere analizzate in termini economici e concreti, con riguardo alle reali condizioni di mercato. Non possono consistere in scelte imprenditoriali, come l’acquisto di beni non redditizi, o in una ‘inettitudine produttiva’ derivante da una totale assenza di pianificazione aziendale. Nel caso specifico, i giudici di legittimità hanno sottolineato che il progetto della società era naufragato perché richiedeva uno sforzo economico molto gravoso. Questo elemento, secondo la Corte, necessita di un approfondimento per capire se si tratti di una causa oggettiva esterna o di una conseguenza di scelte imprenditoriali non ponderate. Pertanto, la semplice esistenza di immobili da ristrutturare e di iter burocratici complessi non basta a giustificare la disapplicazione della normativa sulle società di comodo.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

La pronuncia della Cassazione offre un’importante lezione per tutte le imprese, specialmente quelle del settore immobiliare, che potrebbero trovarsi al di sotto dei parametri di operatività. Per evitare di essere qualificate come società di comodo, non è sufficiente lamentare genericamente la crisi del mercato o difficoltà burocratiche. È indispensabile costruire un solido dossier probatorio che dimostri, in modo inequivocabile, l’esistenza di impedimenti oggettivi, straordinari e non dipendenti da decisioni aziendali, che hanno concretamente reso impossibile il raggiungimento degli obiettivi di reddito. La prova deve essere analitica e collegare le difficoltà specifiche alle effettive condizioni del mercato di riferimento, dimostrando che l’insuccesso non è frutto di inerzia o di scelte strategiche errate.

Una società può difendersi in tribunale dall’accusa di essere una ‘società di comodo’ anche se non ha presentato un interpello disapplicativo all’Agenzia delle Entrate?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la presentazione dell’interpello non è una condizione di procedibilità per la tutela giurisdizionale. Il contribuente può dimostrare direttamente in sede di giudizio la sussistenza delle condizioni oggettive per la disapplicazione della norma antielusiva.

Quale tipo di prova deve fornire una società per dimostrare di non essere una ‘società di comodo’?
La società deve offrire la prova di ‘situazioni oggettive’ concrete, indipendenti dalla sua volontà, che hanno reso impossibile conseguire il reddito presunto. Questa prova non deve essere generica, ma deve essere analizzata in termini economici, con riguardo alle effettive condizioni di mercato, e dimostrare l’erroneità dell’esito del test di operatività o la sussistenza di un’attività imprenditoriale reale.

Le scelte imprenditoriali o la mancanza di pianificazione aziendale possono essere considerate ‘cause oggettive’ per giustificare la mancata produzione di reddito?
No. La Corte ha escluso che possano costituire valide giustificazioni le situazioni derivanti da scelte imprenditoriali (es. l’acquisto di beni non redditizi) o da una totale assenza di pianificazione aziendale o ‘inettitudine produttiva’. Le cause devono essere esterne e non imputabili alla gestione dell’impresa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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