Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23445 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 23445 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/08/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23625/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
13 MAGGIO RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE
-intimata-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. della PUGLIA n. 595/2020 depositata il 02/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito per l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO l’AVV_NOTAIO, che ha concluso come in atti.
Fatti di causa
La contribuente veniva resa destinataria di un avviso di accertamento mediante il quale l’RAGIONE_SOCIALE delle entrate accertava in capo alla società, con riferimento all’anno di imposta 2006, ai sensi dell’art. 30 della L. n. 724 del 1994, un reddito minimo di euro 495.435,87, a fronte di una perdita d’esercizio dichiarata di euro 145.209,00.
La Commissione tributaria provinciale di Taranto, con sentenza n. 24/2013, accoglieva il ricorso della contribuente, annullando l’avviso di accertamento.
La commissione tributaria regionale della Puglia a rigettato l’appello erariale.
Nell’unico motivo di gravame l’RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto la violazione del menzionato art. 30 della L. n. 724 del 1994, evidenziando che la società contribuente era da considerarsi non operativa, non avendo dimostrato che il mancato superamento del cosiddetto ‘test di operatività’ e il mancato conseguimento del reddito minimo era dipeso da oggettive situazioni, non già da cause dipendenti dalla volontà imprenditoriale.
Il ricorso per Cassazione dell’agenzia delle entrate è affidato a tre motivi.
La contribuente è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso la contribuente lamenta la violazione dell’art. 30 della L. n. 724 del 1994 e dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente considerato come situazioni meramente oggettive, rilevanti ai fini della disapplicazione normativa antielusiva sulle cd. ‘società di comodo’, scelte imprenditoriali di carattere soggettivo, facendo malgoverno degli oneri probatori in capo alle parti, non essendo stato l’esercizio dell’attività ostacolato da nessuna causa realmente oggettiva, ma essendo al contrario dipesa l’inattività della società istante dalla mera volontà dell’imprenditore contribuente.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 115, co. 1, c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere i giudici di secondo grado ritenuto oggettive e idonee a rendere impossibile il conseguimento di ricavi alcune circostanze invero inidonee a concretizzare una impossibilità oggettiva.
Con l’ultima censura si contesta la nullità della sentenza per motivazione apparente, in violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. Att. c.p.c., 111, co. 6, Cost.
Il primo motivo di ricorso è fondato, con conseguente assorbimento delle altre due censure.
Come questa Corte ha già affermato, la ratio della disciplina antielusiva e la sua coerenza con il sistema e con l’art. 53 Cost. sono chiaramente desumibili dal fatto che l’art. 30, comma 1, della L. n. 724 del 1994 ha introdotto una presunzione legale relativa in base alla quale una società si considera ‘non operativa’ se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati in conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società (in tal senso, e fra le altre, Cass. n. 9852 del 2018).
La possibilità, offerta al contribuente dal comma 4bis dello stesso articolo, di presentare istanza di interpello chiedendo la disapplicazione delle disposizioni antielusive postula, pertanto, la presenza di situazioni oggettive -ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui al precedente comma 1. Una tale prova contraria, peraltro, appare conforme al principio di proporzionalità, come sottolineato anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 13 marzo 2007, causa C-524/04), secondo la quale una normativa nazionale che si fondi sull’esame di elementi oggettivi e verificabili per stabilire se un’operazione consista in una costruzione di puro artificio ai soli fini fiscali, e quindi elusiva, va considerata come non eccedente quanto necessario per prevenire pratiche abusive, ove il contribuente sia messo in grado, senza oneri eccessivi, di dimostrare le eventuali ragioni commerciali che giustificano detta operazione (al riguardo v. Cass. n. 31626 del 2019; Cass. n. 16204 del 2018).
In forza di queste considerazioni si è così affermato che la prova contraria da parte del contribuente deve risolversi nell’offerta di elementi di fatto consistenti in « situazioni oggettive di carattere straordinario », « indipendenti dalla volontà del contribuente », che rendano « impossibile conseguire il reddito presunto avuto riguardo alle effettive condizioni del mercato » (Cass. n. 36365 del 2021; Cass. n. 4019 del 2019; Cass. n. 16204 del 2018) e che, pertanto, facciano desumere « l’erroneità dell’esito quantitativo del test di operatività, ovvero la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale e, dunque, l’operatività reale della società » (Cass. n. 16472 del 2022).
Poste tali coordinate, va rilevato che l’Amministrazione ha denunziato l’inidoneità dei fatti presi in considerazione dai giudici
d’appello a fondare la valutazione di sussistenza dei presupposti per il superamento della presunzione relativa. La ricorrente, pertanto, ha sollecitato un sindacato sotto la specie della falsa applicazione della norma di diritto evocata, in particolare denunziando un vizio di sussunzione, consistito nella valorizzazione, da parte della sentenza impugnata, di fatti che non potevano giustificare le conseguenze giuridiche che essa ne ha invece tratte, così da erroneamente sussumerli, per l’appunto, sotto la fattispecie ritenuta operante. Un tale sindacato non si traduce nella richiesta di una rivalutazione dei fatti già apprezzati nel giudizio di merito, che in questa sede non sarebbe consentita. Al contrario, e come da tempo afferma la giurisprudenza di questa Corte, fa parte del sindacato di legittimità, riferibile al paradigma di cui all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., il controllare se la fattispecie concreta come ricostruita dal giudice di merito (e, dunque, senza che si debba procederne ad un nuovo apprezzamento) è stata da questi correttamente ricondotta alla fattispecie giuridica astratta individuata come idonea a dettarne la disciplina (v., fra le altre, Cass. n. 21772 del 2019; Cass. n. 13747 del 2018).
Così inquadrato il nucleo della doglianza, va osservato che la C.T.R., individuati i fatti posti a fondamento dell’istanza della contribuente, ne ha ritenuta l’idoneità a vincere la presunzione relativa sul rilievo del fatto che essi rendevano impossibile il conseguimento del volume minimo di ricavi.
La CTR non si è, in realtà, peritata di enucleare la situazione oggettiva che avrebbe impedito l’avvio e/o l’esercizio dell’attività produttiva, limitandosi a valorizzare la mancanza di un’autorizzazione alla stregua di dato cruciale e dirimente nell’economia della decisione.
In buona sostanza, ad assurgere a circostanza esonerativa dall’applicazione della normativa antielusiva richiamata nella
rubrica del mezzo di ricorso è un dato neutro e meramente formale, rappresentato dal ‘mancato rilascio di autorizzazioni amministrative da parte dei VV.FF. e, successivamente, da parte del Comune di Taranto’ . A tale dato, infatti, la CTR affianca una situazione intrinsecamente del tutto generica, rappresentata dalla ‘ grave crisi economica ‘ che ha investito ‘ la città di Taranto, da decenni ormai ‘, portando allo ‘ spopolamento ‘, ad un ‘ tasso di inquinamento dell’aria non più sostenibile, che ha scoraggiato il turismo ed ha allontanato molti cittadini dalla propria città ‘. Il giudice d’appello indugia, poi, approssimativamente su un ulteriore profilo inespressivo e formalistico, quello per cui ‘ la società, costituita nel 1998, aveva per oggetto, proprio, la gestione di attività turistiche ed, in particolare, la gestione di residenza turistica per anziani, nella zona del patto territoriale di Taranto’. Infine, la CTR sottolinea l’intervenuta rinuncia ad un contributo ottenuto dal Ministero delle attività produttive, scorgendovi un atteggiamento trasparente e non elusivo della società, quindi poggiando la decisione su un elemento vago e soggettivistico, in luogo -ancora una volta -di un elemento specifico e oggettivo. Con ogni evidenza il giudice d’appello ha reputato che il proprio compito si esaurisse nel constatare l’inoperatività della contribuente nel periodo di riferimento, anziché curarsi -come avrebbe dovuto -di soffermarsi sull’impossibilità oggettiva, da parte di detto ente, ad esercitare detta attività e sulle ragioni obiettive alla base di tale impossibilità. Così decidendo, pertanto, i giudici regionali non si sono attenuti ai principii più sopra evidenziati, che dettano il contenuto della prova contraria alla quale è ammesso il contribuente gravato dalla presunzione di cui all’art. 30, comma 1, della legge n. 724 del 1994; principii che, conviene ribadirlo, impongono che l’obiettività della situazione investa anche i profili intrinseci della stessa, e non solo la sua attitudine ad impedire lo svolgimento dell’attività sociale.
La CTR in sede di nuovo esame della causa dovrà, pertanto, soffermarsi sul fatto in sentenza tralasciato, id est lo specifico fatto (o il complesso di fatti), indipendente e slegato dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che si sarebbe rivelato ostativo allo svolgimento dell’attività produttiva con risultati reddituali conformi agli standards minimi legali.
Il primo motivo di ricorso va, in ultima analisi, accolto, con assorbimento delle altre due censure. La sentenza d’appello va, conseguentemente, cassata e la causa rinviata per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Puglia.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri due motivi; cassa la sentenza d’appello; rinvia la causa per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Puglia.
Così deciso in Roma, il 27/06/2024.