Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24155 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 24155 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
Diniego Revoca
Agevol. IRES e IRAP
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28997/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO, rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentate pro tempore , rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM. TRIB. II GRADO BOLZANO n. 43/01/2016, depositata in data 17 maggio 2016.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 21 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Dato atto che la Sostituta Procuratrice Generale dr.ssa NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito l’RAGIONE_SOCIALE Generale RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del AVV_NOTAIO, che si è riportata al proprio atto difensivo.
FATTI DI CAUSA
In data 27 settembre 2013 il direttore provinciale dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Bolzano emetteva provvedimento di diniego con riferimento all’istanza di disapplicazione della disciplina sulle società c.d. di comodo di cui all’art. 30 Legge 23 dicembre 1994, n. 724, presentata dalla RAGIONE_SOCIALE; l’Ufficio argomentava il proprio diniego alla stregua dell’estraneità RAGIONE_SOCIALE ragioni addotte dalla società a quelle che la norma in discorso qualifica come «situazioni oggettive non suscettibili di valutazioni soggettive» che possono legittimare l’accoglimento dell’istanza di disapplicazione.
Avverso l’atto di diniego la società contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.di primo grado di Bolzano; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, chiedendo l’inammissibilità del ricorso e, in ogni caso, la conferma del proprio operato.
La Commissione, con la sentenza n. 161/02/2014, accoglieva il ricorso della società contribuente, ritenendo sussistenti i presupposti per la disapplicazione della disciplina antielusiva.
Contro tale decisione proponeva appello l’RAGIONE_SOCIALE dinanzi la C.t.di secondo grado di Bolzano; si costituiva anche la società, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
Con sentenza n. 43/01/2016, depositata in data 17 maggio 2016, la Commissione adita rigettava il gravame dell’ufficio, confermando l’annullamento del provvedimento di risposta all’istanza di interpello.
Avverso la sentenza della C.t. di secondo grado di Bolzano, l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La società contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella pubblica udienza del 21 maggio 2024.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.: nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la Commissione ha deciso sul motivo di inammissibilità del ricorso introduttivo, formulato dall’ufficio, riportandosi alle considerazioni svolte dal Giudice di primo grado, senza indicare un autonomo percorso logico -giuridico all’esito del quale, eventualmente, condividere le valutazioni fatte in primo grado.
1.1. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la Commissione ha ritenuto autonomamente impugnabile il provvedimento di diniego dell’ufficio, nonostante esso costituisse, in realtà, un responso di natura meramente consultiva, non dotato di precettività diretta e immediata, stante la previsione della possibilità per il contribuente di poter «difendersi» successivamente in sede amministrativa e contenziosa.
1.2. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30, comma quarto bis , Legge n. 724/1994» l’ufficio lamenta l’ error in udicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la Commissione ha ritenuto che la decisione della società contribuente di affittare un ramo d’azienda per un canone
inferiore a quello pattuito con riferimento agli anni precedenti, decisione che aveva comportato il conseguimento di ricavi non idonei al superamento del c.d. test di operatività, costituisse una «oggettiva situazione» tale da giustificare la disapplicazione del regime RAGIONE_SOCIALE società di comodo.
Preliminarmente si rileva la regolarità della notifica del ricorso a mezzo pec in data 13 dicembre 2016 in quanto è stato di recente chiarito che «In tema di giudizio di cassazione avverso le sentenze tributarie, la notificazione a mezzo pec del ricorso è valida anche se eseguita prima dell’entrata in vigore del processo tributario telematico, trovando applicazione, ai sensi dell’art. 62 del d.lgs. n. 546 del 1992, le norme del codice di procedura civile, in quanto compatibili, e l’art. 3-bis della l. n. 53 del 1994 (inserito dall’art. 16-quater del d.l. n. 179 del 2012), che consente agli avvocati, senza necessità di preventiva autorizzazione del consiglio dell’ordine di appartenenza, di notificare atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale mediante posta elettronica certificata» (Cass. n. 33707/2023).
Il primo e il secondo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente stante la stretta connessione e l’affinità RAGIONE_SOCIALE critiche sollevate, sono infondati.
Con essi l’RAGIONE_SOCIALE si duole della nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 quarto comma, cod. proc. civ, e 19 d.lgs n. 546/92, ai sensi dell’art. 360, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. per avere la C.t. di secondo grado deciso sul motivo di inammissibilità del ricorso formulato dall’RAGIONE_SOCIALE limitandosi a riportarsi alle considerazioni svolte dal primo giudice, senza indicare un autonomo percorso logico e per avere erroneamente ritenuto impugnabile il provvedimento di diniego dell’RAGIONE_SOCIALE.
3.1. Va invece rilevato che la Commissione si è attenuta al costante orientamento giurisprudenziale per cui ‘La risposta negativa del
fisco a un interpello disapplicativo è atto impugnabile, anche se non rientra tra quelli elencati dall’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992: l’ente impositore, infatti, attraverso tale atto porta a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria ben individuata e quest’ultimo, senza necessità che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal citato art. 19, già al momento della ricezione della notizia, è portatore di un interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva’ ( Cfr Cass. civ. n° 1230/20, n° 12732/22, n° 30627/23) ed inoltre ‘ La disciplina del d.lgs. n. 156 del 2015 (che ha introdotto la regola positiva della non impugnabilità della risposta all’interpello) costituisce jus superveniens applicabile solo dopo la sua entrata in vigore, mentre l’interpello in questione risale al 2012; infatti l’art. 6 del d.lgs. n. 156 del 2015 non ha una valenza interpretativa ma di nuova disciplina della materia dell’interpello e, quindi, non dispone che per l’avvenire.'(Cass. civ. n° 27922/23).
4. Il terzo motivo è infondato.
Questa Corte ha più volte precisato che il legislatore, con l’art. 30 della legge n. 724/1994, ha inteso disincentivare la costituzione di società “di comodo”, ovvero il ricorso all’utilizzo RAGIONE_SOCIALE schema societario per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali (come quello, proprio RAGIONE_SOCIALE società c.d. di mero godimento, dell’amministrazione dei patrimoni personali dei soci con risparmio fiscale) (ex multis, Cass. 27 gennaio 2023, n. 2636; Cass. 13 maggio 2021, n. 12862; Cass. 24 febbraio 2021, n. 4946; in questo senso cfr. la Circolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 5/E del 2 febbraio 2007).
4.1. Si è detto, quindi, che «il disfavore dell’ordinamento per tale incoerente impiego del modulo societario – ricavabile, oltre che
dalla disciplina fiscale antielusiva, dal più RAGIONE_SOCIALE divieto, desumibile dall’art. 2248 cod. civ., di regolare la comunione dei diritti reali con le norme in materia societaria – trova spiegazione nella distonia tra l’interesse che la società di mero godimento è diretta a soddisfare e lo scopo produttivo al quale il contratto di società è preordinato» (Cass. 4 febbraio 2021, n. 4946, cit.). La legge n. 724/1994, art. 30, ha, dunque, la finalità di contrastare la diffusione di società anomale, utilizzate quale involucro per il perseguimento di finalità estranee alla causa contrattuale, spesso prive di un vero e proprio scopo lucrativo e talvolta strutturalmente in perdita, al fine di eludere la disciplina tributaria (Cass. 23 novembre 2021, n. 36365, richiamata e citata anche da Cass. 18 gennaio 2022, n. 1506)
4.2. L’effetto deterrente perseguito muove dalla determinazione di standard minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali. In particolare, secondo la legge n. 724/1994, art. 30, comma 1, una società si considera non operativa se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un determinato ricavo figurativo, calcolato, attraverso il test di operatività, applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli assets patrimoniali intestati alla società. Il mancato raggiungimento di tale soglia -considerato dal legislatore sintomatico della non operatività della società (cfr., ex multis, Cass. 24 febbraio 2020, n. 4850) – fonda quindi una presunzione legale relativa di non operatività, basata sulla massima di esperienza secondo cui, di regola, non vi è effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (da ultimo, Cass. 16 maggio 2023, n. 13328).
4.3. Come è stato già chiarito da questa Corte, «il mancato raggiungimento degli standard minimi di ricavi di cui al ridetto art. 30, comma 1 riconducibili agli assetti patrimoniali della struttura
societaria, funge da elemento sintomatico di selezione ed individuazione degli enti non operativi» (Cass. 24 febbraio 2020, n. 4850). Il mancato superamento della “soglia di operatività” costituisce dunque presunzione legale, relativa, della natura non operativa della società contribuente e comporta, pertanto, l’applicazione della disciplina antielusiva.
4.4. In tale contesto, il contribuente può vincere la presunzione dimostrando all’Amministrazione – attraverso l’interpello finalizzato alla disapplicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni antielusive, ovvero in giudizio, nel caso di contrasto – le oggettive situazioni che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri normativi (Cass. 23 maggio 2022, n. 16472). L’onere della prova contraria deve essere inteso «non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato» (Cass. 28 maggio 2020, n. 10158; Cass. 12 febbraio 2019, n. 4019; Cass. 20 giugno 2018, n. 16204). E’ stato peraltro escluso che, attraverso il meccanismo della presunzione relativa e dell’onere della prova contraria gravante sul contribuente, si pervenga ad un mero sindacato di merito del giudice sulle scelte imprenditoriali, rilevando che «in tema di società di comodo, non sussistono le oggettive situazioni di carattere straordinario, che rendono impossibile il superamento del test di operatività, l. n. 724 del 1994, ex art. 30, comma 4-bis, nella versione all’epoca vigente, nell’ipotesi di totale assenza di pianificazione aziendale da parte degli organi gestori della società o di completa “inettitudine produttiva”, gravando sull’imprenditore, anche collettivo, – ai sensi dell’art. 2086, secondo comma, come modificato dall’art. 375 c.c.i.i., in coerenza con l’art. 41 Cost. – l’obbligo di predisporre i mezzi di produzione nella prospettiva del raggiungimento del lucro obiettivo e della continuità aziendale. Sicché in tal caso, il sindacato del giudice non coinvolge le scelte di merito dell’imprenditore,
attenendo alla verifica del corretto adempimento degli obblighi degli amministratori e dei sindaci, con riduzione dell’operatività della business judgement rule, sempre valutabile, sotto il profilo tributario, per condotte platealmente antieconomiche» (Cass. 23 novembre 2021, n. 36365). Inoltre, con riferimento alla presunzione legale relativa di non operatività, l’onere probatorio può essere assolto non solo dimostrando che, nel caso concreto, l’esito quantitativo del test di operatività è erroneo o non ha la valenza sintomatica che gli ha attribuito il legislatore, giacché il livello inferiore dei ricavi è dipeso invece da situazioni oggettive che ne hanno impedito una maggior realizzazione; ma anche dando direttamente la prova proprio di quella circostanza che, nella sostanza, dal livello dei ricavi si dovrebbe presumere inesistente, ovvero dimostrando la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, car caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale, e dunque l’operatività reale della società (Cass. 24 febbraio 2021, n. 4946, in motivazione; Cass. 28 settembre 2021, n. 26219, in motivazione).
4.5. In forza di queste considerazioni si è così affermato che la prova contraria, da parte del contribuente, deve risolversi nell’offerta di elementi di fatto consistenti in “situazioni oggettive di carattere straordinario”, indipendenti dalla volontà del contribuente, che rendano impossibile conseguire il reddito presunto avuto riguardo alle effettive condizioni del mercato (Cass. 3 marzo 2023, n. 6459; Cass. 23 novembre 2021, n. 36365; Cass. 12 febbraio 2019, n. 4019), e che, pertanto, facciano desumere «l’erroneità dell’esito quantitativo del test di operatività, ovvero la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale e, dunque, l’operatività reale della (Cass. 3 marzo 2023, n. 6459; Cass. 23 novembre 2021, n. 36365; Cass. 12 febbraio 2019, n. 4019), e che, pertanto, facciano desumere «l’erroneità dell’esito
quantitativo del test di operatività, ovvero la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale e, dunque, l’operatività reale della società» (Cass. 23 maggio 2022, n. 16472). 4.6. La C.t. di secondo grado si è infatti attenuta al costante orientamento giurisprudenziale per cui «La risposta negativa del fisco a un interpello disapplicativo è atto impugnabile, anche se non rientra tra quelli elencati dall’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992: l’ente impositore, infatti, attraverso tale atto porta a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria ben individuata e quest’ultimo, senza necessità che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal citato art. 19, già al momento della ricezione della notizia, è portatore di un interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva» (Cass. n. 1230/20, Cass. n. 12732/22 e Cass. n. 30627/23) e inoltre «La disciplina del d.lgs. n. 156 del 2015 (che ha introdotto la regola positiva della non impugnabilità della risposta all’interpello) costituisce jus superveniens applicabile solo dopo la sua entrata in vigore, mentre l’interpello in questione risale al 2012; infatti l’art. 6 del d.lgs. n. 156 del 2015 non ha una valenza interpretativa ma di nuova disciplina della materia dell’interpello e, quindi, non dispone che per l’avvenire» (Cass. n. 27922/23).
4.7. Nella fattispecie in esame, correttamente la C.t. di secondo grado ha ritenuto che la scelta della società RAGIONE_SOCIALE di affittare un ramo di azienda ad un canone inferiore rispetto a quello pattuito negli anni precedenti, decisione che aveva comportato il conseguimento di ricavi non idonei al superamento del cosiddetto test di operatività, costituiva una situazione oggettiva tale da giustificare, ai sensi dell’art. 30 comma 4 bis citato, la
disapplicazione del regime RAGIONE_SOCIALE società di comodo previsto dal medesimo articolo 30. Così opinando, il giudice di merito ha evidenziato che la riduzione del canone era stata una scelta necessitata dalla notoria crisi del settore in questione (senza che sia stata contestata la correttezza del ricorso al «fatto notorio»), situazione sicuramente di natura oggettiva, non riconducibile alla volontà della società contribuente ed a scelte imprenditoriali errate della governance della società (Cass. n. 14750/21 e Cass. n. 19748//19) e finalizzata invece a «preservarne la natura operativa, in piena coerenza con lo spirito della disciplina antielusiva».
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, non si applica l’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di lite che liquida in € 4.300,00, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15 % oltre ad IVA e c.p.a. come per legge.
Così deciso nella pubblica udienza del 21 maggio 2024.