Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4620 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4620 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27913/2016 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore COGNOME NOME, COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE, COGNOME Antonio (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME presso il cui studio sono elettivamente domiciliati in Roma, al INDIRIZZO
-ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma è domiciliata alla INDIRIZZO; – controricorrente – avverso la sentenza n. 544/5/16 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, depositata in data 2/5/2016;
udita la relazione della causa svolta dal dott. NOME COGNOME nella pubblica udienza del 13 dicembre 2024;
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME per l’Agenzia delle Entrate;
Fatti di causa
In seguito ad un questionario inviato alla società RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, anche ‘la società’ ), l’Agenzia delle Entrate acquisì una lunga serie di documenti contabili (fatture attive e passive, registri iva, libro giornale, libro cespiti, etc.) e, ritenendo che la società non avesse dichiarato ricavi effettivi, provvide alla rideterminazione dei medesimi in applicazione della disciplina delle società di comodo di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994, con conseguente rettifica della base imponibile Irpef e Irap e ripresa dai soci di una maggiore imposta Irpef e Irap, oltre alle sanzioni.
Con gli avvisi di accertamento notificati ai soci e alla società, l’Agenzia delle Entrate rilevò l’acquisto di porzioni di un unico fabbricato ad uso direzionale già appartenente a due società di capitali riconducibili ai soci della odierna società ricorrente e la destinazione di tale fabbricato a deposito dei beni di una delle società che avevano ceduto parte del fabbricato.
L’Ufficio considerò i ricavi della società non effettivi, li disconobbe e li rideterminò alla stregua della disciplina delle società non operative. La società e i soci proposero ricorso dinanzi alla C.T.P. di Treviso, che respinse il ricorso, con sentenza confermata in appello.
Avverso la sentenza della C.T.R., la società e i soci proposero ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , i contribuenti censurano la sentenza impugnata per non aver dichiarato la nullità dell’avviso di accertamento in quanto sottoscritto da soggetto non correttamente delegato. In particolare, sostengono che l’atto di delega non sarebbe motivato e non conterrebbe l’indicazione del termine di validità , pur contenendo il nome del soggetto delegato (dott. COGNOME.
1.1. Il motivo è infondato
Questa Corte con orientamento consolidato ha stabilito che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass., Sez. 5-, Sentenza n. 11013 del 19/04/2019, Rv. 653414 -01; specificamente sulla non necessaria indicazione di
un termine di validità della delega di firma, Cass., Sez. 5-, Ordinanza n. 21972 del 05/08/2024, Rv. 672339 – 01).
Trattandosi di atto organizzativo, non è nemmeno necessaria una specifica motivazione.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 37 -bis, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , i contribuenti censurano la sentenza impugnata per non aver ritenuto insufficienti per il rispetto del principio del contraddittorio endoprocedimentale le modalità seguite dall’amministrazione.
2.1. Il motivo è infondato.
La sentenza d’appello afferma chiaramente che ai contribuenti era stata inviata una raccomandata con richiesta di chiarimenti da dare per iscritto e che al fine dell’emissione degli avvisi di accertamento era stato rispettato il termine dilatorio di sessanta giorni previsto dall’art. 37 -bis, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973.
Con il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 30 della legge n. 724/1994, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , i contribuenti censurano la sentenza d’appello perché non avrebbe dato adeguata risposta al motivo di appello secondo il quale la società non poteva essere considerata tra quelle non operative, in quanto svolgeva l’attività di locazione di immobili propri. I contribuenti contestano la sussistenza del presupposto dell’applicazione della disciplina di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994 (erroneo il riferimento all’anno 1992 contenuto in ricorso a pag. 13).
3.1. Il motivo è infondato.
I contribuenti suppongono un obbligo motivazionale, da parte degli avvisi di accertamento in tema di società di comodo, che essi non hanno.
L’art. 30 della legge n. 724 del 1994 stabilisce una presunzione legale relativa di non operatività al ricorrere di determinate condizioni, presunzione che può essere superata dal contribuente
mediante la prova dell’esistenza di situazioni oggettive, di carattere straordinario, da valutarsi non in termini assoluti, bensì economici, in quanto inerenti alle effettive condizioni del mercato, idonee a dimostrare l’erroneità dell’esito quantitativo del test di operatività, ovvero dimostrando la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale e, dunque, l’operatività reale della società (Cass., Sez. 5 – , Ordinanza n. 16472 del 23/05/2022, Rv. 664729 01).
I contribuenti non contestano il ricorrere delle condizioni cui è legata la presunzione legale relativa, né offrono di provare la sussistenza delle condizioni idonee ad escludere l’applicazione delle norme sulle società di comodo.
Con il quarto motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.P.R. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. In relazione alla insussistente motivazione e prova del fatto costitutivo della pretesa tributaria’ , i contribuenti censurano la sentenza impugnata perché non motivata in relazione alla non effettività dei ricavi dichiarati dalla società.
4.1. Il motivo è infondato.
La disciplina delle società di comodo, come già detto, si basa su una presunzione legale relativa legata alle soglie quantitative dei valori indicati dall’art. 30, comma primo, primo periodo, della legge n. 724 del 1994: se non si raggiungono dette soglie, si presume che il reddito sia quello risultante dall’applicazione dei parametri di cui al comma 3 del citato art. 30 della legge n. 724 del 1994.
Con riferimento, poi, al fatto che i ricavi dichiarati dalla società contribuente (pari ad euro 15.000) siano stati considerati non effettivi, circostanza che ha determinato la qualificazione della società come non operativa, deve rilevarsi che la non effettività dei ricavi è stata desunta dall’Ufficio dalle anomale modalità di annotazione dei detti ricavi, a fronte delle quali non risulta che la
società contribuente abbia dimostrato di aver provato che quelle annotazioni non erano meramente di comodo, corrispondendo ad esse ricavi effettivamente incassati.
5. Con il quinto motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.P.R. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. in relazione all’insussistente elemento soggettivo ai fini della punibilità’ , la società censura la sentenza impugnata per non aver motivato sulla questione della sussistenza del requisito soggettivo della colpevolezza con riferimento all’irrogazione delle sanzioni.
5.1. Il motivo è infondato.
Il primo periodo del primo comma dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997 dispone che ‘nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa’ .
Anche alle sanzioni amministrative tributarie si applicano i princìpi enucleati dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte con riferimento alla presunzione della sussistenza della colpa negli illeciti amministrativi, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 6 89 del 1981 ( ex coeteris , Cass., Sez. 2, Sentenza n. 6625 del 09/03/2020, Rv. 657466 – 02).
Il ricorso è respinto.
Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro
duemilacinquecento per compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, d à atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, il 13 dicembre 2024.