Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15376 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15376 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
ORDINANZA
600/73
sul ricorso iscritto al n. 9606/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata;
– ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del liquidatore, rappresentata e difesa giusta procura speciale in atti dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME del foro di Cosenza, elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, INDIRIZZO
– controricorrente –
E nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp.te pro tempore
-Intimata – avverso la sentenza n. 3237/03/2021 della Commissione tributaria regionale della Calabria, depositata in data 6.10.2021; udita la relazione svolta all’udienza camerale del 16.4.2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione impugnava la risposta negativa all’interpello disapplicativo, avente ad oggetto lo «status» di società non operativa risultante dall’applicazione dei parametri previsti dall’art. 30, comma 1, della l. n. 724 del 1994 nell’anno 2013, emessa in data 28.5.2014 dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate della Calabria, davanti alla C.T.P. di Cosenza, che dichiarava la propria incompetenza territoriale. La C.T.P. di Catanzaro, davanti alla quale veniva riassunto il giudizio, riteneva impugnabile il diniego di disapplicazione ed accoglieva nel merito il ricorso, annullando l’atto impugnato.
2.L’agenzia delle Entrate proponeva appello.
3.Nel frattempo, con separati ricorsi, la medesima società impugnava cinque cartelle di pagamento, emesse a seguito di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.p.r. n. 600/73, relative ad IRES anno 2012, IRES ed IRAP anno 2013, IRAP ed IRES anno 2014. I ricorsi venivano rigettati dalla C.T.P. di Cosenza.
4.La società soccombente appellava le predette pronunce e chiedeva la riunione delle impugnazioni.
5.La C.T.R. della Calabria, riunite tutte le impugnazioni, con sentenza n. 3237/03/2021 confermava l’illegittimità del diniego di disapplicazione per l’anno di imposta 2013; riteneva insussistente il lamentato difetto di motivazione delle cartelle di pagamento, dovendo ritenersi tale obbligo assolto mediante il mero richiamo alle dichiarazioni presentate dalla società contribuente, ma riteneva non dovute le imposte iscritte a ruolo per le ragioni esposte in merito all’illegittimità del diniego di disapplicazione, che conducevano all’ automatica caducazione degli atti di riscossione.
6.Avverso la precitata sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, sulla base di quattro motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione resiste con controricorso.
L’Agenzia delle Entrate Riscossione è rimasta intimata.
E’ stata fissata l’udienza in camera di consiglio del 16.4.2025.
La controricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, rubricato « violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del decreto legislativo n. 546/92 in relazione all’art. 360, comma 1, n, 3 c.p.c ..», l’Agenzia delle Entrate assume che la C.T.R. ha errato a ritenere il ricorso ammissibile, posto che il diniego dell’istanza di disapplicazione non poteva ritenersi impugnabile perché privo di natura provvedimentale, costituendo un mero parere con il quale non viene resa nota al contribuente una pretesa compiuta e definita.
Il motivo è infondato.
1.1.Va premesso, in fatto, che l’Agenzia delle entrate ha rigettato l’istanza di interpello presentata dalla società RAGIONE_SOCIALE per la disapplicazione delle disposizioni antielusive di cui all’art. 30 della legge n. 794 del 1994, dettato per le società cd. di comodo o non operative, per ragioni di merito, come si evince dall’allegato n. 5 al ricorso, richiamato e prodotto dalla parte ricorrente.
1.2.Questa Corte ha più volte affermato che in tema di processo tributario, la tassatività dell’elencazione degli atti di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 non esclude che il provvedimento agenziale di rigetto dell’istanza di interpello, avendo natura e contenuto di diniego definitivo della disapplicazione di norme antielusive (a differenza di quello interlocutorio), possa essere impugnato giudizialmente dal contribuente, in applicazione estensiva e costituzionalmente orientata delle disposizioni in materia ( Cass. 32425/2019). E’ stato inoltre precisato che, ove il provvedimento dell’amministrazione finanziaria abbia indubitabilmente natura e contenuto di diniego definitivo della chiesta disapplicazione, come nel caso in esame, è ammissibile la
sua impugnabilità giudiziale, atteso che in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448. Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere, di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario» (Cass. n. 17010 del 05/10/2012; conf., Cass. n. 23469 del 06/10/2017; tra le più recenti, Cass. n. 10391/2022).
2.Con il secondo motivo, rubricato « violazione e falsa applicazione dell’art. 30 della legge n. 724/1994, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», l’Ufficio assume che la C.T.R. avrebbe posto a fondamento della valutazione situazioni di carattere non oggettivo, valorizzando elementi direttamente dipendenti da ‘libere’ scelte imprenditoriali. Infatti, per l’anno 2013 non era stato documentato alcun impedimento oggettivo a svolgere la normale attività imprenditoriale. Uno dei due immobili era a disposizione della società e l’altro era stato sequestrato solo per pochi mesi nell’anno
2011, ma gli amministratori erano rimasti del tutto inerti, non costituendo una giustificazione la pendenza del procedimento penale.
2.1. Il motivo è inammissibile, atteso che con esso la ricorrente, dietro lo schermo del vizio di violazione di legge, tende in realtà ad ottenere una diversa e favorevole valutazione degli elementi di fatto che la C.T.R. ha posto a base della decisione, come fondatamente eccepito dalla controricorrente.
Costituisce orientamento consolidato di legittimità quello per cui, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità ( tra le più recenti, Cass. n. 7871/2025).
2.2. Nel caso di specie la C.T.R. non ha violato i criteri di riparto dell’onere probatorio, avendo addossato alla società appellata l’onere di fornire la prova delle condizioni oggettive che avevano impedito la sua operatività nell’anno di imposta 2013, ritenendolo assolto sulla base degli elementi acquisiti, puntualmente esaminati.
Con il terzo motivo, rubricato « violazione e falsa applicazione dell’art. 36 bis D.P.R. 600/73 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», l’Agenzia sostiene che la C.T.R. non avrebbe dovuto annullare le cartelle di pagamento, atteso che il contribuente non può sottarsi al pagamento di un’imposta per la quale ha determinato la base imponibile ed il quantum debeatur , manifestando in tal modo di ritenere sussistente la soggettività passiva ai fini del tributo. La CTR non poteva dunque entrare nel
merito della debenza dei tributi dichiarati come dovuti, diversamente da quanto sarebbe stato possibile ove fosse stato notificato un avviso di accertamento o un diniego di rimborso. La società, nel compilare la dichiarazione aderendo alla disciplina delle società di comodo, aveva anzi fatto venir meno l’attivazione di un eventuale accertamento, sicchè doveva ritenersi preclusa la rettifica richiesta solo in sede giurisdizionale.
4. Con il quarto motivo, rubricato « violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, del D.P.R. 917/86 e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3, c.p.c» , l’Ufficio rimprovera alla C.T.R. di aver esteso indebitamente le conclusioni rassegnate in merito all’illegittimità del diniego di interpello per l’anno 2013 alle pretese tributarie oggetto delle cartelle di pagamento, relative a debiti di imposta scaturiti dalle dichiarazioni presentate dalla società per gli anni 2012 e 2014, violando in tal modo in principio di autonomia dei periodi di imposta, sancito in materia di imposte sui redditi dall’art. 7, comma 1, del d.p.r. 917/86. Per tale ragione, a fronte della ritenuta illegittimità del diniego disapplicativo per l’anno 2013, valutazione comunque errata per quanto esposto nel secondo motivo, non avrebbe potuto estenderne le conseguenze ad anni di imposta diversi. Censura altresì la pronuncia, per avere la C.T.R. omesso di considerare che la società aveva presentato interpello anche per gli anni 2012 e 2014. La prima istanza era stata dichiarata inammissibile, in quanto tardiva e la seconda era stata respinta. La società aveva proposto ricorso e la C.T.P. di Cosenza, con sentenze passate in giudicato, aveva in entrambi i casi dichiarato il ricorso inammissibile, in quanto trattavasi di atti non impugnabili. La C.T.R. non avrebbe dunque potuto eludere i giudicati formatisi in relazione ai predetti anni di imposta.
5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono fondati nei limiti e con le precisazioni che seguono.
Come ritenuto da questa Corte in fattispecie assimilabile, anche nel caso in esame l’Amministrazione non ha calcolato l’imposta autonomamente, cioè utilizzando e qualificando come effettivo il reddito dichiarato dalla contribuente quale risultato del test di operatività, determinato secondo i parametri presuntivi previsti dall’art. 30 della I. n. 724 del 1994, nel testo applicabile ratione temporis , ma si è limitata a procedere alla liquidazione dell’imposta nella misura dichiarata come dovuta dalla stessa società contribuente al rigo IR22 della relativa dichiarazione Irap. Va quindi ritenuto legittimo il ricorso da parte dell’Agenzia delle Entrate allo strumento del controllo formale ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, per richiedere un importo determinato sulla base di un esame meramente cartolare dei dati forniti dallo stesso contribuente. (Cass. n. 24811/2021, che richiama Cass. n. 3394/2019, in motivazione).
6.1. Questa Corte ha tuttavia altresì precisato che l’impugnazione della cartella esattoriale, emessa in seguito a procedura di controllo automatizzato ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non è preclusa dal fatto che l’atto impositivo sia fondato sui dati evidenziati dal contribuente nella propria dichiarazione, in quanto tale conclusione presupporrebbe la irretrattabilità delle dichiarazioni del contribuente che, invece, avendo natura di dichiarazioni di scienza, sono ritrattabili in ragione della acquisizione di nuovi elementi di conoscenza o di valutazione. Pertanto, nel giudizio di impugnazione della cartella di pagamento ex art. 36 bis d.p.r. c.p.c., il contribuente può contestare il merito della pretesa tributaria, essendo la cartella di pagamento il primo atto impositivo notificato, con la conseguenza che l’impugnazione non può essere limitata ai soli vizi formali dell’atto impugnato (cfr. Cass. n. 5129/2017, Cass. n. 9872/2011).
Fatte queste necessarie premesse, per quanto attiene alle due cartelle di pagamento relative all’anno di imposta 2013,
all’inammissibilità del secondo motivo di ricorso, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza nella parte in cui ha respinto il gravame dell’Agenzia delle Entrate, confermando l’illegittimità del diniego di disapplicazione per l’anno 2013, consegue la non debenza delle somme iscritte a ruolo per l’anno 2013, come correttamente statuito dalla C.T.R.
Conclusione diversa deve invece trarsi in relazione alle restanti tre cartelle di pagamento.
Ed invero, pur non potendosi ritenere preclusa la possibilità di contestare il merito della pretesa, non trovando ciò ostacolo nel passaggio in giudicato delle sentenze che hanno ritenuto inammissibile l’impugnazione dei dinieghi di disapplicazione per gli anni 2012 e 2014, trattandosi di pronunce in rito, che danno luogo ad un giudicato meramente formale, con effetti circoscritti al solo rapporto processuale nel cui ambito è emanata e come tali insuscettibili di produrre gli effetti sostanziali del giudicato, nè sul piano oggettivo, né sul piano soggettivo ( ex multis , Cass. n. 20636/2024), va ciò nondimeno rilevato che, come fondatamente assume la ricorrente, la C.T.R. ha errato ad estendere automaticamente gli effetti dell’accertamento relativo all’anno di imposta 2013 ai diversi anni di imposta 2012 e 2014, senza esaminare in modo specifico la condotta tenuta dalla società nei predetti periodi.
8.1. Con specifico riferimento alle società di comodo, questa Corte ha infatti osservato che lo «status» di società non operativa risultante dall’applicazione dei parametri previsti dall’art. 30, comma 1, della l. n. 724 del 1994, non è permanente, ma va accertato anno per anno, essendo un elemento variabile, ben potendo una società essere non operativa in un determinato esercizio sociale ed operativa in quello successivo (Cass. n. 2725/2025 del 4.2.2025, Cass. n. 20702 dell’1.10.2014; Cass. n. 12829 del 22.05.2017; Cass. n. 18912 del 17.07.2018; Cass. n.
4850 del 24.2.2020). 8.2. Ove venga dunque in rilievo il mancato superamento del test di operatività per un determinato anno di imposta, la verifica della natura o meno di società di comodo richiede un accertamento in fatto insuscettibile di cristallizzarsi e di estendere i suoi effetti a precedenti o successivi anni di imposta, essendo la condotta imprenditoriale per sua natura frutto di scelte variabili nel tempo, in relazione ai più svariati fattori. Tale autonomo accertamento è mancato nella sentenza impugnata.
In conclusione, vanno accolti il terzo e quarto motivo di ricorso, limitatamente alle cartelle di pagamento relative ad IRES anno di imposta 2012 e ad IRES ed IRAP anno di imposta 2014 e la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice a quo affinchè, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame, tenuto conto dei principi di diritto sopra enunciati, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo e quarto motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione; rigetta il primo motivo e dichiara inammissibile il secondo motivo;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.G.T.2 della Calabria, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16.4.2025.