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Società di comodo: interpello non obbligatorio

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società agricola considerata una ‘società di comodo’ dall’Agenzia delle Entrate. La Corte ha chiarito che, sebbene l’istanza di interpello per disapplicare la normativa non sia obbligatoria, spetta al contribuente dimostrare in giudizio la reale operatività economica. In questo caso, i giudici hanno ritenuto che la prevalente attività di locazione rispetto a quella agricola e agrituristica non fosse sufficiente a superare la presunzione, confermando l’accertamento fiscale. La sentenza ha inoltre ribadito la necessità del litisconsorzio tra società di persone e tutti i soci nei processi tributari.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Comodo: l’Interpello è Facoltativo ma la Prova di Operatività è Cruciale

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 24174/2024, torna a fare luce sulla disciplina della società di comodo, un tema di grande rilevanza per il mondo imprenditoriale. La Corte ha chiarito che, sebbene l’istanza di interpello per evitare l’applicazione della normativa antielusiva sia una facoltà e non un obbligo, il contribuente ha l’onere di dimostrare in modo inequivocabile la propria effettiva operatività economica direttamente in sede di giudizio. In assenza di tale prova, l’accertamento fiscale basato sulla presunzione di non operatività è legittimo.

Il Caso: Accertamento Fiscale su una Società Agricola

Il caso esaminato riguarda una società agricola in accomandita semplice e i suoi soci, destinatari di avvisi di accertamento per l’anno d’imposta 2008. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato alla società lo status di società di comodo, recuperando a tassazione presunti ricavi non dichiarati e, di conseguenza, imputando maggiori redditi ai soci in proporzione alle loro quote.

I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, avevano confermato la legittimità dell’accertamento. In particolare, la Commissione Tributaria Regionale aveva evidenziato due aspetti principali:
1. La società non aveva presentato l’istanza di interpello per la disapplicazione della normativa sulle società non operative.
2. Indipendentemente da tale omissione, la società non era di fatto operativa. Gran parte dei terreni era costituita da boschi, mentre due fabbricati venivano locati per dieci mesi all’anno a un soggetto legato alla compagine sociale e sfruttati come agriturismo solo per due mesi. Il reddito derivante dalla locazione non poteva essere considerato marginale rispetto a quello agricolo.

La Disciplina sulle Società di Comodo e la Prova Contraria

La normativa sulle società di comodo (art. 30 della L. 724/1994) è stata introdotta per contrastare l’uso distorto dello schema societario, finalizzato non a svolgere un’attività economica reale, ma a gestire patrimoni personali ottenendo indebiti vantaggi fiscali. La legge presume ‘non operativa’ una società che non raggiunge un livello minimo di ricavi, calcolato in percentuale sul valore di determinati beni aziendali.

Il contribuente può superare questa presunzione in due modi:
* In via preventiva, presentando un’istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate per dimostrare l’esistenza di ‘oggettive situazioni di fatto’ che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi.
* In sede contenziosa, fornendo la stessa prova direttamente al giudice tributario.

Nel ricorso per cassazione, i contribuenti hanno sostenuto che i giudici di merito avessero errato nel considerare obbligatoria la presentazione dell’interpello. La Cassazione, pur concordando sul carattere facoltativo dell’interpello, ha dichiarato il motivo inammissibile.

La Questione del Litisconsorzio Necessario

Un altro motivo di ricorso riguardava un presunto vizio procedurale. I ricorrenti lamentavano la mancata riunione del processo della società con quello di un socio, pendente dinanzi a un’altra commissione tributaria. La Corte ha respinto anche questa doglianza, ribadendo un principio fondamentale in materia di società di persone: il litisconsorzio necessario.

In questi casi, l’accertamento del reddito societario produce effetti diretti e automatici sui soci, indipendentemente dalla percezione degli utili. Pertanto, la controversia è inscindibile e deve svolgersi nei confronti di tutti i soggetti (società e tutti i soci). Nel caso di specie, la Corte ha verificato che tutti gli interessati erano già parte del giudizio sin dal primo grado, garantendo così il rispetto del contraddittorio.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso basandosi su due argomentazioni centrali.

Sul secondo motivo, relativo alla qualifica di società di comodo, la Corte ha sottolineato che la decisione dei giudici di merito non si fondava sulla mera omissione dell’interpello, ma su una valutazione concreta e fattuale dell’attività svolta dalla società. I giudici di secondo grado avevano accertato che la società non esercitava una ‘reale attività economica’, limitandosi a una gestione patrimoniale che generava redditi da locazione per la maggior parte dell’anno. Questo tipo di valutazione dei fatti non può essere riesaminato in sede di legittimità, dove il compito della Cassazione è verificare la corretta applicazione della legge, non ricostruire i fatti. L’appello dei ricorrenti, di conseguenza, mirava a un nuovo giudizio di merito, inammissibile in Cassazione.

Per quanto riguarda il primo motivo, sul litisconsorzio necessario, la Corte ha ritenuto la censura infondata. Ha chiarito che, sebbene la regola del litisconsorzio sia inderogabile, nel caso specifico era stata rispettata, poiché tutti e tre i ricorrenti (la società e i due soci) erano presenti nel giudizio fin dall’inizio. L’esistenza di un altro ricorso separato da parte di un socio era irrilevante ai fini della corretta costituzione del contraddittorio nel processo principale.

Le Conclusioni

La sentenza n. 24174/2024 offre due importanti conferme pratiche. Primo, ribadisce che la procedura di interpello è uno strumento a disposizione del contribuente, ma non l’unica via per contestare la qualifica di società di comodo. La prova dell’effettiva operatività può e deve essere fornita in giudizio. Secondo, la decisione evidenzia come la valutazione del giudice di merito sull’operatività ‘in concreto’ di una società sia decisiva. Non basta un’attività economica minima o marginale per sfuggire alla presunzione: è necessario dimostrare che la società persegue effettivamente lo scopo lucrativo per cui è stata costituita, e non funge da mero ‘schermo’ per la gestione di patrimoni personali.

È obbligatorio presentare l’istanza di interpello per evitare di essere considerati una società di comodo?
No, la sentenza chiarisce che l’interpello è una procedura facoltativa. Il contribuente può sempre dimostrare direttamente in giudizio l’esistenza di situazioni oggettive che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi, fornendo la cosiddetta prova contraria.

Cosa deve dimostrare una società per superare la presunzione di ‘società di comodo’?
Deve fornire la prova concreta di svolgere una reale e prevalente attività economica. Non è sufficiente un’attività marginale se quella principale è di mera gestione patrimoniale, come la locazione di immobili. È necessario provare che la mancata redditività è dovuta a cause oggettive e non alla volontà di usare la società per scopi elusivi.

In un accertamento a una società di persone, tutti i soci devono partecipare al processo?
Sì. La Corte ha confermato il principio del litisconsorzio necessario tra la società di persone e tutti i suoi soci. Poiché l’accertamento del reddito della società si riflette automaticamente sui redditi dei soci, la causa deve svolgersi obbligatoriamente con la partecipazione di tutti i soggetti interessati affinché la sentenza sia valida.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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