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Società di comodo: interpello non obbligatorio

Una società impugnava un avviso di accertamento che la qualificava come ‘società di comodo’, contestando la determinazione di un reddito minimo presunto e la negazione di un credito IVA. Dopo due sentenze sfavorevoli nei gradi di merito, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. La Corte ha stabilito che la presentazione dell’interpello disapplicativo non è un requisito obbligatorio per poter impugnare in sede giudiziaria l’accertamento. Si tratta di una mera facoltà per il contribuente, il quale conserva sempre il diritto di dimostrare direttamente in tribunale l’esistenza di cause di forza maggiore che giustificano la non operatività, senza preclusioni. La sentenza è stata cassata con rinvio.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: l’interpello non è un obbligo per la difesa in giudizio

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 7157 del 2025, porta chiarezza su un punto cruciale per le imprese qualificate come società di comodo: la presentazione dell’interpello disapplicativo all’Agenzia delle Entrate non è una condizione indispensabile per poter contestare un avviso di accertamento davanti a un giudice. Questa decisione rafforza il diritto alla difesa del contribuente, stabilendo che la via del tribunale è sempre aperta per dimostrare la propria effettiva operatività.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata si è vista recapitare un avviso di accertamento per l’anno 2010. L’Agenzia delle Entrate, sulla base dei dati degli anni 2008, 2009 e 2010, aveva classificato l’impresa come società di comodo. Di conseguenza, l’amministrazione finanziaria aveva ricalcolato le imposte (IRES, IRAP, IVA) basandosi su un reddito minimo presunto e aveva richiesto la restituzione di un cospicuo credito IVA maturato dalla società.

La società ha impugnato l’atto, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale sia quella Regionale hanno respinto le sue ragioni. Secondo i giudici di merito, la società non aveva seguito la procedura corretta, ovvero presentare un interpello preventivo per chiedere la disapplicazione della normativa. La questione è quindi approdata in Corte di Cassazione.

La Questione Giuridica: Il Ruolo dell’Interpello per le società di comodo

Il nodo centrale della controversia era stabilire la natura dell’interpello disapplicativo previsto dall’art. 30 della legge n. 724/94. Si tratta di un passaggio obbligato, una sorta di ‘condizione di procedibilità’ senza la quale il contribuente non può adire le vie legali? Oppure è una semplice facoltà, uno strumento a disposizione dell’impresa che non preclude la possibilità di difendersi direttamente in giudizio?

La società ricorrente ha sostenuto questa seconda tesi, affermando il proprio diritto di impugnare l’accertamento e fornire in quella sede la prova dell’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie che avevano impedito il raggiungimento delle soglie di operatività richieste dalla legge.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto pienamente la tesi della società, ribaltando l’esito dei precedenti gradi di giudizio. I giudici hanno chiarito che l’interpello disapplicativo è una mera facoltà e non un obbligo. Il contribuente ha sempre il diritto di impugnare l’avviso di accertamento e dimostrare in sede processuale, senza alcuna preclusione, le ragioni che contrastano la presunzione di non operatività.

Questa interpretazione, secondo la Corte, è imposta da principi costituzionali fondamentali come il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), il principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.) e il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). Impedire l’accesso alla giustizia solo perché non è stata percorsa una via amministrativa facoltativa rappresenterebbe una limitazione inaccettabile dei diritti del contribuente.

Inoltre, la Corte ha richiamato una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-341/22), la quale ha stabilito che a una società non può essere negata la qualità di soggetto passivo IVA, e quindi il diritto alla detrazione o al rimborso del credito, per il solo fatto di essere considerata non operativa o in perdita fiscale, a meno che non si provi un comportamento fraudolento o abusivo.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

La decisione della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Le imprese che ricevono un accertamento basato sulla disciplina delle società di comodo non sono costrette a passare attraverso la procedura dell’interpello. Possono scegliere di difendersi direttamente in tribunale, portando le prove (ad esempio, una crisi di settore, lavori di ristrutturazione, o altre circostanze oggettive) che giustificano il mancato raggiungimento dei ricavi minimi.

Questa ordinanza riafferma un principio di civiltà giuridica: la presunzione legale di non operatività può e deve sempre essere superata dalla prova contraria, e il luogo deputato per eccellenza a fornire tale prova è il processo. Si tratta di una vittoria per i diritti del contribuente e un monito a non interpretare le procedure amministrative come barriere all’accesso alla giustizia.

Una società considerata ‘di comodo’ è obbligata a presentare l’interpello disapplicativo prima di fare ricorso al giudice?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’interpello è una mera facoltà (un’opzione) e non un obbligo. Il contribuente può sempre impugnare l’avviso di accertamento direttamente in sede giudiziaria.

Cosa può fare un’impresa in tribunale per contestare la presunzione di non operatività?
L’impresa può fornire la prova contraria dell’esistenza di situazioni oggettive, straordinarie, specifiche e indipendenti dalla sua volontà che le hanno impedito di raggiungere le soglie di operatività e di reddito minimo presunto dalla legge.

Una società in perdita fiscale, equiparata a una società di comodo, perde automaticamente il diritto al credito IVA?
No. In base al diritto dell’Unione Europea, come interpretato dalla Corte di Giustizia UE, non può essere negata la qualità di soggetto passivo IVA, e quindi il relativo diritto alla detrazione, compensazione o rimborso, a meno che non venga provato un comportamento fraudolento o abusivo da parte della società.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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