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Società di comodo: interpello non obbligatorio

Una società alberghiera, considerata ‘società di comodo’ per insufficienti ricavi, si è vista accogliere il ricorso dalla Corte di Cassazione. I giudici hanno annullato la decisione di merito per ‘motivazione apparente’ e hanno ribadito un principio fondamentale: l’interpello disapplicativo non è un requisito obbligatorio per poter dimostrare in tribunale l’esistenza di cause oggettive che giustificano la non operatività, garantendo così la piena tutela giurisdizionale del contribuente.

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Pubblicato il 19 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Comodo: L’Interpello non è Obbligatorio per la Difesa in Giudizio

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22750 del 2025, torna a pronunciarsi su un tema cruciale per molte imprese: la disciplina delle società di comodo. La decisione chiarisce due principi fondamentali per la difesa del contribuente: l’illegittimità di una sentenza con motivazione solo apparente e, soprattutto, la non obbligatorietà dell’interpello disapplicativo per contestare in giudizio la presunzione di non operatività. Questa pronuncia rappresenta una garanzia importante per le aziende che, pur essendo pienamente operative, si trovano ad affrontare difficoltà oggettive che incidono sui loro ricavi.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata, operante nel settore alberghiero, impugnava una cartella di pagamento per IRAP relativa all’anno 2014. L’Agenzia delle Entrate aveva applicato la normativa sulle società di comodo, ritenendo che l’impresa non avesse generato ricavi sufficienti nel triennio precedente.

La società si difendeva sostenendo che il basso livello di ricavi era dovuto a difficoltà oggettive, legate alla posizione della struttura ricettiva e alla sua natura stagionale. È importante sottolineare che la società non aveva preventivamente presentato un interpello disapplicativo all’Agenzia.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) che la Commissione Tributaria Regionale (CTR) respingevano le ragioni del contribuente. In particolare, la CTR confermava la decisione di primo grado con una motivazione estremamente sintetica e generica. Contro questa sentenza, l’azienda proponeva ricorso in Cassazione, lamentando sia un vizio di motivazione sia un errore di diritto nell’aver implicitamente ritenuto necessario l’interpello.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla disciplina della società di comodo

La Suprema Corte ha accolto integralmente il ricorso della società, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi di grande rilevanza pratica.

Le Motivazioni della Sentenza

1. La Motivazione Apparente della Sentenza d’Appello

Il primo motivo di accoglimento riguarda la qualità della motivazione della sentenza della CTR. La Cassazione ha ritenuto che la motivazione fosse meramente “apparente”. I giudici di secondo grado si erano limitati ad affermare che le eccezioni della società (relative alle perdite e alla non operatività) non erano “assolutamente afferenti alla notifica della cartella stessa”.

Questa, secondo la Suprema Corte, è un’affermazione apodittica e assertiva, priva di una spiegazione logica e giuridica. Non consente di comprendere il ragionamento che ha portato a rigettare l’appello. Una motivazione di questo tipo viola il “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 della Costituzione, secondo cui ogni provvedimento giurisdizionale deve essere motivato. Una motivazione è solo apparente quando, pur esistendo graficamente, non rende percepibile il fondamento della decisione. Tale vizio rende la sentenza nulla.

2. L’Interpello Disapplicativo: Facoltà, non Obbligo per la società di comodo

Il secondo e più importante punto chiarito dalla Corte riguarda la natura dell’interpello disapplicativo. La CTR aveva errato nel considerare la mancata presentazione dell’interpello come un ostacolo alla difesa della società.

La Cassazione ha ribadito con forza il suo orientamento consolidato: l’interpello disapplicativo, previsto per le società di comodo, non è una condizione di procedibilità né una limitazione alla tutela giurisdizionale. In altre parole, non è un passaggio obbligatorio per potersi difendere in tribunale.

Il contribuente ha sempre la facoltà di dimostrare direttamente in sede di contenzioso l’esistenza delle circostanze oggettive che giustificano la disapplicazione della normativa antielusiva. Questa possibilità si fonda sui principi costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.). Impedire questa difesa in giudizio equivarrebbe a negare un diritto fondamentale.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza significativamente le tutele per i contribuenti ingiustamente qualificati come società di comodo. Le conclusioni pratiche sono due:

1. Diritto alla motivazione effettiva: I giudici tributari non possono rigettare le argomentazioni del contribuente con formule generiche o frasi di stile. Devono analizzare nel merito le prove e le difese, fornendo una motivazione chiara, logica e comprensibile. In caso contrario, la loro sentenza è nulla.

2. Difesa sempre possibile in giudizio: Un’impresa può sempre difendersi in tribunale dalla presunzione di non operatività, anche se non ha presentato un interpello disapplicativo. L’onere della prova ricade sul contribuente, che dovrà dimostrare con elementi concreti (perizie, documenti, analisi di mercato) l’esistenza di situazioni oggettive che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi. La via giudiziaria resta sempre aperta, senza preclusioni.

È obbligatorio presentare un interpello disapplicativo per contestare la qualifica di società di comodo?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’interpello non è una condizione di procedibilità né limita la tutela giurisdizionale. Il contribuente può sempre difendersi e provare le sue ragioni direttamente in giudizio.

Cosa si intende per ‘motivazione apparente’ di una sentenza?
Si ha una ‘motivazione apparente’ quando le ragioni della decisione, pur essendo scritte, sono talmente generiche, contraddittorie o illogiche da non far comprendere il percorso logico-giuridico seguito dal giudice, violando così il requisito minimo di motivazione richiesto dalla Costituzione.

Quali prove può portare un’azienda per dimostrare di non essere una società di comodo?
L’azienda può dimostrare l’esistenza di ‘difficoltà oggettive’ o altre circostanze specifiche che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi. Nel caso esaminato, ad esempio, si faceva riferimento alla posizione della struttura e alla natura stagionale dell’attività alberghiera.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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