Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22750 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22750 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/08/2025
Oggetto: IRAP 2014 – Società
di comodo – Art. 30 l. 724/1994
Interpello
disapplicativo –
Necessità – Esclusione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1350/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, da ll’ Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME ;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, Sezione Staccata di Salerno, n. 2901/2020, depositata in data 16 giugno 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 luglio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
La società ricorrente, esercente l’attività alberghiera dotata di una struttura ricettiva in Casalvelino, impugnava innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Salerno (d’ora in avanti, per brevità, CTP) la cartella di pagamento n. 100/2017/00220775/49/000, emessa a seguito di controllo automatizzato ai sensi dell’art. 36bis d.P.R. n. 600/1973, per il recupero dell’IRAP relativa all’anno 2014 (per euro 16.101,43); eccepiva la violazione della disciplina delle società non operative (art. 30 l. 724/1994), evidenziando di non aver generato ricavi nel triennio 2010-2012 a causa di difficoltà oggettive legate alla posizione della struttura ed alla natura stagionale dell’attività. Dichiarava, altresì, di non aver proposto l’interpello disapplicativo della citata norma, ritenendo tale omissione non ostativa alla difesa in giudizio avverso la cartella emessa dall’Ufficio.
La CTP rigettava il ricorso.
La società interponeva gravame alla Commissione tributaria regionale della Campania, Sezione Staccata di Salerno (d’ora in poi, per brevità, CTR), chiedendone l’integrale riforma.
Anche la CTR riteneva corretto l’operato dell’Ufficio e respingeva l’appello .
Per la cassazione della citata sentenza la contribuente ha proposto ricorso affidato a due motivi.
L ‘Ufficio ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato, quindi, fissato per l’adunanza camerale del 4 luglio 2025.
Considerato che:
Va, preliminarmente, rigettata l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Ufficio, atteso che il ricorso non tende ad ‘un riesame del ragionamento decisorio e della valutazione del materiale probatorio acquisito’ (pag. 7 del controricorso), fondandosi s u violazioni di legge (v. infra ).
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la «violazione dell’art. 112 c.p.c. e del giudicato interno, in riferimento all’art. 360 co. 1, n. 4 c.p.c..: vizio di omessa pronuncia sul motivo di appello concernente ‘l’erroneità della sentenza per insufficiente valutazione delle prove e delle motivazioni addotte dalla parte’, non essendosi la CTR minimamente occupata di tale questione, contemplata in modo specifico e dettagliato; la sentenza di secondo grado riformava quella di primo grado, in assenza di impugnazione di entrambi le parti del giudizio fosfor (violazione del giudicato interno)».
Lamenta, in particolare, che la CTR avrebbe omesso qualsiasi esame sulle doglianze esposte nell’atto di appello (che il ricorrente ha cura di trascrivere nel ricorso) e relative al vizio motivazionale della sentenza di prime cure circa le ‘prove e le motiv azioni addotte dalla parte’. La motivazione della gravata sentenza sarebbe del tutto apparente, senza alcun riferimento alla motivazione fornita dai primi giudici.
2.1. Il motivo, epurato da evidenti refusi (la violazione del giudicato compare unicamente nel titolo, la sentenza gravata non ha riformato quella di primo grado) e ricondotto, alla luce del suo contenuto, alla violazione di legge per motivazione apparente della sentenza impugnata, è fondato.
2.2. Giova premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (cfr., per tutte, Cass., Sez. U., 07/94/2014 n. 8053).
Inoltre, la motivazione è solo «apparente» e la sentenza è nulla quando benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.).
Si è, più recentemente, precisato che «in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Cass. 03/03/2022, n. 7090).
2.3. Nella specie la CTR ha confermato la sentenza di primo grado così motivando: ‘in primo luogo, tutte le eccezioni relative alla cartella, alle sue notifiche e al suo contenuto vanno disattese. Nel merito l’Agenzia ha chiaramente specificato che le eccezioni della parte circa perdite nella gestione e soprattutto con riferimento alla non operatività della Società stessa, non erano assolutamente afferenti alla notifica della cartella stessa’ .
Trattasi, all’evidenza , di affermazioni apodittiche ed assertive, che non consentono in alcun modo di verificare le ragioni che hanno indotto la CTR a rigettare l’appello, a fronte di un motivo specifico di gravame, con il quale la società lamentava l’insufficiente valutazione, da parte della CTP, delle plurime circostanze addotte al fine di escludere l’applicazione della normativa antielusiva di cui all a legge 724/1994. Privo di spiegazione logica, prima che giuridica, è, poi, l’affermato difetto di colleg amento tra le eccezioni proposte dalla società e la notifica della cartella impugnata.
3 . Con il secondo motivo la contribuente denuncia l’«error in iudicando, violazione e falsa applicazione dell’art. 37bis, comma 8 del d.p.r. n. 600 del 1973 (ancora in vigore nell’anno 2014), in riferimento all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.» per avere la CTR erroneamente ritenuto necessaria, al fine di ottenere il vantaggio della non operatività della disciplina de qua , la procedura di interpello prevista dall’art. 37bis d.P.R. n. 600/1973.
Anche questo motivo è fondato.
3.1. Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v., ex multis , Cass. 15/10/2021, n. 28251) «in tema di società di comodo, l’interpello disapplicativo conseguente al mancato superamento del test di operatività previsto dall’art. 30 della l. n. 724 del 1994 (vigente “ratione temporis”), non presenta natura di una condizione di procedibilità e di limitazione della tutela giurisdizionale del contribuente, né comporta l’elisione della facoltà, per quest’ultimo, di superare la presunzione legale di non operatività sancita dal primo comma della disposizione citata, assumendo all’uopo rilievo i principi costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), per effetto dei quali non è impedito al contribuente sia di discostarsi dalla risposta negativa all’interpello resa dalla Amministrazione – senza doverla necessariamente impugnare per evitarne la cristallizzazione, potendo comunque impugnare gli atti successivi di applicazione delle disposizioni antielusive – sia di
esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico impositivo che gli venga successivamente notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva».
La CTR non ha fatto corretta applicazione dei detti principi, avendo affermato la necessità, per la contribuente, di proporre l’interpello all’Agenzia onde ottenere i vantaggi della sua non operatività.
Il ricorso va, in definitiva, accolto; la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, Sezione Staccata di Salerno, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame in applicazione degli affermati principi ed alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, Sezione Staccata di Salerno, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame, nonché a regolate le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 luglio 2025.