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Società di comodo: inoperatività e onere della prova

Una società, ritenuta una ‘società di comodo’ per non aver superato il test di operatività, ha impugnato un avviso di accertamento fiscale. La sua difesa si basava sull’impossibilità oggettiva di produrre reddito, dovuta all’inagibilità del suo unico immobile per lavori di bonifica da amianto. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che la temporanea inutilizzabilità di un singolo bene non è sufficiente a superare la presunzione di inoperatività, soprattutto a fronte di una totale assenza di struttura imprenditoriale (mancanza di personale, mezzi e fatturato significativo per anni). La Corte ha qualificato l’inattività della società come ‘assoluta’ e non meramente temporanea, confermando così la legittimità dell’accertamento fiscale.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: l’inutilizzabilità di un immobile non basta a evitare la tassazione

La disciplina sulla società di comodo rappresenta uno strumento cruciale per l’amministrazione finanziaria nella lotta all’elusione fiscale. Ma cosa succede se una società non produce reddito a causa di una situazione oggettiva, come l’inagibilità del suo unico bene? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sulla questione, distinguendo tra inoperatività temporanea e inoperatività ‘assoluta’. Vediamo nel dettaglio i fatti e i principi affermati dai giudici.

I Fatti del Caso: La Controversia Fiscale

Una società operante nel settore dei trasporti riceveva un avviso di accertamento per l’anno 2007. L’Agenzia delle Entrate contestava la mancata compilazione del test di operatività, applicando di conseguenza la disciplina prevista per le società di comodo (art. 30 della Legge n. 724/1994), che presume un reddito minimo imponibile basato sul valore degli asset societari.

La società si opponeva, sostenendo di trovarsi in una situazione oggettiva di impossibilità a produrre reddito. Il suo unico bene patrimoniale di rilievo, un immobile, era risultato inagibile dal 1993 a causa della presenza di amianto e, nel periodo contestato (2000-2007), era oggetto di complessi lavori di bonifica. Secondo la contribuente, questa condizione dimostrava una ‘inutilizzabilità temporanea’ del bene che avrebbe dovuto giustificare la disapplicazione della normativa. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale respingevano però le sue ragioni, portando il caso dinanzi alla Corte di Cassazione.

La disciplina sulla società di comodo e la prova contraria

La normativa sulle società di comodo presume che una società che non raggiunge un livello minimo di ricavi, rapportato al valore dei suoi beni, non svolga una reale attività d’impresa. L’obiettivo è tassare quelle entità create al solo scopo di gestire patrimoni personali, eludendo una tassazione più onerosa.

Il contribuente può superare questa presunzione fornendo la prova contraria, ovvero dimostrando l’esistenza di ‘situazioni oggettive’ che hanno impedito di raggiungere la soglia di operatività. In questo contesto, la difesa della società si concentrava sull’inagibilità dell’immobile come prova principe di tale impossibilità.

La Decisione della Cassazione: Inoperatività “Assoluta” vs. Temporanea

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, ritenendo infondati i motivi di doglianza. I giudici hanno sottolineato una distinzione fondamentale tra l’inoperatività legata a un singolo bene e l’inoperatività strutturale dell’intera azienda.

Le motivazioni

La Corte ha evidenziato come le sentenze di merito avessero correttamente accertato una situazione di ‘inoperatività in assoluto’. L’analisi non si è fermata alla questione dell’immobile, ma ha abbracciato l’intera struttura aziendale. È emerso che la società, pur avendo come oggetto sociale l’attività di trasporto, era priva di personale e di mezzi. Inoltre, in un lungo arco temporale (dal 1990 al 2007), aveva emesso solamente tre fatture, tutte risalenti al 1997.

Questi elementi, secondo la Cassazione, dimostravano in modo concorde una totale assenza di struttura imprenditoriale. Di fronte a questo quadro, l’inutilizzabilità temporanea dell’immobile diventava irrilevante. L’assenza di un’attività economica effettiva escludeva che la bonifica potesse essere considerata una sospensione temporanea di un’attività esistente. Anzi, gli stessi lavori di bonifica sono stati ritenuti coerenti con una finalità di mero godimento del bene, tipica delle società di comodo.

Infine, la Corte ha rilevato, a titolo preliminare, che la società non aveva neppure presentato il prescritto interpello disapplicativo per l’anno d’imposta 2007, un passaggio formale che avrebbe potuto supportare le sue ragioni.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per vincere la presunzione di essere una società di comodo, non è sufficiente addurre un impedimento oggettivo legato a un singolo asset. È necessario dimostrare che, al di là di tale impedimento, esiste una struttura aziendale concreta e un’intenzione reale di svolgere attività d’impresa. L’inattività prolungata e la mancanza di elementi basilari come personale e mezzi sono indici potenti di un’inoperatività ‘assoluta’ che la normativa intende colpire. La sentenza costituisce un monito per tutte quelle società che, pur formalmente esistenti, sono di fatto dei meri contenitori di beni privi di una reale sostanza economica.

L’inutilizzabilità temporanea di un immobile è sufficiente per disapplicare la normativa sulle società di comodo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è sufficiente se la società è contestualmente priva di una qualsiasi struttura imprenditoriale (personale, mezzi, attività commerciale effettiva). In questo caso, l’inoperatività viene considerata ‘assoluta’ e non solo temporanea, legittimando l’applicazione della normativa.

Cosa deve dimostrare una società per non essere considerata una società di comodo?
Deve provare l’esistenza di situazioni oggettive che hanno reso impossibile il raggiungimento dei ricavi minimi presunti dalla legge. La sentenza chiarisce che tale prova deve essere convincente e riguardare la complessiva operatività aziendale, non potendosi basare unicamente su un problema relativo a un singolo bene, specialmente se la società è palesemente inattiva da anni.

È importante presentare l’interpello disapplicativo per una società di comodo?
Sì. Sebbene la Corte abbia esaminato il caso nel merito, ha preliminarmente evidenziato che la società non aveva presentato il prescritto interpello disapplicativo per l’anno d’imposta contestato. Questo suggerisce che tale procedura sia un passo procedurale fondamentale per giustificare formalmente la richiesta di disapplicazione della normativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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