Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33364 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33364 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 7642/2017 proposto da:
COGNOME NOME, già liquidatore della società RAGIONE_SOCIALE», COGNOME NOME e COGNOME Felice, in qualità di soci, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione.
Pec: NOMEEMAIL.ordineavvocaticatania.it
-ricorrenti-
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della PUGLIA n. 2141/2016, depositata in data 19 settembre 2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e dai soci, annullando l’avviso di accertamento, con il quale era stato rideterminato un reddito imponibile ai fini Ires di euro 62,00 e un valore di produzione netta di euro 62,00, era stata rettificata l’imposta a credito Iva da euro 105.342,00 ad euro 0,00, ritenendo applicabile la disciplina sulle società non operative di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994, ed erano state irrogate sanzioni pari ad euro 105.361,00.
I giudici di secondo grado hanno ritenuto fondato l’appello affermando che « Ritiene il Collegio che dalla documentazione in atti emerge con tutta evidenza che, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di prime cure, la società RAGIONE_SOCIALE era da considerarsi una società di comodo a scopi elusivi e non una compagine di soggetti che non riuscivano a mettersi d’accordo sulla liquidazione pure avendo già iniziato la procedura. Non emerge infatti che la società rientrasse in una delle ipotesi di esclusione automatica delle disposizioni antielusive per cui la stessa doveva effettuare il test di operatività previsto dalla legge mentre non ha nemmeno chiesto per interpello la disapplicazione delle disposizioni antielusive come previsto dal comma IV bis dell’art. 30 della Legge n. 724/94. Orbene non coglie nel segno la generica eccezione di parte appellata che si riporta alla indicazione secondo cui vi era l’impossibilità di concludere la liquidazione a causa di un contenzioso tra soci perché correttamente l’Ufficio tenuto conto della mancata compilazione del prospetto di verifica della operatività inserito nel quadro RS del Modello Unico relativo all’anno 2010, recuperava l’eccedenza del credito IVA indicato nel quadro VL del Modello Unico 2010, così disconoscendo il rimborso IVA richiesto ».
COGNOME NOME, già liquidatore della società RAGIONE_SOCIALE» e COGNOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di soci, hanno proposto ricorso per cassazione con atto affidato a sei motivi.
L ‘Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 53 del decreto legislativo n. 546 del 1992, in quanto l’appello era stato proposto contro parti diverse da quelle del giudizio di primo grado ed era evidente l’incertezza delle parti chiamate in giudizio (l’appello era stato proposto contro la società, il liquidatore e i soci, mentre il ricorso era stato proposto dal già liquidatore e dai soci). I giudici di secondo grado avevano omesso di dichiarare l’inammissibilità dell’appello violando l’art. 53 del decreto legislativo n. 546 del 1992.
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 Come già precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte la cancellazione della società dal registro delle imprese ne determina ipso facto l’estinzione, avendo assunto la formalità della cancellazione a seguito della vicenda riformatrice la medesima efficacia costitutiva che per le società di capitali riveste la formalità dell’iscrizione, e ciò indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo e che, poiché al novellato art. 2495 cod. civ. (nel testo risultante dopo la riforma del diritto societario, attuata dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, la cui entrata in vigore è stata fissata al 1° gennaio 2004) che afferma il detto principio non è attribuibile natura interpretativa della disciplina previgente, in mancanza di un’espressa previsione di legge, non avendo esso efficacia retroattiva e dovendo tutelarsi l’affidamento dei cittadini in ordine agli effetti della cancellazione in rapporto all’epoca in cui essa ha avuto luogo, per le società cancellate in epoca anteriore al 1 gennaio 2004 l’estinzione
opera solo a partire dalla predetta data (Cass., Sez. U., 22 febbraio 2010, nn. 4060, 4061 e 4062).
1.3 Questa Corte, inoltre, con riguardo all’effetto estintivo delle società (sia di persone che di capitali) derivante dalla cancellazione dal registro delle imprese, ha precisato che il « D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, art. 28, comma 4, in quanto recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa (neppure implicita) né efficacia retroattiva, sicché il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495 c. c., comma 2 -operante nei confronti soltanto dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi -si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza della nuova disciplina di detto D.Lgs., ossia il 13 dicembre 2014, o successivamente » (cfr. tra le tante, Cass., 5 maggio 2017, n. 11100; Cass, 28 settembre 2016, n. 19142; Cass., 2 aprile 2015, n. 6743).
1.4 Ancora, è stato ripetutamente chiarito, con riferimento sia a diverse tipologie di enti collettivi (società di capitali, società di persone, associazioni non riconosciute) che a diverse tipologie di atti (avvisi di accertamento, cartelle di pagamento), che « in tema di contenzioso tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicché eliminandosi ogni possibilità di prosecuzione dell’azione, consegue l’annullamento senza rinvio ex art. 382 c.p.c., della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, ricorrendo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre da subito ad una pronuncia declinatoria di merito” trattandosi di
impugnazione “improponibile, poiché l’inesistenza del ricorrente è rilevabile anche d’ufficio non essendovi spazio per ulteriori valutazioni circa la sorte dell’atto impugnato, proprio per il fatto di essere stato emesso nei confronti di un soggetto già estinto » (Cass., 19 settembre 2019, n. 23365; Cass., 15 giugno 2018, n. 15844; Cass., 23 marzo 2016, n. 5736).
1.5 Le Sezioni Unite, invero, hanno ulteriormente chiarito che, a seguito dell’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, viene a determinarsi un fenomeno « di tipo successorio », in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono (il che sacrificherebbe ingiustamente i diritti dei creditori sociali), ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate . Ne discende che i soci peculiari successori della società, subentrano, altresì, nella legittimazione processuale facente capo all’ente -la cui estinzione è in parte equiparabile alla morte della persona fisica, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ. -in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovverosia a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale (Cass., Sez. U., 12 marzo 2013, nn. 6070, 6071 e 6072).
1.6 Dunque, a seguito dell’estinzione della società e della conseguente perdita della capacità processuale, il processo continua nei confronti dei soci, costituendo costoro la giusta parte processuale abilitata, in ragione del fenomeno « latamente successorio » che si realizza a seguito della cancellazione, ad assumere la veste di legittimo contraddittore nel successivo svolgimento del rapporto processuale, mentre nessuna persistente legittimazione può ravvisarsi in capo al liquidatore, poiché l’art. 2495, comma secondo, cod. civ. consente ai creditori sociali insoddisfatti di agire nei confronti del liquidatore solo se il mancato
pagamento è dipeso da questi, in quanto « il liquidatore di una società estinta per cancellazione dal registro delle imprese può ben essere destinatario di una autonoma azione risarcitoria, ma non della pretesa attinente al debito sociale, onde è inammissibile l’impugnazione proposta nei confronti del medesimo con riguardo alla sentenza relativa a quel debito, atteso che la posizione del liquidatore non è quella di successore processuale dell’ente estinto » (Cass., 16 maggio 2012, n. 7676).
1.7 Anche di recente, questa Corte, con specifico riferimento alla posizione dei soci, ha precisato che, nel processo tributario, l’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono venendo altrimenti sacrificato ingiustamente il diritto dei creditori sociali – ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate ; ne discende che i soci peculiari successori della società subentrano ex art. 110 cod. proc. civ. nella legittimazione processuale facente capo all’ente, in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovvero a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale, dovendo invece escludersi la legittimazione ad causam del liquidatore della società il quale può essere destinatario di un’autonoma azione risarcitoria ma non della pretesa attinente al debito sociale (cfr., tra le tante, Cass., 30 luglio 2020, n. 16362).
1.8 Ciò posto, nella specie, la società RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione, è stata cancellata dal registro delle imprese in data 8 ottobre 2013 (cfr. pag. 3 del ricorso per cassazione), con conseguente perdita della capacità processuale della società (non operando, per quanto rilevato sopra, il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della
società ex art. 28, comma 4, del decreto legislativo n. 175 del 2014) e il difetto di legittimazione processuale (attiva) di COGNOME NOME, quale liquidatore della società, sin dalla data della instaurazione del giudizio di primo grado (introdotto anche dalla società), poiché la pretesa azionata con l’avviso di accertamento notificato in data 20 marzo 2014 era attinente al debito sociale, e non già ad un’autonoma azione risarcitoria nei confronti del liquidatore, e considerato, per quanto rilevato, che la posizione di quest’ultimo non è quella di successore processuale dell’ente estinto; mentre con riferimento alla posizione dei due soci, COGNOME NOME e COGNOME Felice, tali qualificatisi, questi possono ritenersi correttamente subentrati ex art. 110 cod. proc. civ. nella legittimazione processuale facente capo alla società cancellata. Quindi da un lato sussisteva il difetto di legittimazione attiva di COGNOME Francesco, quale liquidatore della società estinta, già alla data della proposizione del ricorso di primo grado, difetto di legittimazione attiva che non è stato rilevato dai giudici di primo grado e, dall’altro, l’appello non poteva essere proposto nei confronti della società, estinta, e del liquidatore COGNOME Francesco, ma soltanto nei confronti dei soci COGNOME NOME e COGNOME Felice.
Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2495 cod. civ.. I giudici di secondo grado erano incorsi nella violazione della norma richiamata nella parte in cui non a vevano rilevato d’Ufficio la nullità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società estinta per carenza del soggetto passivo dell’obbligazione tributaria . L’avviso di accertamento, inoltre, poteva essere emesso nei confronti dei soci nei limiti di quanto prescritto nell’art. 2945 cod. civ. .
2.1 Il motivo, che in parte ribadisce profili già esaminati in relazione alla prima censura, è infondato, in quanto, come già precisato, nel processo tributario, l’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, determina
un fenomeno di « tipo successorio », in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono, venendo altrimenti sacrificato ingiustamente il diritto dei creditori sociali, ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate (cfr., più di recente, Cass., 29 aprile 2024, n. 14111; Cass., 28 febbraio 2024, n. 5237).
Il terzo motivo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione e, in particolare, della specifica contestazione della mancanza dei presupposti di applicabilità della disciplina delle società non operative di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994, ovvero della mancanza di immobilizzazioni sulla base dei quali si poteva configurare una società di comodo per avvenuta dismissione degli stessi ad eccezione di un misuratore fiscale di valore irrisorio che non era stato possibile vendere perché fuori uso e fuori mercato.
3.1 Il motivo è inammissibile, atteso che il denunciato vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., concerne esclusivamente l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo per il giudizio (Cass., Sez. U., sentenza 7 aprile 2014, n. 8053).
3.2 Questa Corte ha, infatti, chiarito che il fatto storico prospettato, inteso come un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, deve essere decisivo, ovvero per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza conduca, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, ad una diversa decisione, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data, vale a dire un fatto che se esaminato
avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 14 novembre 2013, n. 25608).
3.3 Il vizio dedotto, dunque, non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511); né è inquadrabile, nel paradigma normativo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del decreto legge n. 83/2021, convertito con modificazioni dalla legge n. 134/2012, la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., 18 ottobre 2018, n. 26305; Cass., 14 giugno 2017, n. 14802).
3.4 Nello specifico, invero, la parte ricorrente nemmeno riproduce nel ricorso per cassazione il contenuto delle deduzioni difensive contenenti l’allegazione dei fatti dedotti, né viene indicato quando essi siano stati argomentati e in quale parte del ricorso di primo grado e delle controdeduzioni in appello essi siano stati formulati al fine di consentire ai giudici di merito il loro esame e la loro valutazione, ciò anche con specifico riferimento alla mancanza di immobilizzazioni e all’esistenza di un misuratore fiscale di valore irrisorio che devono ritenersi anche questioni nuove che non risultano dal provvedimento impugnato.
4. Il quarto motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994. La sentenza impugnata era viziata perché i giudici di secondo grado avevano ritenuto che la società contribuente fosse una società di comodo a scopo elusivo, di contro a quanto emerso dall’avviso di accertamento dove risultava che la società non possedeva alcun bene se non un misuratore fiscale di valore irrisorio che non era stato
possibile vendere perché fuori uso e fuori mercato; che la società già nell’anno 2007 aveva dismesso la quasi totalità delle immobilizzazioni materiali e immateriali, sicché in assenza di immobilizzazioni la società non poteva essere definita società di comodo.
Il quinto motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994. I giudici di secondo grado avevano ritenuto, errando, che la mancata compilazione del prospetto di verifica della operatività inserito nel quadro RS del Modello Unico relativo all’anno 2010, unitamente alla mancanza di richiesta per interpello della disapplicazione (che, invece, costituiva per il contribuente una semplice facoltà come chiarito dalla stessa Agenzia con la Circolare n. 32 del 2010) comportava automaticamente l’applicabilità della disciplina delle società non operative indipendentemente dalla reale sussistenza di obiettive condizioni che rendevano impossibile il conseguimento di ricavi.
Il sesto motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, 5, 7, 12 e 17 del decreto legislativo n. 472 del 1997 e dell’art. 5, comma 4, del decreto legislativo n. 471 del 1997. I giudici di secondo grado avevano errato ritenendo legittima la sanzione irrogata dall’Ufficio in assenza della presentazione di una dichiarazione infedele, in quanto la società si era limitata a riportare nella dichiarazione 2013, relativa all’anno 2012, un credito maturato nel triennio precedente, peraltro mai contestato dall’Ufficio in tutti gli anni in cui tale credito era stato riportato in dichiarazione. In ogni caso, mancava anche il requisito della colpevolezza di cui all’art. 5 del decreto le gislativo n. 472 del 1997.
L’esame delle censure (motivi quattro, cinque e sesto) porta all’accoglimento del quarto e quinto motivo, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, e all’assorbimento del sesto motivo concernente l’applicazione delle sanzioni.
7.1 Deve premettersi che il decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 (cosiddetta « Manovra di Ferragosto » ), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, p ubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 216 del 16 settembre 2011 ed entrata in vigore il 17 settembre 2011, ha stabilito che una società acquisisce la qualifica di società di comodo e, di conseguenza, soggiace alle restrizioni e alle penalizzazioni previste dall’art. 30 delle legge 23 dicembre 1994, n. 724, qualora abbia dichiarato perdite fiscali per tre periodi d’imposta consecutivi, oppure abbia dichiarato perdite fiscali per due di tali periodi e, per il restante periodo, un reddito inferiore a quello minimo determinato ai sensi dell’art. 30, comma 3, della legge n. 724 del 1994. Più specificamente l’art. 2, commi 36 -decies e 36undecies , del decreto legge n. 138 del 2011 (nella versione ratione temporis vigente, anteriore alla modifica introdotta dall’art. 18, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175) stabilisce che le società e gli enti indicati nel comma 1 del citato art. 30 assumono automaticamente la qualifica di «società di comodo» nell’ipotesi in cui abbiano dichiarato perdite fiscali per tre esercizi consecutivi o abbiano evidenziato, nell’arco di tre esercizi, perdite fiscali in due di tali esercizi e nell’altro un reddito inferiore a quello minimo determinato in base all’art. 30, comma 3, della legge n. 724 del 1994.
7.2 Al verificarsi di tali presupposti, si applica la disciplina delle società non operative con riferimento al primo periodo d’imposta successivo al triennio (o quinquennio) sul quale è stata operata la verifica e tale presunzione (legale) di non operatività trova applicazione nei confronti di tutti i soggetti indicati nell’art. 30, comma 1, della legge n. 724 del 1994 (società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, sia quelle in contabilità ordinaria che quelle in regime contabile semplificato, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, mentre non interessa le società cooperative e
di mutua assicurazione, le società semplici e gli enti commerciali e non commerciali residenti).
7.3 La finalità perseguita dalla novella legislativa in commento con l’art. 2, commi 36 -decies , 36undecies e 36duodecies, del decreto legge n. 138 del 2011 (che è stata abrogata dall’art. 9, comma 1, del decreto legge 21 giugno 2022, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2022, n. 122, a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2022), secondo autorevole dottrina, non è diversa da quella sottesa all’introduzione, dell’art. 24, comma 1, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, dell’obbligo, posto in capo all’Amministrazione finanziaria, di svolgere un’attività di vigilanza ad hoc sulle imprese che si dichiarano in perdita per almeno due esercizi consecutivi ed, infatti, entrambe le previsioni normative rispondono all’esigenza di contrastare l’evasione e l’elusione fiscale, di cui il ripetersi di dichiarazioni in perdita può rappresentare un fattore sintomatico, se si considera che si tratta di una condotta che, almeno in linea di principio, esula da ogni logica economica ed imprenditoriale e depone per un posizionamento fuori mercato dell’impresa.
7.4 In particolare, l’assunzione della qualifica di «società di comodo», quale conseguenza della reiterata dichiarazione di perdite fiscali, comporta l’applicazione delle diverse restrizioni previste per le società che non superano il test di operatività basato sui ricavi e, con specifico riferimento all’Iva , l’impo ssibilità di richiedere a rimborso, di cedere o di utilizzare in compensazione orizzontale il credito Iva eventualmente spettante, nonché la perdita definitiva del credito medesimo nell’ipotesi in cui per tre annualità consecutive la società risulti non operativa e nelle stesse annualità effettui operazioni rilevanti ai fini Iva di importo inferiore a quello presunto in base all’applicazione delle percentuali previste per la determinazione della soglia minima di ricavi.
7.5 Inoltre, con riferimento alla decorrenza della normativa dettata in tema di società in perdita sistematica, l’art. 2, comma 36duodecies ,
del decreto legge n. 138 del 2011, prevede espressamente che la disciplina si applica a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del detto decreto, cioè alla data del 17 settembre 2011, ovvero a partire dall’esercizio 2012 e che, con riferimento al periodo di imposta 2012, la situazione reddituale che viene in rilievo è quella del triennio 2009, 2010 e 2011.
7.6 Come è stato affermato dalla dottrina, sotto il profilo pratico, il triennio che occorre monitorare, per verificare la sussistenza delle condizioni sopra descritte, ha carattere «mobile», ossia varia di anno in anno. Così, per stabilire se, in base alla nuova normativa, una società sia in perdita sistematica con riferimento al periodo d’imposta 2012, si dovrà monitorare il triennio 2009-2011, mentre per stabilire se la medesima società sia da classificare tale per il successivo periodo d’imposta 2013, occorrerà avere riguardo al triennio 2010-2012.
7.7 L’art. 2, comma 36decies , del decreto legge n. 138 del 2011 prosegue stabilendo che « Restano ferme le cause di non applicazione della disciplina in materia di società non operative di cui al predetto art. 30 della legge n. 724 del 1994 », così come le società possono disapplicare la disciplina sulle società in perdita sistematica di cui al citato articolo 2, commi 36decies e ss., senza dovere assolvere all’onere di presentare istanza di interpello di cui al comma 4bis dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994 (cfr. Cass. , 24 febbraio 2021, n. 4946; Cass., 28 maggio 2020, n. 10158; Cass., 15 marzo 2019, n.7402; Cass., 27 marzo 2015, n. 6200; Cass., 28 luglio 2017, n. 18807; Cass., 12 maggio 2012, n. 17010) anche qualora la società si trovi in una della situazioni oggettive, individuate dal Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate dell’11 giugno 2012, n. prot. 87956 (e prima ancora dal Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 14 febbraio 2008, n. prot. 23681, in materia di società «non operative»).
7.8 Più specificamente, il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, con provvedimento dell’11 giugno 2012, ha disposto che: « Ai sensi del combinato disposto del comma 36decies dell’articolo 2 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, e del comma 4ter dell’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 e successive modificazioni, possono disapplicare la disciplina sulle società in perdita sistematica di cui al citato articolo 2, commi 36-decies e seguenti, senza dover assolvere all’onere di presentare istanza di interpello le società che in almeno uno dei tre periodi d’imposta indicati nel comma 36 -decies del citato articolo 2, si trovano in una delle seguenti situazioni: a) società in stato di liquidazione che con impegno assunto in dichiarazione dei redditi richiedono la cancellazione dal registro delle imprese a norma degli articoli 2312 e 2495 del codice civile entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi successiva. La disapplicazione opera con riferimento al periodo di imposta in corso alla data di assunzione del predetto impegno, a quello precedente e al successivo, ovvero con riferimento all’unico periodo di imposta di cui all’articolo 182, commi 2 e 3, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni ed integrazioni ».
7.9 La situazione oggettiva individuata al paragrafo 1, lettera a) (che è quella che rileva nel caso di specie), consente, dunque, la disapplicazione automatica della disciplina sulle società in perdita sistematica a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 148 del 2011, ovvero a decorrere dal 2012. Al ricorrere di detta situazione è consentito disapplicare automaticamente la disciplina sulle società in perdita sistematica, senza necessità di presentare istanza di disapplicazione e la individuata situazione oggettiva è riferita esclusivamente ad uno solo dei periodi d’imposta indicati nel comma 36 -decies del citato articolo 2, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, e del comma 4ter dell’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 determinando un immediato effetto interruttivo del periodo di osservazione di riferimento.
7.10 La sentenza impugnata non si è attenuta ai principi normativi sopra esposti, tenuto conto che la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, secondo la prospettazione dell’Ufficio era non operativa negli anni 2007, 2008, 2009 e 2010 (cfr. pag. 5 del ricorso per cassazione), si era cancellata in data 8 ottobre 2013 ed aveva chiesto il rimborso del credito Iva relativo all’anno 2012 (Unico 2013); ed invero il dato letterale delle norme richiamate è nel senso della non applicazione della presunzione legale sulle società in perdita sistematica sin dal 2012 se nei tre esercizi antecedenti (o in uno di essi) si verificano i presupposti oggettivi individuati per l’operatività della causa di disapplicazione, ovvero lo stato di liquidazione e l’impegno a cancellarsi, né rileva, come ha assunto la Commissione tributaria di secondo grado (errando) il dato meramente formale della mancata indicazione nell’apposita sezione dedicata alle società non operative (quadro RF74) dello status di soggetto in perdita sistematica e della causa di disapplicazione invocata (tenuto conto che il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 87956 è entrato in vigore in data 11 giugno 2012 mediante pubblicazione sul sito Internet dell’Agenz ia delle Entrate e la disapplicazione della presunzione legale in tema di società in perdita sistematica poteva essere richiesta a partire dal 2012), né, per quanto rilevato, la mancata presentazione dell’istanza di interpello . La stessa Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 23/E dell’11 giugno 2012, specifica che, ai fini della disciplina sulle società in perdita sistematica, le cause di disapplicazione automatica indicate nel provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate dell’11 giugno 2012, n. 87956, assumono rilevanza esclusivamente nel periodo di osservazione (cfr. pag. 6 della Circolare richiamata). I giudici di secondo grado, dunque,
non hanno operato l’accertamento in fatto previsto dalle norme ai fini dell’applicabilità o meno della disciplina delle società non operative , prescindendo del tutto dai presupposti normativi di riferimento, avendo genericamente affermato che « Ritiene il Collegio che dalla documentazione in atti emerge con tutta evidenza che, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di prime cure, la società RAGIONE_SOCIALE era da considerarsi una società di comodo a scopi elusivi e non una compagine di soggetti che non riuscivano a mettersi d’accordo sulla liquidazione pure avendo già iniziato la procedura. Non emerge infatti che la società rientrasse in una delle ipotesi di esclusione automatica delle disposizioni antielusive per cui la stessa doveva effettuare il test di operatività previsto dalla legge mentre non ha nemmeno chiesto per interpello la disapplicazione delle disposizioni antielusive come previsto dal comma IV bis dell’art. 30 della Legge n. 724/94».
Per le ragioni di cui sopra, vanno accolti il quarto e il quinto motivo, con assorbimento del sesto e vanno rigettati il primo, il secondo e il terzo motivo; la sentenza impugnata va cassata, in relazione ai motivi accolti, e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto e il quinto motivo, con assorbimento del sesto e rigetta il primo, il secondo e il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 23 ottobre 2024.