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Società di comodo: il valore fiscale prevale

La Corte di Cassazione ha chiarito che, ai fini della disciplina delle società di comodo, il valore degli immobili da considerare per il “test di operatività” è quello fiscale e non quello civilistico, anche se quest’ultimo è stato rivalutato a seguito di una trasformazione societaria. L’ordinanza sottolinea il principio di neutralità fiscale delle operazioni di riorganizzazione. Tuttavia, ha anche stabilito che mantenere volontariamente un immobile inattivo o concederlo in uso ai soci sono elementi rilevanti per qualificare una società come “di comodo”, cassando la sentenza precedente e rinviando per un nuovo esame su questi punti.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: il valore fiscale batte quello civile nel test di operatività

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per le imprese: la corretta applicazione della disciplina sulle società di comodo. Il caso analizzato chiarisce un dubbio fondamentale: in seguito a una trasformazione societaria con rivalutazione dei beni, quale valore deve essere utilizzato per il temuto “test di operatività”? La risposta della Corte è netta e si fonda sul principio di separazione tra valore civilistico e valore fiscale.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Amministrazione Finanziaria a una S.r.l., con cui veniva rideterminato il reddito d’impresa per l’anno 2009. Secondo l’Ufficio, la società non superava il “test di operatività” e andava quindi qualificata come società di comodo, con conseguente tassazione su un reddito minimo presunto.

Il punto di scontro era il valore delle immobilizzazioni materiali. L’Agenzia aveva utilizzato il valore più alto iscritto nel bilancio civilistico, un valore che derivava da una perizia di stima redatta durante la trasformazione della società da società di persone a società di capitali. La società contribuente, al contrario, sosteneva che il valore corretto da utilizzare fosse quello fiscalmente riconosciuto, ovvero il costo storico, significativamente più basso.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto solo in parte le ragioni dell’Amministrazione Finanziaria. Ha rigettato il primo motivo di ricorso, confermando che per il test di operatività si deve usare il valore fiscale dei beni. Tuttavia, ha accolto gli altri due motivi, relativi alla gestione di specifici immobili, cassando con rinvio la sentenza della Commissione Tributaria Regionale.

Le Motivazioni: il valore fiscale per la società di comodo

Le motivazioni dell’ordinanza offrono importanti principi guida per le imprese.

Il Principio di Neutralità Fiscale nella Trasformazione Societaria

La Corte ribadisce un caposaldo del diritto tributario: la trasformazione societaria è un’operazione fiscalmente neutra. L’articolo 170 del T.U.I.R. stabilisce che tale operazione non costituisce realizzo di plusvalenze o minusvalenze. La rivalutazione dei beni effettuata ai sensi dell’art. 2500-ter c.c. ha finalità puramente civilistiche, come la determinazione del capitale sociale della nuova entità, ma non produce alcun effetto fiscale. Di conseguenza, il valore fiscale dei beni rimane ancorato al costo storico, a meno che non intervenga una specifica legge che consenta un affrancamento tramite imposta sostitutiva.

Il Test di Operatività e la valutazione degli asset

Poiché il test di operatività è una norma prettamente fiscale, deve basarsi su dati fiscalmente rilevanti. Utilizzare il valore civilistico rivalutato, come pretendeva l’Ufficio, avrebbe significato alterare la base di calcolo del test, contravvenendo al principio di neutralità. La Corte ha quindi confermato che il valore da assumere è quello fiscalmente riconosciuto, più basso, e non quello risultante dalla perizia di trasformazione.

La Rilevanza degli Immobili Non Utilizzati e l’inerzia volontaria

Tuttavia, la decisione prende una piega diversa analizzando la gestione di due immobili specifici.
Per un primo immobile, la società aveva giustificato la sua classificazione tra le rimanenze (e la sua inagibilità) come una “scelta strategica”. La Corte ha respinto questa visione, affermando che mantenere volontariamente un bene in una condizione che ne preclude la produzione di reddito è un chiaro sintomo di inerzia, proprio il comportamento che la normativa sulle società di comodo intende contrastare.
Per un secondo immobile, risultato nella disponibilità dei soci, la Corte ha stabilito che tale circostanza doveva essere adeguatamente ponderata dal giudice di merito per verificare l’effettiva operatività della società.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione delinea un quadro chiaro. Da un lato, protegge le imprese dagli automatismi fiscali, riaffermando che i valori civilistici derivanti da operazioni neutre non possono essere usati per penalizzare il contribuente nel test di operatività. Dall’altro, lancia un monito: la disciplina delle società di comodo non può essere aggirata attraverso scelte gestionali palesemente anti-economiche, come lasciare un immobile inattivo, o destinando i beni sociali all’uso personale dei soci. La valutazione dell’operatività di un’impresa rimane un’analisi sostanziale, che va oltre le semplici appostazioni di bilancio.

Nella verifica per le società di comodo, quale valore dei beni si deve usare dopo una trasformazione societaria?
Si deve utilizzare il valore fiscalmente riconosciuto, che non è influenzato dalla rivalutazione effettuata ai soli fini civilistici durante la trasformazione, in virtù del principio di neutralità fiscale.

Se un’azienda classifica un immobile inagibile tra le rimanenze come “scelta strategica”, può evitare la disciplina delle società di comodo?
No. Secondo la Corte, mantenere volontariamente un bene in condizione di inagibilità, impedendogli di produrre reddito, è proprio un sintomo dell’inerzia che la normativa sulle società di comodo intende colpire.

L’uso di un immobile aziendale da parte dei soci ha rilevanza per il test di operatività?
Sì. La disponibilità del bene in capo ai soci è un elemento che il giudice deve considerare per verificare la sussistenza o meno dell’operatività della società ai fini dell’applicazione della disciplina delle società di comodo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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