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Società di comodo: il test di operatività fiscale

In un caso di accertamento su una società di comodo, la Corte di Cassazione ha chiarito che per il ‘test di operatività’ prevale il valore fiscale degli asset rispetto a quello civilistico rivalutato, se la rivalutazione deriva da un’operazione fiscalmente neutra. Tuttavia, ha anche stabilito che la scelta di mantenere un immobile inagibile o a disposizione dei soci non lo esclude automaticamente dal test, rinviando il caso per un nuovo esame su questi specifici aspetti.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: La Cassazione sul valore degli immobili e il test di operatività

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla disciplina delle società di comodo, fornendo chiarimenti cruciali sul corretto approccio da adottare nel cosiddetto ‘test di operatività’. La decisione analizza la differenza tra valore civilistico e valore fiscale dei beni a seguito di una trasformazione societaria e valuta la rilevanza degli immobili non utilizzati o a disposizione dei soci.

Il caso: Trasformazione societaria e disallineamento dei valori

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a una società a responsabilità limitata, con cui l’Amministrazione Finanziaria riqualificava l’ente come società di comodo per l’anno d’imposta 2010. Il Fisco aveva rideterminato il reddito imponibile applicando il test di operatività basandosi sul valore delle immobilizzazioni materiali iscritto in bilancio. Tale valore, tuttavia, era il risultato di una perizia di stima redatta in occasione della trasformazione della società da società di persone a società di capitali, avvenuta nel 2007. La società contribuente sosteneva che tale operazione fosse fiscalmente neutra e che, pertanto, ai fini fiscali dovesse essere considerato il valore storico dei beni, notevolmente inferiore.

I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, avevano dato ragione alla società, affermando il principio della prevalenza del valore fiscale su quello civilistico ai fini del test anti-elusivo.

Il test di operatività per le società di comodo: quale valore prevale?

Il primo motivo di ricorso dell’Amministrazione Finanziaria verteva proprio su questo punto: quale valore utilizzare per il calcolo del reddito minimo presunto? Quello civilistico, aggiornato e iscritto a bilancio, o quello fiscale, legato al costo storico?

La neutralità fiscale della trasformazione

La Corte di Cassazione ha respinto il motivo del Fisco, confermando l’orientamento dei giudici di merito. Il fulcro del ragionamento risiede nel principio di neutralità fiscale delle operazioni di trasformazione societaria, sancito dall’art. 170 del TUIR. Questa norma stabilisce che la trasformazione non costituisce realizzo di plusvalenze o minusvalenze. Di conseguenza, anche se per finalità civilistiche viene redatta una perizia che attesta un maggior valore degli asset (come richiesto dall’art. 2500-ter c.c.), tale maggior valore non assume rilevanza fiscale. Le plusvalenze latenti diventano imponibili solo se la società decide di ‘affrancarle’ attraverso il pagamento di un’imposta sostitutiva, secondo le specifiche leggi di rivalutazione.

La decisione della Corte sul primo motivo

Poiché nel caso di specie la società non aveva aderito a nessuna procedura di rivalutazione fiscale, il valore da considerare per il test di operatività era quello fiscalmente riconosciuto, ovvero il costo storico, e non quello, più elevato, derivante dalla perizia civilistica. Il Fisco non poteva, quindi, utilizzare il valore di bilancio per presumere la natura di società di comodo.

Immobili non operativi e la disciplina delle società di comodo

Se il primo motivo è stato respinto, la Corte ha invece accolto il secondo e il terzo motivo di ricorso, che riguardavano la gestione di due specifici immobili.

L’inerzia come sintomo di non operatività

Un primo immobile era stato contabilizzato tra le rimanenze di magazzino, nonostante fosse inagibile. La Commissione Tributaria Regionale aveva qualificato questa come una ‘scelta strategica’ dell’imprenditore, irrilevante ai fini della disciplina anti-elusiva. La Cassazione ha ribaltato questa visione, affermando che mantenere volontariamente un bene in uno stato di inagibilità è, al contrario, un ‘sintomo dell’inerzia consapevolmente abbracciata dalla società’. Tale comportamento, che preclude oggettivamente la produzione di reddito, non può essere una scusante ma, anzi, rafforza i presupposti per l’applicazione delle norme sulle società di comodo.

L’accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso

Un secondo immobile risultava nella disponibilità dei soci. Anche in questo caso, i giudici di merito non ne avevano tratto le dovute conseguenze. La Suprema Corte ha invece chiarito che la disponibilità del bene da parte dei soci è un elemento che deve essere attentamente valutato per verificare l’effettiva operatività della società. Di conseguenza, la Corte ha cassato la sentenza impugnata su questi due punti, rinviando la causa al giudice del merito per un nuovo esame che tenga conto della rilevanza di tali immobili ai fini del test di operatività.

Le motivazioni della decisione

La decisione della Corte si fonda su una distinzione netta tra il piano civilistico e quello fiscale. La rivalutazione civilistica dei beni in sede di trasformazione è un’esigenza legata alla corretta formazione del capitale sociale, ma non può avere implicazioni fiscali automatiche in assenza di una specifica opzione per l’affrancamento. Per quanto riguarda gli immobili non produttivi di reddito, la Corte applica un principio di sostanza sulla forma: la classificazione a bilancio (rimanenze) o la giustificazione di una ‘scelta strategica’ non sono sufficienti a superare l’evidenza fattuale di un asset non utilizzato per l’attività d’impresa, che è proprio il presupposto della normativa sulle società di comodo.

Conclusioni: implicazioni pratiche

Questa ordinanza offre due importanti lezioni. In primo luogo, conferma che nelle operazioni di riorganizzazione aziendale fiscalmente neutre, i valori da considerare ai fini fiscali restano quelli storici, a meno di un’espressa rivalutazione tassata. In secondo luogo, mette in guardia le società che detengono immobili non utilizzati: giustificare la loro presenza come ‘scelta strategica’ o classificarli come rimanenze non è sufficiente a evitare la qualifica di società di comodo, se di fatto tali beni sono tenuti in uno stato di inattività o sono a disposizione dei soci. È necessario dimostrare che l’inutilizzo è temporaneo e legato a concrete prospettive di sviluppo economico, e non una scelta di mera gestione patrimoniale.

Nella verifica per le società di comodo, quale valore si usa per i beni se quello civilistico è stato rivalutato ma quello fiscale no?
Si deve utilizzare il valore fiscalmente rilevante. La rivalutazione effettuata ai soli fini civilistici, come in caso di trasformazione societaria fiscalmente neutra, non ha effetto ai fini del ‘test di operatività’ se non è stata affrancata pagando un’imposta sostitutiva.

Classificare un immobile inagibile tra le ‘rimanenze’ lo esclude dal test di operatività per le società di comodo?
No. Secondo la Corte, mantenere volontariamente un bene in condizione di inagibilità, anche se classificato come rimanenza, è un sintomo di inerzia e non operatività, e quindi il bene deve essere considerato ai fini dell’applicazione delle disposizioni antielusive per le società di comodo.

Se un immobile societario è nella disponibilità dei soci, è rilevante ai fini del test di operatività?
Sì. La Corte ha stabilito che l’accertata disponibilità del bene in capo ai soci è un elemento che il giudice deve considerare per verificare la sussistenza o meno dell’operatività della società ai fini del ‘test di operatività’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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