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Società di comodo: il diniego è legittimo se inattiva

Una società immobiliare, rimasta inattiva per anni a seguito del diniego di un’autorizzazione amministrativa, si è vista respingere la richiesta di disapplicazione della normativa sulle società di comodo. La Corte di Cassazione ha stabilito che la prolungata inattività non costituisce una ‘circostanza oggettiva’ che giustifica l’esenzione dal regime fiscale penalizzante, ma rappresenta una scelta imprenditoriale soggettiva. Di conseguenza, il diniego dell’Agenzia Fiscale è stato ritenuto legittimo.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Comodo: L’Inattività Prolungata è una Scelta, non una Causa Oggettiva

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per molte imprese: la disciplina delle società di comodo. La decisione chiarisce i confini tra le ‘circostanze oggettive’ che giustificano la disapplicazione della normativa e le ‘scelte imprenditoriali’ che, al contrario, non esimono dagli obblighi fiscali. Il caso riguarda una società rimasta inattiva per anni a seguito del diniego di un’autorizzazione, la cui richiesta di disapplicazione è stata infine respinta.

I Fatti di Causa

Una società a responsabilità limitata acquistava nel 2003 un grande immobile con l’intento di trasformarlo in una struttura assistenziale. Dopo aver ottenuto un parere favorevole iniziale da parte dell’autorità sanitaria locale nel 2004, l’anno successivo la Regione negava l’autorizzazione definitiva a causa della saturazione dei posti disponibili sul territorio.

Di fronte a questo ostacolo, la società si trovava nell’impossibilità di avviare l’attività programmata. Infruttuosi anche i tentativi di vendere o affittare l’immobile. Per l’anno d’imposta 2013, la società presentava un interpello all’Agenzia Fiscale per chiedere la disapplicazione della normativa sulle società di comodo, sostenendo che la mancata produzione di ricavi fosse dovuta a una causa di forza maggiore, ovvero l’impossibilità oggettiva di utilizzare il suo unico e principale asset.

L’Agenzia Fiscale rigettava l’istanza, ritenendo che lo scopo sociale fosse di fatto venuto meno e che la società non avesse prospettato alcuna iniziativa concreta per raggiungere i propri obiettivi. La società impugnava il diniego e otteneva ragione sia in primo grado (CTP) che in appello (CTR), con i giudici di merito che riconoscevano la sussistenza di una ‘situazione oggettiva determinante’ che aveva reso impossibile il conseguimento dei ricavi.

La Questione Giuridica sulla Prova per la Società di Comodo

L’Agenzia Fiscale proponeva ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali:

1. L’impugnabilità dell’atto: Secondo l’Agenzia, il diniego all’interpello non rientrava tra gli atti autonomamente impugnabili.
2. La violazione di legge: I giudici di merito avrebbero errato nel ritenere provata la sussistenza di circostanze oggettive ed eccezionali, dato che la prolungata inattività della società rappresentava una scelta gestionale.

La Corte di Cassazione ha respinto il primo motivo, confermando un orientamento consolidato secondo cui qualsiasi atto che porti a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria è impugnabile. Ha invece accolto il secondo motivo, ribaltando la decisione dei giudici di merito.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha chiarito che la normativa sulle società di comodo mira a disincentivare il mantenimento in vita di enti societari che non svolgono un’effettiva attività d’impresa, trasformandosi in meri centri di imputazione di costi. Il contribuente ha l’onere di fornire la ‘prova contraria’, dimostrando l’esistenza di situazioni oggettive, specifiche e indipendenti dalla sua volontà che hanno impedito il raggiungimento delle soglie di operatività.

Nel caso specifico, secondo la Suprema Corte, il giudice d’appello non ha correttamente identificato tali circostanze oggettive. Il mancato conseguimento di un’autorizzazione amministrativa, la cui concessione dipende da una valutazione discrezionale dell’Autorità pubblica, non può essere considerato di per sé un impedimento oggettivo, ma rientra nel normale rischio d’impresa.

Il punto cruciale della decisione risiede altrove: la scelta di mantenere in vita la società per anni, pur essendo preclusa l’attività imprenditoriale originaria e senza prospettare realistiche alternative, non è una conseguenza inevitabile di un fattore esterno. Al contrario, è una scelta soggettiva dell’imprenditore. Il protrarsi per anni e lustri dell’inattività, come sottolineato dalla Corte, si risolve in una scelta gestionale e non può essere ricondotto a una circostanza oggettiva esterna.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha affermato un principio di grande rilevanza pratica: la persistente inoperatività di una società, anche se originata da un evento sfavorevole come il diniego di un’autorizzazione, cessa di essere una ‘causa oggettiva’ e diventa una ‘scelta imprenditoriale’ se protratta nel tempo senza concrete prospettive di ripresa. Di conseguenza, il diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria alla disapplicazione della disciplina sulle società di comodo è stato ritenuto legittimo.

La decisione è stata cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi enunciati dalla Suprema Corte.

Il diniego dell’Agenzia delle Entrate a un interpello disapplicativo è un atto che si può contestare davanti a un giudice?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che il diniego a un interpello disapplicativo è un atto impugnabile. Anche se non è espressamente elencato dalla legge tra gli atti contestabili, esso comunica al contribuente una chiara pretesa fiscale, creando quindi l’interesse a far valere le proprie ragioni in giudizio.

Cosa deve dimostrare una società considerata ‘di comodo’ per evitare il regime fiscale penalizzante?
La società deve provare l’esistenza di ‘circostanze oggettive’, cioè situazioni specifiche, concrete e indipendenti dalla sua volontà, che le hanno reso impossibile raggiungere i ricavi minimi previsti dalla legge. Non è sufficiente una generica difficoltà operativa o di mercato.

Il fatto di non aver ottenuto un permesso amministrativo è una giustificazione sufficiente per l’inattività di una società di comodo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il mancato ottenimento di un’autorizzazione rientra nel rischio d’impresa. Se la società, a seguito di ciò, rimane inattiva per molti anni senza avviare attività alternative, questa condizione non è più considerata una ‘circostanza oggettiva’ esterna, ma una ‘scelta imprenditoriale soggettiva’, che non giustifica la disapplicazione della normativa sulle società di comodo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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