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Società di comodo: il contraddittorio è garantito

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8390/2024, ha stabilito che per un accertamento fiscale su una società di comodo, la procedura di interpello per la disapplicazione della normativa antielusiva è sufficiente a garantire il contraddittorio preventivo. Viene così cassata la sentenza di merito che aveva annullato l’avviso di accertamento per violazione di tale principio, affermando che il diritto di difesa del contribuente è già tutelato dalla possibilità di presentare un’istanza motivata prima dell’atto impositivo.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: quando il contraddittorio è già rispettato?

La disciplina delle società di comodo è da sempre un terreno di scontro tra Fisco e contribuente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 8390 del 28 marzo 2024, getta nuova luce su un aspetto procedurale cruciale: il contraddittorio preventivo. La Corte ha chiarito che, in questo specifico contesto, la possibilità per l’impresa di presentare un’istanza di disapplicazione della normativa antielusiva è di per sé sufficiente a garantire il diritto di difesa, senza necessità di ulteriori passaggi procedurali prima dell’emissione dell’avviso di accertamento.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento per IRES relativo all’anno 2006, notificato a una società a responsabilità limitata. L’Agenzia delle Entrate contestava alla società lo status di ‘non operativa’ ai sensi della normativa sulle società di comodo. La società aveva precedentemente presentato un’istanza per la disapplicazione di tale normativa, che però non era stata accolta dall’Amministrazione finanziaria.

La contribuente ha impugnato l’atto impositivo e la Commissione Tributaria Regionale le ha dato ragione, annullando l’accertamento. Il motivo della decisione dei giudici di merito era formale: a loro avviso, l’Agenzia delle Entrate aveva violato l’obbligo del contraddittorio preventivo, un passaggio ritenuto indispensabile prima di emettere un atto lesivo per il contribuente. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione contro tale decisione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ribaltando la decisione dei giudici di appello. I giudici di legittimità hanno cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per una nuova valutazione nel merito della pretesa fiscale.

Le motivazioni: il contraddittorio nella disciplina della società di comodo

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione della procedura prevista dall’art. 30 della Legge n. 724/1994. La Corte ha affermato che il contraddittorio, e quindi la possibilità per il contribuente di esporre le proprie difese, è già stato pienamente instaurato e rispettato attraverso la procedura specifica prevista per le società di comodo.

La legge, infatti, dopo aver stabilito una presunzione legale relativa di ‘non operatività’ basata su un test di ricavi minimi, offre al contribuente uno strumento specifico per difendersi: la presentazione di un’istanza di interpello (o di disapplicazione). Con questa istanza, la società può chiedere di non essere assoggettata alla disciplina penalizzante, a condizione che dimostri l’esistenza di ‘situazioni oggettive’ che hanno reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito previsto dalla norma.

Secondo la Cassazione, richiamando un proprio precedente (n. 9852/2018), questo meccanismo risponde pienamente all’esigenza di dare attuazione al principio di capacità contributiva e, allo stesso tempo, garantisce sufficientemente il diritto di difesa. Il contribuente ha la possibilità di esporre le proprie ragioni e fornire prove documentali a supporto, innescando un dialogo con l’Amministrazione prima che l’accertamento venga emesso. Pertanto, il giudice di appello ha errato nel ritenere obbligatorio un ulteriore e separato contraddittorio preventivo, poiché quello previsto dalla normativa speciale era già stato attivato e concluso.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida un principio importante per le controversie relative alle società di comodo. Per le imprese, significa che la fase dell’istanza di disapplicazione non è un mero pro-forma, ma rappresenta il momento fondamentale per articolare in modo completo e documentato le proprie difese. È in quella sede che devono essere esposte tutte le ragioni oggettive che giustificano lo scostamento dai parametri di legge. Per l’Amministrazione finanziaria, la sentenza conferma la correttezza del proprio operato quando, a seguito del rigetto di un’istanza di disapplicazione, procede direttamente con l’emissione dell’avviso di accertamento, senza la necessità di ulteriori interlocuzioni formali. In definitiva, il contraddittorio è salvo, ma si svolge all’interno della procedura speciale disegnata dal legislatore.

Quando una società è considerata “di comodo” secondo la legge?
Secondo la presunzione legale relativa descritta nella sentenza (art. 30, L. n. 724/1994), una società è considerata “non operativa” se la somma dei suoi ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando specifici coefficienti percentuali al valore dei suoi asset patrimoniali.

È sempre necessario un contraddittorio preventivo prima di un accertamento per società di comodo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se il contribuente ha già attivato la procedura di interpello presentando un’istanza di disapplicazione, il contraddittorio si considera già instaurato. Non è necessario un ulteriore e separato procedimento di contraddittorio prima dell’emissione dell’avviso di accertamento.

Come può un contribuente difendersi dall’applicazione della normativa sulle società di comodo?
Il contribuente può difendersi presentando una specifica istanza di interpello (o disapplicazione) all’Agenzia delle Entrate. In questa sede, deve dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive, non dipendenti da scelte volontarie, che hanno reso impossibile raggiungere i ricavi minimi previsti dalla legge, chiedendo così la non applicazione della disciplina antielusiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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