Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16742 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16742 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24291/2020 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, in proprio nonché nella sua qualità di legale rappresentante pro tempore di RAGIONE_SOCIALE, società incorporante la RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, NOME, COGNOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE CATANZARO
-intimata-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CALABRIA n. 12/2020 depositata il 07/01/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Calabria ( hinc: CTR), con sentenza n. 12/2020 depositata in data 07/01/2020, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro le sentenze n. 408/2017 e 407/2017, con le quali la Commissione tributaria provinciale di Catanzaro aveva accolto i ricorsi proposti dai sig.ri NOME COGNOME COGNOME NOME, NOME e COGNOME NOMECOGNOME nelle qualità rispettivamente indicate in epigrafe di legale rappresentante e di soci della RAGIONE_SOCIALE di Laino Cornelia e c. contro gli avvisi di accertamento emessi per il periodo di imposta relativo all’anno 2010.
La CTR ha premesso che gli avvisi di accertamento recuperavano a tassazione il maggior reddito calcolato sulla base del cd. test di non operatività e sulla qualificazione quale società di comodo della
società resistente, in base a parametri contestati da quest’ultima e dai soci.
2.1. Il giudice d’appello, dato atto del rigetto dell’interpello disapplicativo per l’anno 2010, ha rilevato che la non operatività della società era stata determinata sulla base dei dati risultati dalle dichiarazioni dei redditi presentate da quest’ultima , richiamando il test di operatività e i dati relativi alle annualità 2008, 2009 e 2010.
2.2. È stata, poi, condivisa la tesi dell’Agenzia delle Entrate in relazione alla non computabilità tra i ricavi dei contributi della Regione Calabria, perché non erogati in conto esercizio. Inoltre, anche con riferimento ai valori degli immobili sono stati presi in considerazione i valori indicati nella dichiarazione dei redditi da parte degli appellati, cui faceva, quindi, carico l’onere della prova contraria, che non poteva essere soddisfatta con il generico richiamo alla produzione documentale effettuata con la memoria illustrativa.
2.3. In relazione alla mancata instaurazione del contraddittorio, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, la CTR ha evidenziato come nel caso di specie non venissero in rilievo i cd. tributi armonizzati; il che escludeva l’obbligo del contraddittorio procedimentale.
2.4. Infine, ha evidenziato la genericità del motivo di opposizione relativo all’applicazione della sanzione contenuta nell’avviso di accertamento.
Contro la sentenza della CTR, i contribuenti hanno proposto ricorso in cassazione con cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per omessa
pronuncia sul vizio di motivazione degli avvisi di accertamento impugnati, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992.
1.1. La ricorrente rileva come nella sentenza impugnata sia stata trascurata l’analisi e la trattazione del motivo di ricorso relativo alla carenza di motivazione degli avvisi di accertamento, riproposto dalla parte ricorrente nelle controdeduzioni in appello. Sin dal ricorso introduttivo era stata, infatti, censurata l’assenza di una valida e intellegibile motivazione degli avvisi di accertamento. Si legge a pag. 19-20 del ricorso in cassazione: « Nell’avviso notificato alla MDM (C.T.P. di Catanzaro, r.g.r. 1648/2016, doc. 1), l’Ufficio ha infatti asserito di aver verificato la società, prima, in quanto questa non aveva ‘dichiarato ricavi’ (sic!), poi, perché non aveva ‘dichiarato il reddito minimo presunto’ e, infine, poiché non aveva ‘presentato istanza di interpello’, per poi affermare, poche righe dopo, che la medesima società aveva, invece, presentato istanza di interpello alla D.R.E.’.
1.2. La ricorrente rileva che la carenza di motivazione degli atti impugnati necessitasse di un’apposita pronuncia, senza possibilità di assorbimento da parte del collegio giudicante.
1.3. Il motivo non può avere seguito, perché irrilevante.
L’esame del motivo lascia difatti chiaramente emergere che si lamenta l’insufficiente motivazione de gli avvisi (con riguardo agli esiti dell’interpello); certo non si deduce, se non sotto il profilo di una pretesa contraddizione, che gli avvisi erano inidonei a far comprendere le ragioni della ripresa; la rilevanza della questione, d’altronde, non si può apprezzare, visto che il contenuto de gli avvisi non è trascritto né adeguatamente sunteggiato, né gli avvisi sono allegati al ricorso per cassazione.
Con il secondo motivo è stata denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla mancanza delle condizioni di applicabilità dell’art. 30 legge n. 724 del 1994 al caso di specie, in viol azione dell’art. 112 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992.
2.1. La parte ricorrente evidenzia di aver contestato, in entrambi i gradi di giudizio di merito, l’inapplicabilità alla MDM della disciplina delle società di comodo, sia perché nel caso di specie non era riscontrabile la ratio antielusiva di tale normativa (trattandosi, sin dalla costituzione della società, della gestione di un complesso alberghiero di centotrentacinque camere, con l’ottica di massimizzazione del profitto e la conseguente impossibilità di un qualsiasi sfruttamento dei beni strumentali per le esigenze personali dei soci), sia perché, nel 2010, la società era congrua con i risultati degli studi di settore presentati. Rileva, quindi, che proprio la congruità agli studi di settore e il corretto posizionamento nei confronti di tutti gli indicatori di coerenza economica applicabili rendevano incontestabile la concreta inapplicabilità, al caso di specie, della disciplina dettata per le società di comodo.
Con il terzo motivo è stata denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulle situazioni oggettive che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi e del reddito minimo imputato alla società ex art. 30 legge n. 724 del 1994.
3.1. La parte ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte sull’art. 30 legge n. 724 del 1994 e sull’onere della prova contraria spettante al contribuente, per evidenziare di aver dato la prova delle situazioni oggettive indipendenti dalla volontà del contribuente che
hanno precluso il raggiungimento della soglia di operatività. A pag. 25 ss. del ricorso in cassazione riporta le pag. 3-6 del ricorso.
Con il quarto motivo è stata denunciata la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 30 legge n. 724 del 1994, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
4.1. La parte ricorrente censura la sentenza impugnata per aver convalidato l’operato dell’amministrazione finanziaria, che aveva determinato i requisiti di non operatività della società sulla base dei dati rinvenuti nelle dichiarazioni presentate da quest’ultima e non dalle scritture contabili, secondo quanto previsto nell’art. 18 d.P.R. n. 600 del 1973 per i soggetti non tenuti alla redazione del bilancio. 4.2. La ricorrente censura, inoltre, l’affermazione della CTR che ha sostenuto l’esclusione dei contributi regionali dal computo dei ricavi. Richiama, a tal fine, la circolare dell’Agenzia delle Entrate 25/e del 1997, secondo cui, al punto 3.3., per i beni che hanno fruito di contributi imponibili in conto impianti, il valore da considerare è lo stesso che la società assume ai fini della determinazione del reddito d’impresa. In particolare, il valore da assumere dipende dalle modalità di rappresentazione contabile adottata: se il contributo è stato contabilizzato a diretta riduzione del valore del bene, l’importo su cui applicare i coefficienti di redditività minima presunta sarà più basso rispetto all’ipotesi in cui il contributo concorr a alla determinazione del reddito con la tecnica dei risconti in correlazione con il processo di ammortamento. La prima modalità di contabilizzazione determina un valore del test di operatività più basso, da confrontare con i ricavi effettivi più bassi, mentre la seconda modalità determina un confronto tra valori, sia presunti che effettivi, più alti. Se si deve presumere la redditività di un capitale investito in patrimonio, occorre farlo sulla parte effettivamente investita e non su quella pervenuta a titolo di contributo pubblico.
Ad avviso della ricorrente i contributi dovevano considerarsi erogati in conto impianti, in ragione di quanto risulta dai decreti di concessione, dai quali emerge che i finanziamenti sono stati erogati per i lavori di costruzione, arredamento e per la realizzazione di impianti sportivi complementari (come da Decreto Regione Calabria -Assessorato per il Turismo n. 432 del 11/10/2000). Sebbene tali contributi siano stati qualificati come contributi in conto capitale, ad avviso della ricorrente, devono essere qualificati come contributi in conto impianti, in quanto erogati al fine esclusivo di rafforzare la struttura patrimoniale dell’azienda.
Con il quinto motivo è stata denunciata la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
5.1. La ricorrente censura l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui i contribuenti non avevano fornito la prova contraria in ordine al valore degli immobili indicato nella dichiarazione dei redditi, ritenendo non sufficiente il mero rinvio alla documentazione depositata con la memoria illustrativa. Difatti, non sono state valutate le allegazioni e le produzioni dei contribuenti a supporto degli errori commessi dall’amministrazione finanziaria nell’e laborazione del test di operatività.
La ricorrente richiama, quindi, a pag. 32-33 del ricorso in cassazione le censure svolte giudizio di primo e secondo grado, rilevando come l’avviso di accertamento emesso dall’amministrazione finanziaria per l’anno 2011 evidenziasse, altresì, risultati del tutto diversi (riportando due prospetti comparativi a pag. 33 del ricorso).
Il secondo motivo -da riqualificare in termini di violazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – è fondato, nei limiti di seguito indicati, con il conseguente assorbimento degli altri motivi.
6.1. In via preliminare occorre rilevare che, secondo questa Corte, in tema di società non operative, il contribuente può superare la presunzione relativa di non operatività di cui all’art. 30 della l. n. 724 del 1994, dando prova dell’esistenza di situazioni oggettive, che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati in base alla norma in questione, e da valutarsi in relazione alle effettive condizioni del mercato; l’affermazione, da parte del giudice di merito, dell’idoneità o meno dei fatti accertati, ove incontroversi, ad integrare siffatta ipotesi può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità, per vizio cd. di sussunzione, riconducibile al paradigma di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (Cass., 16/05/2023, n. 13328).
6.2. Ciò premesso il motivo è fondato, sotto il profilo della congruità rispetto agli studi di settore, che i ricorrenti riferiscono di aver dedotto in primo grado (v. pag. 11 del ricorso in cassazione) e riportato in appello (v. pag. 15 del ricorso in cassazione) e che non è stato esaminato.
L’art. 1, comma 128, lett. c) della legge 24 dicembre 2006, n. 244, entrato in vigore dal 01/01/2008, ha inserito il n. 6 sexies nell’art. 30, comma 1, legge n. 724/1994, che introduce la causa di esclusione della presunzione di non operatività delle società di mero godimento (c.d. società di comodo), consistente nella loro congruità e coerenza ai fini degli studi di settore (Cass. 17/07/2018, n. 18912). Si tratta di una «causa di esclusione» prevista dal n. 6 sexies (società congrue e coerenti ai fini degli studi di settore) che – privando di efficacia la presunzione di non operatività della società – rileva come elemento costitutivo, strutturale, del complesso congegno probatorio riguardante le società di comodo ed è applicabile ratione temporis al
caso di specie, dove viene in rilievo il periodo di imposta relativo all’anno 2010.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato deve essere accolto il secondo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri motivi.
7.1. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado della Calabria che, in diversa composizione, deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
…
P.Q.M.
rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo di ricorso nei limiti in motivazione e dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto e rinvia alla Corte di giustizia di secondo grado della Calabria che, in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, il 12/03/2025.