Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2755 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2755 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
Oggetto:
Tributi
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 17284/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’ avvocato NOME COGNOME (PEC: EMAIL, come da procura speciale in calce al ricorso;
-ricorrente – contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania -sezione staccata di Salerno n. 6193/04/2020, depositata il 15.12.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTR della Campania -sezione staccata di Salerno accoglieva l’ appello proposto dall ‘Agenzia delle entrate avverso la sentenza della
CTP di Avellino, che aveva accolto il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di a ccertamento, per imposte dirette e IVA , per l’anno 20 14, che aveva rilevato la non operatività della società contribuente ai sensi dell’art. 30 della l. n. 724 del 1994, rideterminando il reddito di impresa ai fini IRES e il valore di produzione ai fini IRAP, disconoscendo il credito IVA portato in detrazione;
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
il provvedimento impugnato non era carente di motivazione;
la contribuente aveva già ottenuto una disapplicazione solo parziale della disciplina sulle società non operative nel 2012;
la contribuente non aveva superato la presunzione di reddito minimo previsto per le società non operative per l’anno 2014 , non avendo presentato l’istanza di disapplicazione , e non aveva neppure documentato ‘ le ragioni di una diversa computabilità degli assets patrimoniali attribuiti alla società dopo la scissione da Europell se è vero, come incontestabilmente affermato nei propri atti difensivi, che le attività di quest’ultima (preparazione e concia del cuoio e delle pelli) rientravano nell’oggetto sociale della Perseo e nessuna variazione oggettiva di valore sia intervenuta fra il 2013 e il 2014; ed anzi, la riduzione quantitativamente proporzionale non ne ha intaccato la valutazione (l’inagibilità era preesistente, il finanziamento per la costruzione del fabbricato ne ha migliorato il valore, l’ultimazione dell’immobile ad uso abitativo è stata realizzata nel primo semestre 2014), ed inoltre l’inoperatività nei tre anni consecutivi, ai fini della decadenza di un credito IVA, non può essere affermata in mancanza di informazioni sulla definitività dell’esito dei giudizi sulle due annualità precedenti. Le ragioni di inestensibilità alla società immobiliare RAGIONE_SOCIALE dei risultati di inoperatività della Europell
si scontra, poi, con il parzialmente comune oggetto sociale che non avrebbe impedito alla società di operare nello stesso settore della scissa per evitare l’applicazione della presunzione di inoperatività’;
-gli altri rilievi mossi dalla contribuente sul valore delle immobilizzazioni e sulla inagibilità dei fabbricati posseduti non erano supportati da riscontri documentali;
-non sussistevano elementi concreti per sostenere l’inesatta applicazione dei criteri enunciati dall’art. 30 della l. n. 724 del 1994 e del calcolo delle percentuali ivi previste;
a tal fine occorreva considerare che a seguito della scissione dalla Europell, la contribuente ne aveva acquisito 1/3 degli assets patrimoniali fra i quali vi era l’opificio industriale, che costituiva il nucleo centrale dell’attività produttiva, e un immobile abitativo in relazione al quale erano state emesse fatture per canoni di locazione; – la società contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso
per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati con memoria;
-l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
-P reliminarmente occorre dichiarare l’inammissibilità del controricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, che si sarebbe dovuto notificare entro il 26.07.2021 (lunedì), essendo stato il ricorso ricevuto in data 15.06.2021, mentre la notifica del controricorso è stata effettuata, dal punto di vista della notificante, solo in data 8.10.2021;
ciò posto, con il primo motivo, la contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ., eccependo l’effetto preclusivo del giudicato esterno formatosi sulle statuizioni di annullamento degli atti relativi agli anni di imposta 2012 e 2013 ad opera della sentenza n. 1168/18, emessa dalla CTP di
Avellino e passata in giudicato in data 26.02.2021 per mancata impugnazione; rileva, in particolare, che gli elementi costituitivi della fattispecie in esame, posti a base dei tre distinti accertamenti (ossia i valori presuntivi assegnati ai vari assets), si estendono a una pluralità di periodi di imposta, in quanto il test di verifica dell’operatività si sviluppa sulla base di tre periodi di imposta consecutivi, che concorrono tutti a fissare il valore presuntivo medio per l’annualità oggetto dell’accertamento, al di sotto del quale scatta la presunzione di non operatività, sicchè i valori degli assets considerati negli anni 2012 e 2013 sono uguali a quelli considerati nell’anno 2014 e dispiegano effetto sulla verifica dell’anno 2014 ;
– il motivo è infondato, posto che, secondo il principio enunciato sul punto dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13916 del 16.06.2006, ‘ Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di
durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale “norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta’;
-l’effetto preclusivo del giudicato relativo ad un singolo periodo di imposta, dunque, non opera indistintamente e in via generale per altri periodi d’imposta, essendo limitato non solo alle ipotesi di concreta sussistenza del ‘ medesimo rapporto giuridico’, ma anche alla ‘ soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune’, aventi natura di ‘ premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza’ ;
detto effetto preclusivo può riguardare, poi, esclusivamente gli ‘ elementi costitutivi della fattispecie’ estensibili nel tempo e quindi insensibili al ‘periodo d’imposta’, individuati, in via esemplificativa, nella ‘ qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria’;
alla luce di questi condivisibili canoni giuridici è da escludere l’operatività in questo giudizio del giudicato esterno riguardante altre annualità, giacché né l’unicità della verifica fiscale e né i rilievi mossi per i diversi periodi d’imposta rappresentano un fatto a carattere stabile ovvero permanente destinato a reiterarsi per le diverse annualità;
con specifico riferimento alle società di comodo, in particolare, questa Corte ha precisato che lo «status» di società non operativa risultante dall’applicazione dei parametri previsti dall’art. 30, comma 1, della l. n. 724 del 1994, non è permanente, ma va accertato anno per anno, essendo un elemento variabile, ben potendo una società essere non operativa in un determinato esercizio sociale ed operativa in quello successivo (Cass. n. 20702 dell’1.10.2014; Cass. n. 12829 del 22.05.2017; Cass. n. 18912 del 17.07.2018; Cass. n. 4850 del 24.02.2020);
in ultimo, è utile precisare che il giudicato non può riguardare comunque l’attività interpretativa delle norme di diritto, in quanto « l’attività interpretativa delle norme giuridiche compiuta dal Giudice, consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro Giudice, dovendosi richiamare a tale proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dall’efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 cod. civ. rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello stare decisis (cioè, del precedente giurisprudenziale vincolante) che non trova riconoscimento
nell’attuale ordinamento processuale (cfr. Cass, 15 luglio 2016, n. 14509, Cass., 21 ottobre 2013, n. 23723) », con la conseguenza che « l’interpretazione ed individuazione della norma giuridica posta a fondamento della pronuncia -salvo che su tale pronuncia si sia formato il giudicato interno -non limitano il Giudice dell’impugnazione nel potere di individuare ed interpretare la norma applicabile al caso concreto e non sono, quindi, suscettibili di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo cui si riferiscono, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione (cfr. Cass. 20 ottobre 2010, n. 216561, Cass. 23 dicembre 2003, n. 19679) » (cfr. Cass., 5 marzo 2024, n. 5822, in motivazione);
-con il secondo motivo, denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 1, della l. n. 724 del 1994, la nullità della sentenza, per la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione e motivazione apparente e contraddittorio per omesso esame e valutazione di un fatto decisivo emergente dagli atti processuali, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., sostenendo che la CTR ha disatteso la censura riproposta dalla contribuente in appello circa i valori da porre a base del test di operatività;
-con il terzo motivo, deduce la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e per travisamento della prova, vizio di motivazione apparente, perplessa, contraddittoria e per omessa valutazione di un fatto emergente dagli atti processuali e oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente valutato le
allegazioni contenute negli atti difensivi di causa e i documenti prodotti dalla contribuente, rimasti peraltro incontestati, omettendo di considerare che l’opificio industriale era rimasto inagibile anche nell’anno 2014, che le azioni della Banca Popolare di Bari non avevano prodotto dividendi, ma perdite, che il valore del fabbricato per civile abitazione andava computato solo dal giugno 2014, quando erano stati ultimati i lavori, e solo per sei unità abitative, in quanto le altre avevano conseguito successivamente il certificato di abitabilità;
con il quarto motivo, deduce la violazione degli artt. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 e 282 cod. proc. civ., nonché del principio di esecutorietà delle sentenze delle Commissioni tributarie provinciali, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., perché la CTR ha negato la immediata valenza esecutiva della sentenza di primo grado, pur prendendo atto dell’avvenuto annullamento degli avvisi di accertamento, relativi agli anni 2012 e 2013 da parte della CTP di Avellino, per cui non poteva ritenersi l’inoperatività della contribuente per le tre annualità consecutive contestate;
il secondo e il terzo motivo, che per connessione vanno esaminati unitariamente, sono fondati nei termini di seguito indicati;
occorre premettere che l’art. 30 della l. n. 724 del 1994 è finalizzato a contrastare la diffusione di società di comodo, utilizzate quale involucro per il perseguimento di finalità estranee alla causa contrattuale, spesso prive di un vero e proprio scopo lucrativo e talvolta strutturalmente in perdita, al fine di eludere la disciplina tributaria (Cass. 23.11.2021, n. 36365);
-l’effetto deterrente perseguito muove dalla determinazione di standard minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali. In particolare, secondo l’art. 30, comma 1, cit., una società si considera non operativa se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel
conto economico è inferiore a un determinato ricavo figurativo, calcolato, attraverso il test di operatività, applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli assets patrimoniali intestati alla società. Il mancato raggiungimento di tale soglia – considerato dal legislatore sintomatico della non operatività della società ( ex multis , Cass. 24.02.2020, n. 4850) – fonda quindi una presunzione legale relativa di non operatività, basata sulla massima di esperienza secondo cui, di regola, non vi è effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (Cass. 16.05.2023, n. 13328), e comporta l’applicazione della disciplina entielusiva;
-il mancato superamento del test di operatività, ai fini IVA, comporta, ai sensi dell’art. 30, comma 4, della l. n. 724 del 1994, l’impossibilità di chiedere a rimborso, di utilizzare in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del d.lgs. n. 241 del 1997 o cedere ai sensi dell’articolo 5, comma 4ter , del d.l. n. 70 del 1988, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 154 del 1988, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione;
l’art. 30, comma 4bis, della l. n. 724 del 1994, nella formulazione applicabile ratione temporis , indica le ipotesi in cui la disciplina antielusiva sulle società di comodo non si applica ( ‘in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973’;
-il contribuente può vincere la presunzione dimostrando all’Amministrazione finanziaria attraverso l’interpello finalizzato alla
disapplicazione delle disposizioni antielusive, ovvero in giudizio nel caso di contrasto -le oggettive situazioni che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri normativi (Cass. 23.05.2022, n. 16472);
con riferimento alla presunzione legale relativa di non operatività, l’onere probatorio può essere assolto non solo dimostrando che, nel caso concreto, l’esito quantitativo del test di operatività è erroneo o non ha la valenza sintomatica che gli ha attribuito il legislatore, giacché il livello inferiore dei ricavi è dipeso invece da situazioni oggettive che ne hanno impedito una maggior realizzazione, ma anche dando direttamente la prova proprio di quella circostanza che, nella sostanza, dal livello dei ricavi si dovrebbe presumere inesistente, ovvero dimostrando la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale, e dunque l’operatività reale della società (Cass. 24.02.2021, n. 4946; Cass. 28.09.2021, n. 26219);
la CTR non si è attenuta ai principi sopra indicati, limitandosi ad affermare, con una motivazione apparente, che ‘gli altri rilievi sul valore delle immobilizzazioni e sulla inagibilità dei fabbricati posseduti non sono supportati da riscontri documentali in atti ‘, senza verificare, con riferimento alla ripresa riguardante le imposte dirette, se la contribuente avesse dimostrato in sede processuale la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva;
per quanto riguarda il disconoscimento del credito IVA, poi, occorre evidenziare che con riferimento alla normativa italiana delle società di comodo è recentemente intervenuta la Corte di giustizia UE, con la sentenza C-341/22 del 7 marzo 2024 ( Feudi di San Gregorio Aziende
RAGIONE_SOCIALE/Agenzia delle entrate ), la quale ha precisato che ‘l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo IVA al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone ‘ (punto 25) e che ‘ l’articolo 167 della direttiva IVA nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle ‘ (punto 43);
con riferimento alla prima questione, quindi, i giudici unionali hanno affermato che la qualità di soggetto passivo IVA non è subordinata all’effettuazione di operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, il cui valore economico superi una soglia di reddito previamente fissata, in quanto ciò che rileva è esclusivamente il fatto che detto operatore eserciti effettivamente un’attività economica e che sfrutti un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità, senza che siano garantiti dei ricavi minimi;
in ordine alla seconda questione, poi, la Corte ha chiarito che per beneficiare del diritto alla detrazione, i beni e i servizi in relazione ai quali viene invocato tale diritto devono essere utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette ad imposta, indipendentemente dai risultati delle attività economiche;
in linea di principio è, quindi, necessaria la sussistenza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più
operazioni a valle che conferiscono il diritto a detrazione. Il diritto a detrarre l’IVA gravante sull’acquisto di beni o servizi a monte presuppone che le spese effettuate per acquistare questi ultimi facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni tassate a valle che conferiscono il diritto a detrazione. La detrazione è tuttavia ammessa anche in mancanza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che conferiscono un diritto a detrazione, qualora i costi dei beni e dei servizi in questione facciano parte delle spese generali del soggetto passivo e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce, i quanto simili costi presentano pure un nesso diretto e immediato con il complesso dell’attività economica del soggetto passivo (sentenza del 12 novembre 2020, Sonaecom , C -42/19, punto 42 e giurisprudenza ivi citata);
l a Corte di giustizia dell’UE ha specificato, inoltre, che se è vero che il diritto alla detrazione dell’IVA può essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso è invocato fraudolentemente o abusivamente, dato che la lotta contro frodi, evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA, occorre pur sempre considerare che il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, per cui incombe alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una tale evasione;
al la luce dell’interpretazione fornita dai giudici unionali , va condiviso quanto già rilevato da questa Corte e, segnatamente, che l’art. 30 della legge n. 724 del 1994 si pone in conflitto con gli artt. 9,
paragrafo 1, e 167 della direttiva IVA, con la conseguente necessità della sua disapplicazione da parte del giudice nazionale, laddove prevede che il carattere non operativo di una società, che esclude il diritto alla detrazione dell’IVA, è dimostrato sulla base di una presunzione, quando i ricavi non raggiungono la soglia di reddito prefissata dalla stessa disposizione ( ex plurimis , Cass. n. 22249 del 6/08/2024);
la qualità di soggetto passivo deriva, dunque, dall’esercizio di un’attività economica per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità e, di conseguenza, il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte non può essere negato ad una società che effettua operazioni rilevanti ai fini dell’IVA senza tuttavia raggiungere la soglia di reddito prevista dalla normativa italiana di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994 e ciò a prescindere dalla prova fornita dalla società contribuente sull’esistenza di situazioni oggettive che rendano impossibile il conseguimento di redditi superiori a detta soglia; ciò che rileva è che la società abbia impiegato i beni e i servizi acquistati per le sue operazioni soggette ad IVA, indipendentemente dai risultati delle attività economiche, e che dette operazioni non si inseriscano in una frode (connotate anche soggettivamente secondo il consolidato principio per cui la parte sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad una evasione) o non integrino, ai fini unionali, un abuso inteso anche quale ‘ realizzazione di una costruzione artificiosa ‘ (punti 33 -36 della sentenza C-341/22 cit.; Cass. n. 24416 del l’11.09.2024);
– a ciò va aggiunto che la detrazione dell’imposta può spettare anche in assenza di operazioni attive, ossia con riguardo alle attività di carattere preparatorio, purché esse siano finalizzate alla costituzione delle condizioni d’inizio effettivo dell’attività tipica (Cass. n. 25635 del 31/08/2022; Cass. n. 23994 del 03/10/2018);
anche tale verifica con riferimento al credito IVA non è stata effettuata dalla CTR, atteso che la decisione si è limitata ad affermare che la società non aveva presentato, per l’anno 2014, l’interpello disapplicativo, che i rilievi sul valore delle immobilizzazioni e sulla inagibilità dei fabbricati posseduti non erano supportati da riscontri documentali e che ‘l’inoperatività nei tre anni consecutivi, ai fini della decadenza di un credito IVA, non può essere affermata in mancanza di informazioni sulla definitività dell’esito dei giudizi sulle due annualità precedenti ‘;
trattandosi di accertamento di merito, non esperibile in sede di legittimità, la sentenza va anche su questo punto cassata per un nuovo esame che dovrà essere espletato, quale diretta conseguenza ed applicazione della disciplina unionale, alla luce della sentenza della Corte di giustizia europea;
-il quarto motivo rimane assorbito dall’accoglimento dei predetti motivi;
in conclusione, in accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbito il quarto, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente, in diversa composizione, per nuovo esame anche alla luce dei principi affermati dalla Corte di giustizia europea, come sopra richiamati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, rigetta il primo e dichiara assorbito il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata, con riguardo ai motivi accolti, e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 23 ottobre 2024