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Società di comodo e IVA: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, conformandosi a una pronuncia della Corte di Giustizia UE, ha stabilito che la normativa sulle società di comodo non può giustificare il diniego automatico del diritto alla detrazione IVA. Il mancato superamento del test di operatività non è sufficiente per presumere l’assenza di attività economica o un abuso, che devono essere invece provati dall’Ente Fiscale caso per caso. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo e IVA: la Cassazione accoglie i principi UE

Con una storica sentenza, la Corte di Cassazione ha stabilito un punto fermo nella disciplina fiscale delle società di comodo, allineando l’ordinamento italiano ai principi del diritto dell’Unione Europea. La pronuncia chiarisce che il mancato superamento del cosiddetto ‘test di operatività’ non è una ragione sufficiente per negare a un’impresa il diritto fondamentale alla detrazione dell’IVA. Questa decisione, che segue un’importante sentenza della Corte di Giustizia UE, cambia radicalmente l’approccio dell’amministrazione finanziaria verso le società con bassi volumi di ricavi.

I Fatti del Caso

Una società agricola si è vista notificare un avviso di accertamento da parte dell’Ente Fiscale. L’accusa era quella di essere una società di comodo per l’anno d’imposta 2008, in quanto non aveva superato il test di operatività previsto dalla normativa nazionale. Di conseguenza, l’Ente Fiscale aveva disconosciuto un cospicuo credito IVA che la società intendeva utilizzare.

La contribuente ha impugnato l’atto, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno confermato la validità dell’accertamento. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale ha ritenuto necessario interpellare la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) per verificare la compatibilità della normativa italiana con le direttive comunitarie in materia di IVA.

La Normativa sulle Società di Comodo e il Diritto alla Detrazione IVA

La legislazione italiana sulle società di comodo (art. 30, L. 724/1994) introduce una presunzione legale: se una società non raggiunge un livello minimo di ricavi, calcolato in percentuale sul valore dei suoi beni, si presume che non svolga una vera attività economica ma esista solo per gestire un patrimonio a fini elusivi. Una delle conseguenze più gravi di questa qualifica è la perdita del diritto a detrarre l’IVA sugli acquisti.

Questo meccanismo si scontra però con il principio di neutralità dell’IVA, un pilastro del diritto europeo. Tale principio garantisce che l’imposta gravi unicamente sul consumatore finale e che le imprese possano sempre recuperare l’IVA pagata ai propri fornitori, a condizione che svolgano un’attività economica, anche se preparatoria o non ancora redditizia.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’operatività delle società

Recependo integralmente la pronuncia della CGUE, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società. I giudici supremi hanno affermato che la normativa nazionale che lega la perdita del diritto alla detrazione IVA al mero superamento di una soglia di ricavi predeterminata è incompatibile con il diritto dell’Unione Europea.

La Corte ha chiarito che negare la qualità di soggetto passivo IVA e il conseguente diritto alla detrazione basandosi su una presunzione legale basata sul volume d’affari è una misura sproporzionata. Il diritto alla detrazione può essere limitato solo in casi specifici, come la frode o l’abuso del diritto, che devono però essere provati dall’amministrazione finanziaria con elementi oggettivi e non semplicemente presunti.

Le Motivazioni

La motivazione della sentenza si fonda sulla supremazia del diritto europeo e sui principi di neutralità e proporzionalità. La Corte ha spiegato che:

1. L’attività economica non dipende dai risultati: La qualità di soggetto passivo IVA deriva dallo svolgimento effettivo di un’attività economica, a prescindere dal suo successo o dal raggiungimento di un determinato livello di ricavi. Anche le attività preparatorie, finalizzate a un futuro avvio, conferiscono il diritto alla detrazione.
2. Le presunzioni legali sono illegittime: Una norma nazionale non può presumere l’assenza di attività economica o l’esistenza di un abuso basandosi unicamente su un criterio quantitativo (la soglia di ricavi). Questo approccio ignora la realtà effettiva delle operazioni svolte.
3. L’onere della prova è dell’Ente Fiscale: Per negare la detrazione IVA, l’Ente Fiscale deve dimostrare che le operazioni si inseriscono in un contesto di frode (ad esempio, evasione consapevole) o di abuso (una costruzione puramente artificiosa creata al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale). Non è più sufficiente invocare il mancato superamento del test di operatività.

Di conseguenza, la Corte ha cassato la sentenza d’appello e ha rinviato il caso a un’altra sezione della Commissione Tributaria Regionale, che dovrà riesaminare la controversia applicando questi principi. Il nuovo giudice dovrà verificare se, al di là dei ricavi, la società ha effettivamente svolto un’attività economica e se vi siano prove concrete di un comportamento fraudolento o abusivo.

Conclusioni

Questa sentenza rappresenta una vittoria per il principio di legalità e per la tutela dei diritti dei contribuenti. Stabilisce che le imprese, specialmente quelle in fase di avvio o che operano in settori con cicli economici lunghi (come l’agricoltura), non possono essere penalizzate da presunzioni automatiche basate su ricavi insufficienti. L’onere di provare l’abuso torna interamente sulle spalle dell’amministrazione finanziaria, che dovrà condurre accertamenti basati su fatti concreti e non su automatismi legislativi. Per le imprese, significa maggiore certezza del diritto e la garanzia di poter esercitare il fondamentale diritto alla detrazione IVA, a patto di operare in un contesto di reale attività economica.

Una società può perdere il diritto alla detrazione IVA solo perché ha ricavi bassi?
No. La Corte di Cassazione, seguendo la Corte di Giustizia UE, ha stabilito che il solo mancato superamento del ‘test di operatività’ previsto dalla legge nazionale non è una ragione sufficiente per negare il diritto alla detrazione dell’IVA. La valutazione deve basarsi sull’effettivo svolgimento di un’attività economica.

La normativa italiana sulle società di comodo è ancora valida ai fini IVA?
Nei limiti di quanto deciso dalla sentenza, no. La Corte ha disapplicato la norma (art. 30 della Legge 724/1994) nella parte in cui fa derivare automaticamente la perdita del diritto alla detrazione IVA dal mancato raggiungimento di una soglia di ricavi, poiché la ritiene contraria ai principi fondamentali del diritto dell’Unione Europea.

In quali casi l’Ente Fiscale può negare la detrazione IVA a una società?
L’Ente Fiscale può negare la detrazione IVA solo se riesce a dimostrare, sulla base di elementi oggettivi e concreti, che le operazioni si inseriscono in un contesto di frode o di abuso del diritto. Non può più basarsi sulla presunzione legale legata al basso volume d’affari della società.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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