Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25541 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25541 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4560/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 1688/2018, depositata il 24 ottobre 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-A seguito di controlli nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in fallimento (già soggetta a recupero fiscale ex art. 36 bis d.P.R. n. 600/1973), svolgente l’attività di costruzione impianti, manutenzione, produzione e distribuzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (nel caso attuale a biomassa), veniva redatto processo verbale di constatazione in cui si rilevava che nel triennio 2009-2011 la stessa risultava non operativa e quindi tenuta alla dichiarazione dei redditi ex art. 30 co. 1 l. n. 724/1994 con un reddito minimo e a versare le relative imposte. Conseguentemente l’Agenzia delle entrate notificava alla società gli avvisi di accertamento:
T7X030100680/2015 con cui per il 2010 recuperava euro 30.804,00 di IRES, euro 4.717,00 di IRAP oltre sanzioni e oneri accessori.
T7X030100681/2015 con cui per il 2011 recuperava euro 122.939,00 di IRES, euro 24.283,00 di IRAP oltre sanzioni e oneri accessori.
CODICE_FISCALE/2015 con cui per il 2013 disconosceva il credito di euro 2.801,00 recte 592.801,00 – a titolo di IVA oltre sanzioni e oneri accessori.
La pretese per il 2010 e 2011 si fondavano sulla determinazione dei ricavi secondo la disciplina delle società non operative, con la determinazione di un reddito minimo imponibile. Per il 2013 la pretesa si fondava sul mancato riconoscimento del credito IVA per l’importo dichiarato in relazione all’anno d’imposta 2011, ‘quale credito IVA perduto per effetto dell’applicazione della
disciplina delle società di comodo’ (come si precisa a pag. 19 del controricorso).
La società ricorreva con atti distinti avverso i provvedimenti, contestandone la legittimità.
Si opponeva l’Ufficio chiedendo il rigetto dei ricorsi.
La Commissione tributaria provinciale di Verbania, con sentenza n. 37/1/16, depositata il 30 maggio 2016, previa riunione delle impugnazioni, accoglieva i ricorsi.
-Avverso tale pronuncia, l’Ufficio proponeva atto di appello.
La Commissione tributaria regionale del Piemonte, con sentenza n. 1688/2018, depositata il 24 ottobre 2018, accoglieva l’appello dell’Ufficio.
-La contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
Parte ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo si deduce la ‘censurabilità della sentenza in epigrafe, ai sensi dell ‘art . 360, c. 1, n. 3, per violazione dell’art. 43 d.P.R. 600/73 per non essere stata rilevata la nullità degli accertamenti fondati sulle risultanze della verifica relativa diranno 2009 effettuata oltre il termine di cui al citato art. 43’. Il Fallimento lamenta la violazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/73 e la conseguente mancata declaratoria di nullità degli accertamenti da parte della Commissione tributaria regionale di Torino, che ritiene fondati sulle risultanze di una verifica relativa all’anno 2009. Ciò in quanto l’Ufficio, pur non avendo emesso alcun atto impositivo in relazione all’annualità 2009, ha assunto tale annualità
a riferimento per il triennio consecutivo per determinare la non operatività della società (anni 2009-2010-2011). Il Fallimento invoca inoltre l’esimente prevista dal comma 1, n. 4 ter dell’art. 30 della l. n. 724/94 e assume l’applicabilità dell’ampliamento da tre a cinque anni del periodo di osservazione, in virtù del d.lgs. 175/2014, che ha novellato l’art. 2 del d.l. n. 138/2011.
1.1. -Il motivo è infondato.
Anzitutto, va escluso che il periodo di osservazione sia quello quinquennale indicato in ricorso.
Va al riguardo ribadito che il consolidato principio – affermato da Cass. n. 5015/2003, dalla successiva conforme Cass. n. 25722/2009 e poi ulteriormente ripreso – secondo cui «In tema di efficacia nel tempo di norme tributarie, in base all’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (cosiddetto Statuto del contribuente), il quale ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi stabilito dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, va esclusa l’applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa sia espressamente prevista».
La tesi proposta cozza inoltre contro l’art. 18, comma 3, del d.lgs. n. 175 del 2014 che espressamente dispone l’ampliamento temporale a cinque del periodo di osservazione previsto per l’applicazione della disciplina sulle società di comodo a decorrere dal periodo d’imposta 2014, dunque successivo a quello qui in esame. Infine, in linea generale, la previsione in questione ha natura sostanziale, essendo idonea ad incidere direttamente sulla decisione di merito, sicché è priva di efficacia retroattiva; ciò in accordo con l’indirizzo consolidato secondo cui hanno natura sostanziale, e non processuale, le norme che consistono in regole di giudizio la cui applicazione comporta una decisione di merito, di accoglimento o di rigetto della domanda, mentre hanno carattere
processuale le disposizioni che disciplinano i modi di deduzione, ammissione e assunzione delle prove oppure fissano semplici criteri di regolamentazione della procedura di accertamento o di riscossione di un tributo (in termini, Cass. n. 23195/2020).
1.2. -Infondata è la censura anche in riferimento all’arco triennale del periodo di osservazione.
La pronuncia rileva che l’annualità 2009 non è stata oggetto di verifica da parte dell’ufficio ma considerata ai fini del riscontro per la verifica del test di operatività. Per il 2009 non v’è stato alcun accertamento e l’annualità in questione è stata considerata soltanto nell’ambito del triennio di valutazione.
1.3.- Infine, generica e comunque infondata è la deduzione concernente l’esimente prevista dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate dell’11 giugno 2012 in base al comma 1, n. 4ter dell’art. 30 della l. n. 724/94, posto che non si specifica quale sia la situazione addotta a fondamento dell’esimente (a pag. 12 del ricorso si fa genericamente riferimento allo stato di liquidazione, per poi citare la dichiarazione di fallimento, intervenuta soltanto nel 2013 e riguardante quindi il solo avviso di accertamento per iva, in ordine al quale, tuttavia, vedi infra) .
-Con il secondo motivo si censura la sentenza per violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, per non essere state riconosciute alla ricorrente le condizioni esimenti, relative agli anni d’imposta 2010 e 2011, previste dall’art. 30, comma 4 -bis , l. n. 724/1994. Il Fallimento lamenta che i giudici regionali avrebbero pronunciato in contrasto con la ratio della disciplina di riferimento e con il principio che, in caso di crisi, per l’impossibilità di conseguire adeguati ricavi, non è applicabile tout court la disciplina delle società di comodo e pienamente ignorato il principio enunciato dalla Suprema Corte secondo cui la nozione d’impossibilità va
intesa non in termini assoluti, quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato.
2.1. -Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa S.C., in tema di società non operative, il contribuente può superare la presunzione relativa di non operatività di cui all’art. 30 della l. n. 724 del 1994, dando prova dell’esistenza di situazioni oggettive, indipendenti dalla sua volontà, da valutarsi in relazione alle effettive condizioni del mercato; l’affermazione, da parte del giudice di merito, dell’idoneità o meno dei fatti accertati, ove incontroversi, ad integrare siffatta ipotesi può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità, per vizio cd. di sussunzione, riconducibile al paradigma di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (Cass. n. 13328/2023).
Le circostanze addotte (stato di crisi e crescita del costo della materia prima) non rispondono ai requisiti fissati dalla giurisprudenza di questa S.C., a fronte dell’accertamento di segno contrario contenuto nella sentenza impugnata, con la quale si fa leva sugli investimenti compiuti del 2010, avuto riguardo alla tipologia e all’entità . Per altro verso la messa in liquidazione, peraltro avvenuta nel 2012, non esclude la sottoposizione dell’ente al regime delle società di comodo (Cass. n. 13336/2023; Cass. n. 15227/2025, punto 8.3): lo stato di liquidazione comporta la disapplicazione automatica delle società di comodo ai sensi della lett. a) del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate n. 23681/2008 solo per le società in stato di liquidazione che con impegno assunto in dichiarazione dei redditi richiedono la cancellazione dal registro delle imprese a norma degli articoli 2312 e 2495 del codice civile entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi successiva; la disapplicazione, inoltre
opera con riferimento al periodo di imposta in corso alla data di assunzione del predetto impegno, a quello precedente e al successivo, ovvero con riferimento all’unico periodo di imposta di cui all’articolo 182, commi 2 e 3, t.u.i.r. e successive modificazioni ed integrazioni (Cass. n. 3202/25, punto 6.8.).
-Con il terzo motivo si censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 per violazione dell’art . 36, comma 2, n. 4 d.lgs. 546/1992, dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., non avendo la Commissione tributaria regionale dato conto dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche alla base della legittimità dell’avviso di accertamento emesso per l’anno d’imposta 2013 al recupero dell’IVA . Nel corpo del motivo si lamenta altresì la falsa applicazione dei commi 4 e 4bis dell’art. 30 l. n. 724/94.
3.1. -Il motivo è fondato con riguardo alla deduzione di falsa applicazione di legge, benché la pronuncia, per quanto carente, risponda al minimo costituzionale.
Invero, in tema di IVA, alle società considerate non operative non può essere negata la qualità di soggetto passivo dell’IVA, posto che, in base all’art. 9, par. 1, della Direttiva 2006/112/CE, come interpretato dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza del 7 marzo 2024, Feudi San Gregorio, causa C-341/22, al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettua operazioni rilevanti a fini IVA va riconosciuto, ove non invocato in modo fraudolento o abusivo, il relativo diritto alla detrazione, alla compensazione, alla cessione dell’eccedenza di credito e al rimborso (Cass. n. 33424/2024).
Neanche di per sé rileva la tardività delle dichiarazioni relative all’anno 2011.
Questa Corte al riguardo ha già precisato che non si può di per sé escludere la rimborsabilità del credito per la circostanza della mancanza di dichiarazione relativa all’anno d’imposta in relazione al quale il credito avrebbe dovuto figurare. Anzitutto, la libertà di cui dispongono gli Stati membri nello stabilire modalità di rimborso di un’eccedenza di iva non comporta che dette modalità siano dispensate da qualsivoglia controllo riguardo al diritto dell’Unione (v., in tal senso, Corte giust. 28 luglio 2011, Commissione/Ungheria, C-274/10, punti 39 e 40). Al riguardo, ha ulteriormente precisato la Corte di giustizia (vedi, in particolare, Corte giust. 18 ottobre 2012, causa C-525/11, Mednis SIA, punto 24), tali modalità non possono ledere il principio di neutralità fiscale, facendo gravare sul soggetto passivo, in tutto o in parte, l’onere dell”iva. Esse, in particolare, devono consentire al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito risultante da un’eccedenza di iva, in modo che il soggetto passivo non corra alcun rischio finanziario (v., in particolare, sentenze del 25 ottobre 2001, Commissione/Italia, causa C-78/00, punti 33 e 34; del 10 luglio 2008, Sosnowska, causa C-25107, punto 17; del 12 maggio 2011, RAGIONE_SOCIALE, causa C-107/10, punto 33). E tanto vale anche qualora non sia stata presentata la dichiarazione, purché sussistano i presupposti sostanziali del credito (vedi, tra varie, Cass. n. 12313/16).
Coerentemente, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., n. 17757/2016) hanno chiarito che ‘Nel complesso normativo e nel formante giurisprudenziale dell’UE emerge, dunque, che il fatto costitutivo del rapporto tributario col fisco nazionale è ravvisato dalla effettività e liceità dell’operazione, mentre obblighi di registrazione, dichiarazione e consimili hanno una diversa funzione meramente illustrativa e riepilogativa dei dati contabili,
finalizzata ad agevolare i controlli dell’Amministrazione finanziaria per l’esatta riscossione dell’imposta ‘, per cui ‘ La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione ‘.
-La sentenza impugnata dev’essere perciò cassata in relazione al terzo motivo di ricorso e, per l’effetto, va disposto il rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente, che verificherà lo svolgimento di attività economica secondo l’accezione unionale da parte della società e riesaminerà la fattispecie alla luce dei principi indicati, anche con riguardo alla misura del credito spettante, a fronte della contestazione dell’Agenzia, oltre a liquidare le spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 12 giugno 2025.
La Presidente NOME–NOME COGNOME