Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33231 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33231 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26162/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
Avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LIGURIA n. 394/2017 depositata il 20/03/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE società incorporante la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ricorre, con tre motivi, avverso la sentenza della CTR della Liguria indicata in epigrafe, con la quale i giudici di appello hanno confermato la decisione di primo grado, di rigetto del ricorso proposto dalla società contribuente incorporata avverso la cartella di pagamento emessa all’esito del controllo automatizzato ex art.
36-bis DPR n. 600/1973 per il recupero di imposte dichiarate, con adeguamento ai redditi minimi previsti per le società c.d. ‘non operative’ ai sensi dell’art. 30, l. n. 724/1994, e non versate.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, la RAGIONE_SOCIALE deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla difformità, per eccesso, degli importi riscossi con la cartella impugnata e quanto risultante dalle dichiarazioni fiscali per l’anno 2009.
1.1. Il motivo è inammissibile, operando il limite della c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., introdotto dall’articolo 54, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, espressamente eccepito dalla controricorrente e applicabile ratione temporis nel presente giudizio, atteso che l’appello avverso la sentenza di primo grado risulta depositato in data 21/07/2015, non avendo la ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto, poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di appello, erano fra loro diverse (ex multis, Cass. n. 26860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018).
1.2. Ed anzi, è la stessa ricorrente ad affermare che la pronuncia della CTR si fonda sulle medesime ragioni di fatto esposte dai giudici di primo grado, e segnatamente sul rilievo che la pretesa recata dalla cartella impugnata, pur recando come indicazione l’anno 2009, si riferirebbe effettivamente all’anno di imposta 2010 e dunque non rileverebbe quanto diversamente esposto dalla contribuente nelle dichiarazioni per l’anno 2009.
Con il secondo motivo la ricorrente contribuente lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2697
c.p.c., in quanto l’Ufficio non avrebbe dimostrato la fondatezza della propria tesi secondo cui l’effettivo anno di imposta cui si riferirebbe la pretesa non sarebbe il 2009 bensì il 2010.
2.1. Il motivo di ricorso è inammissibile.
La disamina operata dalla C.T.R., pur espressa con scarna argomentazione – «In definitiva la riscossione consegue da quanto esposto dalla società ancorché abbia utilizzato (essa stessa) erroneamente un modello diverso di dichiarazione (anno 2009) da quello dovuto (anno 2010)» – esclude la fondatezza della doglianza della ricorrente, la quale, ancorché proposta in termini di violazione di legge, si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
2.2. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere (Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9055), come invece sostanzialmente preteso oggi dalla ricorrente.
Con il terzo motivo di ricorso la società lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 36 -bis del DPR n. 600/1973 e dell’art. 30, l. n. 724/1994.
3.1. Il motivo, in relazione alla prima delle censure sollevate, è infondato.
E’ pur vero che questa Corte ha reiteratamente ritenuto che «In materia di società di comodo, l’Amministrazione finanziaria non può emettere la cartella ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973,
ammissibile solo se fondata su un controllo meramente cartolare, per l’importo indicato dal contribuente quale risultato del test di operatività, atteso che i parametri di cui all’art. 30 della l. n. 724 del 1994 (nel testo risultante dalle modifiche apportategli dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., dalla l. n. 248 del 2006) non rappresentano il reddito effettivamente percepito, ma dati presuntivi, il cui mancato raggiungimento costituisce, salva la prova contraria, un elemento sintomatico della natura non operativa della società» (Cass. 12/12/2016, n. 25472; conformi Cass. 29/12/2020, n. 29734; Cass. 28/04/2021, n. 11153; Cass. 29/12/2021, n. 41840; Cass. 16/02/2022, n. 5016; Cass. 21/02/2024, n. 4675).
Tuttavia, nel caso di specie, il controllo formale non conseguiva al mancato raggiungimento dei dati presuntivi, bensì all’adeguamento a tale reddito minimo presunto manifestato dal contribuente con la dichiarazione dei redditi, alla quale non aveva fatto seguito il versamento di quanto dichiarato, omissione riscontrata in sede di controllo automatizzato.
3.2. Il motivo è infondato anche con riguardo alla censura di violazione dell’art. 30, l. n. 724/1994, per non avere la CTR accertato se la società ricorrente avesse diritto, per l’anno di imposta in questione, alla disapplicazione della disciplina in materia di società non operative.
3.3. Questa Corte ha chiarito (cfr. Cass., Sez. U., 30/06/2016, n. 13378) come in tema di imposte dirette il principio di generale emendabilità della dichiarazione sia riferibile all’ipotesi ordinaria in cui la dichiarazione rivesta carattere di mera dichiarazione di scienza, mentre, laddove la dichiarazione abbia carattere negoziale, il suddetto principio non opera, salvo che il contribuente dimostri l’essenziale ed obiettiva riconoscibilità dell’errore, ai sensi degli artt. 1427 ss. cod. civ. (cfr., tra le altre, Cass. 30/09/2015, n.
19410; Cass. 23/02/2022, n. 6043; e, di recente, Cass. n 15/05/2024, n. 3408).
3.4. Nel caso di specie, la dichiarazione dell’intendimento di adeguamento al parametro del reddito minimo imponibile previsto dalla normativa sulla disciplina delle cd. società di comodo va indubbiamente considerato atto negoziale, perché incide sulla determinazione della base imponibile e sull’entità del tributo da versare, ed evita alla contribuente, attraverso l’adeguamento al test di operatività, che l’amministrazione proceda alla rettifica o comunque all’assoggettamento alla disciplina disincentivante delle società “non operative”, introdotta dall’art. 30, commi da 1 a 7, della L. n. 724 del 1994 (Cass. n. 3394/2019); né la società contribuente ha dedotto che tale indicazione avesse costituito un mero errore materiale o formale emendabile, limitandosi a pretendere di poter successivamente modificare la propria dichiarazione iniziale.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della società ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/11/2024.