Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14167 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14167 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28653/2016 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI SALERNO, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-resistente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CAMPANIA, SEZ.DIST. SALERNO n. 4196/2016 depositata il 05/05/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Campania, sez. dist. Salerno ( hinc : CTR), con la sentenza n. 4196 depositata in data 05/05/2016, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza n. 145/4/13, con la quale la Commissione tributaria Provinciale di Salerno aveva respinto il ricorso della società contribuen te contro l’atto di recupero del credito IVA, emesso ai sensi dell’art. 1, comma 421, legge 30/12/2004, n. 311.
La CTR ha ritenuto, in sintesi, che non fosse fondata la censura inerente al termine di decadenza , considerato che l’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, convertito nella legge n. 2 del 2009, prevede che l’atto di cui all’art. 1, comma 421, legge n. 311 del 2004, emesso a seguito di controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’o ttavo anno successivo a quello del relativo utilizzo. Non può, quindi, trovare applicazione il termine di decadenza (invocato dalla parte appellante) previsto nel d.lgs. n. 600 del 1973, che riguarda l’accertamento relativo alla dichiarazione dei redditi.
2.1. È stata altresì ritenuta infondata la censura relativa all’illegittimità dell’interpello disapplicativo relativo alle società non operative, rilevando il corretto esercizio del potere discrezionale
dell’amministrazione finanziaria , alle cui valutazioni il giudice non può sostituirsi.
2.2. La CTR ha, poi, rilevato che, nel merito, la norma sulla non operatività è di stretta interpretazione e che l’amministrazione finanziaria ha contestato alla società l’illegittima compensazione dei crediti IVA per la non operatività della stessa. Sono state, quindi, ritenute infondate le doglianze della società contribuente, in quanto la disciplina di settore delle società di comodo intende disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario. Il livello minimo dei ricavi e dei proventi è, pertanto, la condizione necessaria per accedere alla normativa di favore. Il mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, con la conseguente presunzione di un reddito minimo, spettando al contribu ente l’onere della prova contraria circa l’esistenza di oggettive situazioni di carattere straordinario, specifiche e indipendenti dalla sua volontà, che hanno determinato il mancato raggiungimento della soglia di operatività. Tale prova non può essere costituita dalla difficoltà amministrativa nel conseguimento di autorizzazioni, considerato che la società, sebbene parzialmente, ha regolarmente operato. La prova contraria richiesta dalla legge richiede, invece, situazioni oggettive e straordinarie che impediscano il raggiungimento della soglia minima di operatività, tra le quali non rientra il ritardo nel rilascio del certificato di agibilità, incontrato con l’uso parziale dell’immobile.
Contro la sentenza della CTR la società contribuente ha proposto ricorso in cassazione con cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate non si è costituita nei termini con controricorso, depositando memoria ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Secondo la numerazione della ricorrente (da pag. 6 ss. del ricorso in cassazione) con il primo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 27, commi 16 e 17, d.l. n. 185 del 2008 e dell’art. 17 d.l. n. 241 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
1.1. La parte ricorrente, richiamato il contenuto dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, ha rilevato che, nella specie, l’avviso di accertamento impugnato è stato notificato in data 02/05/2012 e deve essere, pertanto, considerato tardivo.
Sul punto ha ritenuto non corretta l’applicazione dell’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008 operata dalla CTR, dal momento che, nel caso di specie, l’atto impugnato appare un vero e proprio avviso di accertamento, necessariamente propedeutico all’atto d i riscossione previsto dall’art. 1, comma 421, legge n. 311 del 2004. È evidente come non sia possibile riscuotere crediti indebitamente utilizzati ai sensi dell’art. 27, comma 16, cit. , se prima non è accertata l’esistenza di una società di comodo e l’ind ebita compensazione dei crediti. In mancanza di tale accertamento nessun atto di riscossione -come è da qualificare quello disciplinato nell’art. 1, comma 421, cit. – può essere notificato al contribuente.
1.2. La parte ricorrente rileva, poi, che la CTR -come già aveva fatto il giudice di prime cure -ha ingiustamente ritenuto applicabile l’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2018, nonostante il carattere prioritario della decisione che confermava la tesi della non operatività della società.
1.3. L’art. 27, comma 16, cit. riguarda, inoltre, solamente la compensazione, ai sensi dell’art. 17 d.lgs. n. 241 del 2017 dei crediti IVA inesistenti, esposti nel Modello F24, al solo fine di eludere il
versamento di quanto dovuto, dichiarando, falsamente, l’esistenza di un credito da compensare. Nel caso di specie, tuttavia, alla data della compensazione (2006), il credito IVA non solo era esistente, ma anche pienamente legittimo e, conseguentemente, compensabile. Anche a non voler riconoscere l’operatività della società non si tratta, a ben vedere, di credito inesistente, ma di credito IVA esistente, ma temporaneamente non compensabile. Il credito IVA nella società non operative, sebben non possa essere compensato, può essere, comunque, riportato nel credito dell’anno successivo e può essere compensato nell’ipotesi in cui la società rientri nei limiti previsti per essere considerata come operativa. Di conseguenza, solo nell’ipotesi in cui per tre anni consecutivi (2006, 2007 e 2008) la società non avesse presentato -sulla base di un accertamento definitivo con sentenza -i requisiti cd. di operatività, avrebbe perso definitivamente il diritto a compensare il credito IVA, secondo quanto previsto nell’art. 30, comma 4, legge n. 724 del 1994.
1.4. La parte ricorrente rileva, infine, che l’art. 27, comma 17, d.l. n. 185 del 2008 stabilisce che il comma 16 (della stessa norma) si applica a decorrere dalla data di presentazione del modello di pagamento unificato, dove sono indicati i crediti inesistenti usati in compensazione in anni, con riferimento ai quali « alla data di entrata in vigore della presente legge siano ancora pendenti i termini di cui al primo comma dell’art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.»
Anche sotto tale profilo la CTR ha errato nel ritenere applicabile l’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, in luogo dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973.
Con il secondo motivo è stata censurata la violazione dell’art. 30, comma 4bis, legge n. 724 del 1994, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
2.1. Ad avviso della ricorrente la sentenza impugnata -nella parte in cui ha ritenuto infondata la doglianza relativa alla decisione conseguente al rigetto dell’istanza di disapplicazione della normativa relativa a società non operativa -contrasta (anche) con la giurisprudenza di questa Corte che ritiene detraibile -e quindi compensabile -l’IVA relativa a spese sostenute in vista dello svolgimento di attività anche in assenza di operazioni attive, non potendo escludersi che una società intenda proseguire lo scopo per cui è stata costituita solo per il protrarsi di crisi finanziarie e/o fluttuazioni di mercato.
La ricorrente rileva di aver dimostrato di essersi trovata, nell’anno d’imposta 2006, in un periodo di non normale attività, poiché finalizzato unicamente alla costruzione e adeguamento dell’immobile dove avrebbe poi svolto l’attività di albergo -bar-ristorante. Nel corso del giudizio di primo grado ha, poi, presentato documentazione incontestabile a dimostrazione dell’assenza del certificato di agibilità dell’immobile e delle licenze comunali per l’esercizio dell’albergo. È stato dimostrato, in particolare, come tali licenze siano state rilasciate parzialmente (per nove camere su ventisette) solo nel mese di settembre 2006, a stagione ormai finita.
La società ha, quindi, dimostrato di versare in una di quelle situazioni oggettive che hanno reso impossibile la produzione di ricavi e di reddito nell’ambito degli importi minimi, secondo quanto previsto dagli artt. 30, commi 1 e 3, legge n. 724 del 1994.
Con il terzo motivo è stato denunciato il vizio di motivazione e l’incoerenza logico -formale delle argomentazioni svolte dal giudice di appello.
3.1. La ricorrente, in relazione alla stessa parte della sentenza impugnata, censurata con il secondo motivo, ha evidenziato la illogicità e contraddittorietà delle argomentazioni del giudice di seconde cure. Sul punto sono state, sostanzialmente, reiterate argomentazioni similari a quelle svolte con il secondo motivo di ricorso.
Con il quarto motivo di ricorso è stato denunciato che la sentenza impugnata non ha tenuto conto di un’altra sentenza prodotta dalla ricorrente in sede di appello, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Salerno (n. 499/18/2013) -confermata dalla CTR di Napoli con sentenza n. 11405/15 del 15/12/2015 e passata in giudicato -dove è stato espressamente accertato come la contribuente avesse dimostrato, proprio con riferimento all’annualità 2006, la palese impossibilità di esercitare una qualsiasi attività imprenditoriale e, conseguentemente, di conseguire ricavi, annullando l’avviso di accertamento avente per oggetto il medesimo interpello disapplicativo rigettato dall’Agenzia Regionale di Napoli.
Con il quinto motivo è stato censurato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
5.1. La parte ricorrente rileva di aver dimostrato di non disporre, fino a settembre 2006, delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento della propria attività. Di conseguenza nel periodo di imposta 2006 quest’ultima non poteva essere considerata in normale operatività, essendo in corso la costruzione e l’ adeguamento dell’immobile destinato all’esercizio dell’attività alberghiera. La ricorrente evoca, poi, le vicende relative al rilascio della concessione edilizia in sanatoria, che ha consentito di riprendere i lavori di completamento della struttura e i lavori di adeguamento eseguiti in
corso d’opera a seguito delle continue verifiche da parte dei tecnici del Comune, della Sovraintendenza e dell’ASL.
Passando all’esame del ricorso deve ritenersi che il secondo motivo sia fondato, con il conseguente assorbimento degli altri motivi di ricorso.
La valutazione di fondatezza poggia sull’evoluzione della giurisprudenza (unionale e di legittimità) che ha interessato, nell’ultimo anno, le società di comodo e l’interpretazione dell’art. 30 legge n. 724 del 1994.
7.1. Il comma 4 dell’art. 30 cit. prevede che, per le società e gli enti non operativi, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non è ammessa al rimborso né può costituire oggetto di compensazione ai sensi dell’art. 17 d.lgs. 09/07/1997 , n. 241, o di cessione ai sensi dell’art. 5, comma 4 -ter, d.l. 14/03/1998, 70, convertito con modificazioni dalla legge 13/05/1988, n. 154. Qualora per tre periodi di imposta consecutivi la società o l’ente no n operativo non effettui operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non inferiore all’importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di cui all’art. 30, comma 1, legge n. 724 del 1994, l’eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell’IVA a debito relativa ai periodi di imposta successivi.
7.2. Il comma 4 bis dell’art. 30 cit. -introdotto dall’art. 35, comma 15, d.l. n. 223 del 2006 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006 applicabile ratione temporis al caso in esame -prevede che: « In presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul
valore aggiunto di cui al comma 4, la societa interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37 -bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.«
7.3. Il comma 4-bis, nella parte in cui fa riferimento alle operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4 dell’art. 30 cit. (e all’istanza di interpello disapplicativo limitatamente all’IVA) deve essere interpretato alla luce della recente sentenza 07/03/2024, (C-341/22, RAGIONE_SOCIALE ), con la quale la CGUE ha stabilito in sede pregiudiziale che: 1) l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone; 2) l’articolo 167 della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle.
La CGUE cit. (§§ 32, 33 e 34) ha rilevato che: « il diritto alla detrazione dell’IVA può essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso è invocato fraudolentemente o abusivamente. Occorre infatti ricordare che la
lotta contro frodi, evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA e che la Corte ha dichiarato in più occasioni che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione. Pertanto, quand’anche siano soddisfatte le condizioni sostanziali del diritto a detrazione, le autorità e i giudici nazionali devono negare il beneficio di tale diritto se è dimostrato, sulla base di elementi obiettivi, che detto diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo . Poiché il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, incombe alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una tale evasione. Spetta poi ai giudici nazionali verificare se le amministrazioni finanziarie interessate abbiano dimostrato l’esistenza di detti elementi oggettivi . »
7.4. A seguito dell’intervento della CGUE questa Corte ha recentemente precisato che, in tema di società di comodo, l’art. 30 della l. n. 724 del 1994, nell’escludere il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per le società i cui introiti siano inferiori ad una determinata soglia (presumendone il carattere non operativo), si pone in contrasto con gli artt. 9, par. 1, e 167 della dir.
2006/112/CE e va, quindi, disapplicato da parte del giudice nazionale, in conformità ai principi espressi dalla sentenza della Corte di giustizia UE n. 341 del 7 marzo 2024, secondo cui le misure adottate dagli Stati membri per la lotta contro frodi, evasione fiscale ed abusi non devono eccedere quanto necessario per raggiungere tale obiettivo ed essere utilizzate in modo da mettere in discussione il principio di neutralità dell’IVA (Cass., 06/08/2024, n. 22249, v. anche Cass., 11/09/2024, n. 24442).
7.5. Considerato che nel caso in esame viene in rilievo un atto impositivo relativo all’anno d’imposta 2006, i l quadro riepilogativo degli ultimi orientamenti della giurisprudenza unionale e di legittimità deve essere completato dalla considerazione che, sebbene la direttiva 2006/112/CE del 28/11/2006 sia entrata in vigore in data 01/01/2007 (ex art. 413 Dir. 2006/112/CE cit. ), l’obbligo di interpretazione conforme delle sue disposizioni da parte del giudice nazionale riguarda anche le norme preesistenti, posto che l’art. 9 della direttiva 2006/112/CE corrisponde pienamente all’art. 4 della sesta direttiva 77/377/CE, della quale è rifusione. Tanto più che le affermazioni fatte da CGUE, 07/03/2024 cit., sia nella motivazione (v. §§ 32, 33 e 34 cit. supra, sub 7.3.), sia nel dispositivo, si riferiscono, a ben vedere, ai postulati fondamentali che regolano il funzionamento dell’imposta sul valore aggiunto , come i principi di neutralità e di proporzionalità.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato la sentenza impugnata non è conforme agli approdi interpretativi di questa Corte maturati sia in relazione al comma 4 bis dell’art. 30 legge n. 724 del 1994 nella versione anteriore all’intero della legge n. 296 d el 2006, sia in relazione alla recente evoluzione imposta da CGUE 07/03/2024 cit.
8.1. Deve essere, quindi, accolto il secondo motivo di ricorso, con l’assorbimento degli altri motivi.
8.2. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado della Campania, sez. dist. Salerno che, in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
…
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto e rinvia alla Corte di giustizia di secondo grado della Campania, sez. dist. Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 12/03/2025.