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Società di comodo: Diritto alla detrazione IVA garantito

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14167/2025, ha accolto il ricorso di un’impresa edile. L’impresa si era vista negare la detrazione di un credito IVA perché considerata una ‘società di comodo’ a causa dei bassi ricavi. La Corte, allineandosi a una sentenza della Corte di Giustizia UE, ha stabilito che la normativa italiana è incompatibile con il diritto europeo. Il diritto alla detrazione IVA non può essere negato solo sulla base di soglie di reddito predefinite, ma solo in caso di provata frode o abuso. La sentenza precedente è stata quindi annullata con rinvio.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: La Cassazione tutela la detrazione IVA in linea con l’Europa

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha segnato un punto di svolta fondamentale per la disciplina delle società di comodo e il loro diritto alla detrazione dell’IVA. Allineandosi ai principi del diritto dell’Unione Europea, la Suprema Corte ha stabilito che la normativa nazionale che nega automaticamente la detrazione IVA a tali società deve essere disapplicata, in quanto contrasta con i principi di neutralità e proporzionalità dell’imposta. Questa decisione rafforza significativamente le tutele per le imprese che, per ragioni oggettive e non elusive, non raggiungono le soglie di reddito minime previste dalla legge.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dal ricorso di una società a responsabilità limitata contro un atto di recupero di un credito IVA. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato alla società l’indebita compensazione del credito, sostenendo che l’impresa rientrasse nella categoria delle società di comodo. La società, impegnata nella costruzione e nell’adeguamento di un immobile da destinare ad attività alberghiera, non aveva raggiunto le soglie di ricavi minimi previste dalla normativa nazionale. Di conseguenza, secondo l’amministrazione finanziaria, non aveva diritto a compensare il credito IVA maturato.

La società si è difesa sostenendo di trovarsi in una situazione oggettiva che le impediva di essere pienamente operativa: era in attesa del rilascio di autorizzazioni e del certificato di agibilità, ottenuti solo parzialmente e a stagione ormai terminata. Le commissioni tributarie di primo e secondo grado avevano respinto le ragioni dell’impresa, confermando la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate. La società ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione e le implicazioni per le società di comodo

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Commissione Tributaria Regionale per un nuovo esame. Il cuore della decisione risiede nell’analisi della compatibilità della normativa italiana sulle società di comodo (in particolare l’art. 30 della Legge n. 724/1994) con il diritto dell’Unione Europea.

Le Motivazioni

I giudici di legittimità hanno basato la loro decisione su una recente e fondamentale sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-341/22). La CGUE ha chiarito che i principi cardine del sistema IVA, come quello di neutralità e di proporzionalità, ostano a una normativa nazionale che priva un soggetto passivo del diritto alla detrazione dell’IVA basandosi unicamente sul fatto che le sue operazioni attive non raggiungono una determinata soglia di valore economico.

In altre parole, il diritto alla detrazione dell’IVA è un elemento strutturale del sistema e non può essere negato in modo automatico. Una limitazione a tale diritto è ammissibile solo se è strettamente necessaria per contrastare frodi o abusi. Spetta all’amministrazione finanziaria, e non al contribuente, dimostrare con elementi oggettivi che il diritto alla detrazione è stato invocato in modo fraudolento o abusivo.

La normativa italiana sulle società di comodo, invece, introduce una presunzione quasi assoluta, che lega la perdita del diritto alla detrazione al mero dato quantitativo dei ricavi, senza una necessaria valutazione di un intento elusivo. Secondo la Cassazione, un tale meccanismo è sproporzionato e incompatibile con il diritto unionale.

Di conseguenza, il giudice nazionale ha il dovere di disapplicare la norma interna in contrasto con i principi sanciti dalla Corte di Giustizia. La Cassazione ha quindi cassato la sentenza d’appello che aveva erroneamente applicato la normativa nazionale senza considerare la sua incompatibilità con il diritto sovranazionale.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta una vittoria significativa per i diritti dei contribuenti. Stabilisce un principio chiaro: essere una società di comodo secondo i parametri nazionali non comporta l’automatica perdita del diritto alla detrazione IVA. Le imprese che si trovano in fasi di avvio, di ristrutturazione o che affrontano difficoltà oggettive che limitano i loro ricavi, non possono essere penalizzate con il disconoscimento di un diritto fondamentale del sistema IVA. L’onere di provare un comportamento fraudolento o abusivo ricade sull’amministrazione finanziaria, riequilibrando il rapporto tra fisco e contribuente in conformità con i principi europei.

Una società può essere privata del diritto alla detrazione IVA solo perché classificata come ‘società di comodo’?
No. Secondo la Corte di Cassazione, in linea con il diritto dell’Unione Europea, il mancato raggiungimento di una soglia minima di ricavi non è una ragione sufficiente per negare il diritto alla detrazione dell’IVA. Tale diritto può essere negato solo se l’amministrazione finanziaria dimostra, sulla base di elementi oggettivi, che la società ha agito in modo fraudolento o abusivo.

Cosa ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia?
La CGUE ha stabilito che una normativa nazionale che nega il diritto alla detrazione dell’IVA a un soggetto passivo a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle sue operazioni a valle è contraria alla direttiva IVA e ai principi di neutralità e proporzionalità. Tali misure restrittive sono ammesse solo se necessarie per combattere frodi e abusi.

Qual è la conseguenza pratica di questa ordinanza della Cassazione?
La conseguenza pratica è che i giudici tributari italiani devono disapplicare la normativa nazionale sulle società di comodo nella parte in cui prevede l’automatica perdita del diritto alla detrazione IVA. Questo rafforza la posizione delle imprese, specialmente quelle in fase di startup o in difficoltà temporanea, che non potranno più vedersi negare la detrazione sulla base di una presunzione legale basata sui soli ricavi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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