Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18529 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18529 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 14115/2018 R.G. proposto da
Agenzia delle Entrate , nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
INTUR -INIZIATIVE TURISTICHE RAGIONE_SOCIALE.
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise n. 637/02/2017, depositata il 31.10.2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Campobasso accoglieva il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso un atto di recupero relativo a crediti IVA indebitamente compensati negli anni 2007 e 2008, in quanto la contribuente era stata considerata società non operativa ai sensi dell’art. 30, comma 4, della l. n. 724 del 1994 ;
Oggetto:
Tributi
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale del Molise respingeva l’appello proposto dall ‘Agenzia delle Entrate, rilevando, per quanto ancora qui interessa, che non era applicabile la normativa prevista per le società non operative all’impresa in stato di crisi , qualora non sia stata in grado di svolgere la propria attività caratteristica; nella specie, la contribuente non si poteva considerare una ‘ società schermo ‘ , trattandosi di ‘ azienda impossibilitata a produrre reddito indipendentemente dalla volontà dell’imprenditore ‘ , in quanto la circostanza che il settore turistico di Campitello Matese fosse in crisi era da considerare ‘ certa per oggettività ‘;
-l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
la società contribuente rimaneva intimata.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione a ll’art. 360, comma 4 cod. proc. civ., per non essersi la CTR pronunciata sul motivo di appello riguardante l ‘eccezione di inammissibilità del ricorso, avendo l’Ufficio ritenuto che l’a tto di recupero poteva essere impugnato solo per vizi propri e non con riferimento al merito della pretesa;
il motivo è infondato;
sebbene la CTR abbia omesso di pronunciarsi sul motivo di appello riguardante l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo, va premesso che, secondo l’indirizzo ormai costante di questa Corte, ‘Alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata
l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto’ ( ex plurimis , Cass. 28.06.2017, n. 16171);
ciò posto, poiché sia dal ricorso per cassazione che dalla sentenza impugnata si evince che l’atto di recupero era conseguente ad avvis i di accertamento annullati, la sua legittimità dipendeva da quella dell’atto impositivo presupposto, che ne era il titolo fondante, sicché va ribadito il principio secondo il quale, qualora intervenga una sentenza del giudice tributario, anche non passata in giudicato, che annulla in tutto o in parte l’atto presupposto, l’ente impositore, così c ome il giudice dinanzi al quale sia stato impugnato l’atto successivo, ha l’obbligo di agire in conformità della statuizione giudiziale, adottando, sia ove l’iscrizione non sia stata ancora effettuata, sia, se già effettuata, i conseguenziali provvedimenti di sgravio, o eventualmente di rimborso dell’eccedenza versata (cfr. per l’analoga fattispecie, riguardante l’impugnazione della cartella di pagamento, Cass. S. Un. n. 758 del 2017);
-ne consegue che nel giudizio riguardante l’atto di recupero la contribuente poteva reiterare le medesime censure proposte nel ricorso relativo all’avviso di accertamento, prodromico all’atto di recupero, e annullato in sede giudiziaria;
con il secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 30 , comma 4, della l. n. 724 del 1994 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere ritenuto erroneamente che la crisi del settore turistico di Campitello Maltese potesse
integrare l’esistenza di quelle ‘ particolari situazioni oggettive e straordinarie specifiche ed indipendenti dalla sua volontà che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto ‘, idonee a giustificare l’esclusione della normativa relativa alle società di comodo;
con il terzo motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per motivazione apparente, non avendo la CTR indicato, neppure a titolo esemplificativo, quali fossero gli elementi idonei a dimostrare che la società era ‘ impossibilitata a produrre reddito ‘, indipendentemente dalla sua volontà, e per motivazione contraddittoria, avendo affermato che l’esclusione della applicazione della disciplina sulle società di comodo era dovuta al generico stato di crisi del settore turistico;
per esigenze di priorità logica va esaminato prima il terzo motivo che è infondato;
è stato più volte affermato che ‘la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture ‘ (Cass., Sez. U. 3.11.2016, n. 22232);
la motivazione della sentenza impugnata non rientra affatto nei paradigmi invalidanti indicati nel citato, consolidato e condivisibile, arresto giurisprudenziale, in quanto presenta una motivazione che, seppure sintetica, palesa l’ iter logico seguito dai giudici di appello, che hanno ritenuto di confermare la sentenza impugnata ravvisando una situazione di esclusione della disciplina sulla società non
operative, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (cfr. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
anche il secondo motivo è infondato;
-la questione prospettata dalla censura riguarda la ritenuta applicabilità nei confronti della società contribuente, per l’anno d’imposta 2007, della disciplina delle cd. società di comodo;
per quanto riguarda il quadro normativo che disciplina la materia, occorre richiamare l’art. 30, comma 1, della l. n. 724 del 1994, secondo il quale le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato si considerano ‘non operativi’ quando non superino il “test di operatività” di cui al medesimo comma 1, ossia quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando determinati coefficienti;
-il mancato superamento del test di operatività, ai fini IVA, comporta, ai sensi dell’art. 30, comma 4, della l. n. 724 del 1994, l’impossibilità di chiedere a rimborso, di utilizzare in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del d.lgs. n. 241 del 1997 o cedere ai sensi dell’articolo 5, comma 4ter , del d.l. n. 70 del 1988, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 154 del 1988, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione;
l’art. 30, comma 4bis, della l. n. 724 del 1994, nella formulazione applicabile ratione temporis , indica le ipotesi in cui la disciplina antielusiva sulle società di comodo non si applica ( ‘in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito
determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973′;
-il contribuente, quindi, può vincere la presunzione dimostrando all’Amministrazione -attraverso l’interpello finalizzato alla disapplicazione delle disposizioni antielusive, ovvero in giudizio, nel caso di contrasto -le oggettive situazioni che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri normativi (Cass. 23/05/2022, n. 16472);
-come ha già affermato questa Corte (Cass. n. 28251 del 15/10/2021), con riferimento alla disciplina di cui all’art. 30 della l. n. 724 del 1994, l’interpello disapplicativo non rappresenta una condizione di procedibilità e non limita la tutela giurisdizionale del contribuente che ha sempre la facoltà di superare la presunzione legale di ‘non operatività’, mediante la dimostrazione in giudizio di circostanze oggettive e non imputabili che abbiano reso impossibile il conseguimento di ricavi in misura pari alle soglie determinata ai sensi dell’art. 30 cit., ben potendo il contribuente esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico impositivo che gli venga successivamente notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva, non essendo a tal fine necessario esperire preventivamente il rimedio precontenzioso dell’interpello disapplicativo (Cass. n. 4946 del 24/02/2021 e n. 10158 del 28/05/2020);
con specifico riferimento all’IVA, è stato precisato che, in virtù del principio fondamentale di neutralità dell’imposta, la società ritenuta non operativa può portare in detrazione l’imposta assolta, anche se non abbia presentato l’interpello disapplicativo – salvo che i costi siano fittizi e sia, perciò, configurabile una fattispecie fraudolenta o comunque effettivamente elusiva – potendo la prova della sussistenza del diritto essere fornita non solo con la procedura di cui agli artt. 30 comma 4 -bis , della l. n. 724 del 1994 e 37 -bis , del d.P.R. n. 600 del 1973, ma anche in sede processuale (Cass. n. 18807 del 28/07/2017; n. 6200 del 27/03/2015);
ciò posto, occorre evidenziare che con riferimento alla normativa italiana delle società di comodo è recentemente intervenuta la Corte di giustizia UE, con la sentenza C-341/22 del 7 marzo 2024 ( RAGIONE_SOCIALE/Agenzia delle entrate ), la quale ha precisato che ‘l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo IVA al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone ‘ (punto 25) e che ‘ l’articolo 167 della direttiva IVA nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle ‘ (punto 43);
con riferimento alla prima questione, quindi, i giudici unionali hanno affermato che la qualità di soggetto passivo IVA non è subordinata
all’effettuazione di operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, il cui valore economico superi una soglia di reddito previamente fissata, in quanto ciò che rileva è esclusivamente il fatto che detto operatore eserciti effettivamente un’attività economica e che sfrutti un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità, senza che siano garantiti dei ricavi minimi;
in ordine alla seconda questione, poi, la Corte ha chiarito che per beneficiare del diritto alla detrazione, i beni e i servizi in relazione ai quali viene invocato tale diritto devono essere utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette ad imposta, indipendentemente dai risultati delle attività economiche;
in linea di principio è, quindi, necessaria la sussistenza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che conferiscono il diritto a detrazione. Il diritto a detrarre l’IVA gravante sull’acquisto di beni o servizi a monte presuppone che le spese effettuate per acquistare questi ultimi facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni tassate a valle che conferiscono il diritto a detrazione. La detrazione è tuttavia ammessa anche in mancanza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che conferiscono un diritto a detrazione, qualora i costi dei beni e dei servizi in questione facciano parte delle spese generali del soggetto passivo e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce, i quanto simili costi presentano pure un nesso diretto e immediato con il complesso dell’attività economica del soggetto passivo (sentenza del 12 novembre 2020, Sonaecom , C -42/19, punto 42 e giurisprudenza ivi citata);
l a Corte di giustizia dell’UE ha specificato, inoltre, che se è vero che il diritto alla detrazione dell’IVA può essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che
esso è invocato fraudolentemente o abusivamente, dato che la lotta contro frodi, evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA, occorre pur sempre considerare che il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, per cui incombe alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una tale evasione;
– al la luce dell’interpretazione fornita dai giudici unionali, va condiviso quanto già rilevato da questa Corte e, segnatamente, che l’art. 30 della legge n. 724 del 1994 si pone in conflitto con gli artt. 9, paragrafo 1, e 167 della direttiva IVA, con la conseguente necessità della sua disapplicazione da parte del giudice nazionale, laddove prevede che il carattere non operativo di una società, che esclude il diritto alla detrazione dell’IVA, è dimostrato sulla base di una presunzione, quando i ricavi non raggiungono la soglia di reddito prefissata dalla stessa disposizione (Cass. n. 22249 del 6/08/2024; Cass. n. 24176 del 9/09/2024; Cass. n. 24416 dell’11/09/2024; Cass. n. 24442 dell’11/09/2024);
– la qualità di soggetto passivo deriva, dunque, dall’esercizio di un’attività economica per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità e, di conseguenza, il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte non può essere negato ad una società che effettua operazioni rilevanti ai fini dell’IVA senza tuttavia raggiungere la soglia di reddito prevista dalla normativa italiana di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994 e ciò a prescindere dalla prova fornita dalla società contribuente sull’esistenza di situazioni oggettive che rendano impossibile il conseguimento di redditi superiori a detta soglia; ciò
che rileva è che la società abbia impiegato i beni e i servizi acquistati per le sue operazioni soggette ad IVA, indipendentemente dai risultati delle attività economiche, e che dette operazioni non si inseriscano in una frode (connotate anche soggettivamente secondo il consolidato principio per cui la parte sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad una evasione) o non integrino, ai fini unionali, un abuso inteso anche quale ‘ realizzazione di una costruzione artificiosa ‘ (punti 33 -36 della sentenza C-341/22 cit.; Cass. n. 24416 del l’11.09.2024);
a ciò va aggiunto che la detrazione dell’imposta può spettare anche in assenza di operazioni attive, ossia con riguardo alle attività di carattere preparatorio, purché esse siano finalizzate alla costituzione delle condizioni d’inizio effettivo dell’attività tipica (Cass. n. 25635 del 31/08/2022; Cass. n. 23994 del 03/10/2018);
la decisione impugnata risulta in linea con i principi indicati dalla Corte di giustizia europea, avendo accertato l’esistenza e l’inerenza del credito IVA oggetto della richiesta di rimborso, peraltro neppure contestate dall’Agenzia ricorrente;
risulta, pertanto, irrilevante, ai fini IVA, alla luce della citata pronuncia della Corte di giustizia UE, la ricorrenza di eventuali situazioni oggettive che avrebbero giustificato l’inoperatività della società contribuente, atteso che era sufficiente che la società fosse un soggetto che esercitava effettivamente un’attività economica e che vi era un ‘nesso diretto e immediato’ tra gli acquisti che avevano generato l’eccedenza IVA e l’attività esercitata dalla società, condizioni queste non contestate dall’Amministrazione finanziaria;
in presenza delle suindicate condizioni, il giudice di appello ha correttamente riconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA;
in conclusione, il ricorso va rigettato e nulla va disposto sulle spese, non avendo la parte intimata svolto alcuna difesa.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 12 marzo 2025