LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Società di comodo: Diritto al rimborso IVA garantito

Una società agricola si è vista negare il rimborso di un credito IVA perché considerata una “società di comodo” per non aver raggiunto i ricavi minimi previsti dalla legge. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, stabilendo un principio fondamentale: in linea con il diritto dell’Unione Europea, la qualifica di “società di comodo” non può precludere il diritto alla detrazione e al rimborso dell’IVA se l’impresa svolge un’effettiva attività economica. La decisione si basa sulla necessità di disapplicare la normativa nazionale in contrasto con la direttiva IVA.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo e Rimborso IVA: La Cassazione si allinea all’Europa

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha stabilito un principio cruciale in materia di IVA, affermando che la qualifica di società di comodo non è sufficiente per negare il diritto al rimborso del credito IVA. Questa decisione, allineandosi alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sposta il focus dal rispetto di soglie di ricavo predeterminate all’effettività dell’attività economica svolta dal contribuente.

Il caso ha origine dal diniego di rimborso IVA opposto dall’Agenzia delle Entrate a una società agricola, considerata “non operativa” per non aver superato il cosiddetto “test di operatività”. I giudici di merito avevano dato ragione alla società e ora la Cassazione conferma tale orientamento, rigettando il ricorso dell’amministrazione finanziaria.

La Disciplina Italiana delle Società di Comodo

La normativa italiana, in particolare l’art. 30 della Legge n. 724 del 1994, introduce una presunzione legale: se una società non consegue un ammontare minimo di ricavi, calcolato in base al valore dei suoi beni patrimoniali, viene considerata una “società di comodo”. Tale qualifica comporta una serie di conseguenze fiscali negative, tra cui l’impossibilità di ottenere a rimborso l’eccedenza di credito IVA.

La legge prevede la possibilità per il contribuente di superare questa presunzione dimostrando l’esistenza di “circostanze oggettive” che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi. Proprio su questo punto si concentrava il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, la quale sosteneva che le scelte imprenditoriali della società (come la realizzazione di interventi edilizi per valorizzare un immobile) non costituissero cause oggettive valide.

L’Intervento della Corte di Giustizia UE: Un Cambio di Paradigma

La Corte di Cassazione, nel decidere il caso, ha dato un peso determinante a una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-341/22). I giudici europei hanno chiarito che la normativa italiana sulle società di comodo si pone in conflitto con i principi fondamentali della direttiva IVA, in particolare con il principio di neutralità dell’imposta.

Secondo la Corte UE, la qualità di soggetto passivo IVA e il conseguente diritto alla detrazione non possono essere negati sulla base del mancato raggiungimento di una soglia di reddito fissata a livello nazionale. Ciò che conta è che il soggetto eserciti effettivamente un’attività economica, sfruttando beni per ricavarne introiti con carattere di stabilità, a prescindere dall’ammontare di tali introiti. Negare il diritto alla detrazione sulla base di una presunzione legata ai ricavi è una misura sproporzionata e contraria al diritto unionale.

Le Motivazioni della Cassazione sul caso delle società di comodo

Sulla base dell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, la Cassazione ha concluso che la normativa nazionale deve essere disapplicata dai giudici italiani nella parte in cui lega automaticamente la perdita del diritto al rimborso IVA alla qualifica di società di comodo.

L’Irrilevanza del Test di Operatività ai Fini IVA

La Corte ha stabilito che, ai fini del diritto alla detrazione e al rimborso IVA, è irrilevante che la società abbia superato o meno il “test di operatività”. La questione cruciale non è più giustificare il mancato raggiungimento dei ricavi minimi, ma dimostrare l’esistenza di un’attività economica reale.

Il Diritto alla Detrazione basato sull’Attività Effettiva

Il diritto a detrarre l’IVA sorge quando sono soddisfatte due condizioni:

1. Il soggetto esercita effettivamente un’attività economica, anche se in fase preparatoria.
2. Esiste un nesso diretto e immediato tra i beni e servizi acquistati (che hanno generato il credito IVA) e le operazioni imponibili svolte nell’ambito di tale attività.

Nel caso specifico, la società agricola aveva sostenuto costi per interventi edilizi funzionali alla propria attività. La Cassazione ha ritenuto sufficiente l’accertamento di questa inerenza e dell’effettività dell’attività economica, senza dover entrare nel merito delle cause che hanno portato a ricavi inferiori alla soglia di legge. Il diritto alla detrazione è escluso solo in caso di frode o abuso, che devono essere provati dall’amministrazione finanziaria.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza rappresenta una svolta per tutte le imprese che, pur svolgendo un’attività economica reale e legittima, rischiano di essere penalizzate dalla rigida disciplina delle società di comodo. Le implicazioni sono significative:

Prevalenza del Diritto UE: Viene riaffermato il primato del diritto dell’Unione Europea sulla normativa nazionale in contrasto con esso.
Tutela del Contribuente: Le imprese possono far valere il loro diritto al rimborso IVA in sede giudiziaria, dimostrando la concretezza della loro attività, senza dover necessariamente superare le presunzioni del fisco sui ricavi minimi.
Spostamento dell’Onere della Prova: In caso di contestazione, l’amministrazione finanziaria non potrà più limitarsi a invocare il mancato superamento del test di operatività, ma dovrà provare l’assenza di un’attività economica effettiva o la presenza di intenti fraudolenti o abusivi.

Una società qualificata come “società di comodo” può chiedere il rimborso del credito IVA?
Sì. Secondo l’ordinanza, la qualifica di società di comodo basata sul mancato raggiungimento di soglie di ricavo minime non può, da sola, precludere il diritto al rimborso del credito IVA, a condizione che la società eserciti un’effettiva attività economica.

La normativa italiana sulle società di comodo è compatibile con il diritto dell’Unione Europea in materia di IVA?
No. La Corte di Cassazione, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, afferma che la normativa nazionale (art. 30 della L. 724/1994) si pone in conflitto con la direttiva IVA e deve essere disapplicata dal giudice nazionale nella parte in cui nega il diritto alla detrazione basandosi su una presunzione di non operatività.

Per ottenere il rimborso IVA, è necessario dimostrare che il mancato raggiungimento dei ricavi minimi è dipeso da cause oggettive?
No. Alla luce di questa interpretazione, non è più necessario fornire la prova di cause oggettive che giustifichino i bassi ricavi. È sufficiente dimostrare che la società esercita una reale attività economica e che vi è un nesso diretto tra i costi sostenuti (che hanno generato il credito IVA) e l’attività stessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati