Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2757 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2757 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 5380/2022 R.G. proposto da
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE società agricola
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria n. 584/03/2021, depositata il 14.07.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTR della Liguria rigettava sia l’ appello principale proposto dall ‘Agenzia delle entrate sia quello incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE società agricola avverso la sentenza della CTP di Imperia che aveva accolto il ricorso proposto dalla predetta contribuente avverso il diniego di rimborso del credito IVA , risultante nell’anno di imposta 2015, emesso a seguito del rigetto dell’istanza di
Oggetto:
Tributi – Diniego di
rimborso di credito IVA –
Società di comodo
disapplicazione della disciplina antielusiva sulle società di comodo, non avendo la società conseguito i ricavi minimi previsti dall’art. 30 della l. n. 724 del 1994 e non avendo provato che il mancato superamento del test di operatività dipendesse da cause oggettive non imputabili alla contribuente;
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che il primo giudice aveva correttamente valorizzato alcune circostanze di fatto, dalle quali si evinceva che il cambio di attività della società aveva comportato per la contribuente la necessità di effettuare alcuni interventi edilizi di valorizzazione del compendio immobiliare, funzionale a incrementare la sua reddittività, ma che, nell’immediato, aveva determinato una contrazione dei ricavi; l’appello dell’Ufficio era generico ed erroneamente fondato sull’asserzione che la contribuente non avrebbe fornito elementi documentali atti a comprovare l’esistenza di circostanze oggettive in grado di giustificare detta la contrazione dei ricavi e di impedire il raggiungimento di quella misura minima richiesta dalla disciplina delle società non operative;
l ‘Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
la società contribuente rimaneva intimata.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, l’Agenzia deduce , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., 36, comma 2, n. 40 del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR motivato in modo acritico e apparente, per relationem alla sentenza di primo grado, con esclusivo riferimento al fatto che gli interventi edilizi realizzati dalla contribuente, volti a valorizzare il suo compendio immobiliare, avevano determinato, nel breve periodo, una contrazione dei ricavi,
senza motivare in alcun modo in ordine alle analitiche censure mosse dall’Ufficio nell’atto di appello, che riguardavano unicamente la mancanza di prova circa l’esistenza di circostanze oggettive in grado di giustificare una contrazione dei ricavi tale da impedire il raggiungimento di quella misura minima richiesta dalla disciplina sulla società non operative;
il motivo è infondato;
sul punto va ribadito, sulla base di quanto espresso da questa Corte in tema di motivazione apparente (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. S.U. 3 novembre 2016, n. 22232) e specificamente rilevato, con riferimento alla motivazione resa per relationem alla pronuncia di primo grado ( ex plurimis , Cass. 5 agosto 2019, n. 20883; Cass. 5 novembre 2018, n. 28139), che la sentenza d’appello può essere motivata “per relationem”, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame;
la motivazione della sentenza impugnata non rientra affatto nei paradigmi invalidanti indicati nei citati, consolidati e condivisibili orientamenti giurisprudenziali, in quanto non si limita a confermare la decisione di primo grado attraverso il mero rimando al contenuto di tale pronuncia, ma esprime un nucleo di “valutazione autonoma” e risponde, seppure sinteticamente, alle censure riproposte con l’atto di appello, riportandole e ritenendole generiche, oltre che erroneamente fondate ‘ sull’asserzione che la contribuente non avrebbe fornito
elementi documentali atti a comprovare l’esistenza di circostanze oggettive in grado id giustificare una contrazione dei ricavi tale da impedire il raggiungimento di quella misura minima degli stessi, richiesta dalla disciplina delle società non operative ‘ , dovendosi ritenere, pertanto, che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale”; – con il secondo motivo di ricorso, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione de ll’a rt. 30 della l. n. 724 del 1994, avendo la sentenza impugnata considerato una mera scelta imprenditoriale, relativa alla massimizzazione dei profitti (nella specie, l’installazione di una piscina), alla stregua di situazioni oggettive che hanno reso impossibile il conseguimento del livello minimo di ricavi, mentre deve trattarsi di accadimenti indipendenti dalla volontà dell’imprenditore ;
il motivo è infondato;
-la questione prospettata dalla censura riguarda la ritenuta applicabilità nei confronti della società contribuente, per l’anno d’imposta 201 5, della disciplina delle cd. società di comodo;
per quanto riguarda il quadro normativo che disciplina la materia, occorre richiamare l’art. 30, comma 1, della l. n. 724 del 1994, secondo il quale le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato si considerano ‘non operativi’ quando non superino il “test di operatività” di cui al medesimo comma 1, ossia quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando determinati coefficienti;
-il mancato superamento del test di operatività, ai fini IVA, comporta, ai sensi dell’art. 30, comma 4, della l. n. 724 del 1994, l’impossibilità di chiedere a rimborso, di utilizzare in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del d.lgs. n. 241 del 1997 o cedere ai sensi dell’articolo 5, comma 4ter , del d.l. n. 70 del 1988, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 154 del 1988, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione;
l’art. 30, comma 4bis, della l. n. 724 del 1994, nella formulazione applicabile ratione temporis , indica le ipotesi in cui la disciplina antielusiva sulle società di comodo non si applica ( ‘in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973’ ;
-il contribuente, quindi, può vincere la presunzione dimostrando all’Amministrazione -attraverso l’interpello finalizzato alla disapplicazione delle disposizioni antielusive, ovvero in giudizio, nel caso di contrasto -le oggettive situazioni che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri normativi (Cass. 23/05/2022, n. 16472);
-come ha già affermato questa Corte (Cass. n. 28251 del 15/10/2021), con riferimento alla disciplina di cui all’art. 30 della l. n. 724 del 1994, l’interpello disapplicativo non rappresenta una condizione di procedibilità e non limita la tutela giurisdizionale del contribuente che ha sempre la facoltà di superare la presunzione
legale di ‘non operatività’, mediante la dimostrazione in giudizio di circostanze oggettive e non imputabili che abbiano reso impossibile il conseguimento di ricavi in misura pari alle soglie determinata ai sensi dell’art. 30 cit., ben potendo il contribuente esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico impositivo che gli venga successivamente notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva, non essendo a tal fine necessario esperire preventivamente il rimedio precontenzioso dell’interpello disapplicativo (Cass. n. 4946 del 24/02/2021 e n. 10158 del 28/05/2020);
– con specifico riferimento all’IVA, poi, è stato precisato che, in virtù del principio fondamentale di neutralità dell’imposta, la società ritenuta non operativa può portare in detrazione l’imposta assolta, anche se non abbia presentato l’interpello disapplicativo – salvo che i costi siano fittizi e sia, perciò, configurabile una fattispecie fraudolenta o comunque effettivamente elusiva – potendo la prova della sussistenza del diritto essere fornita non solo con la procedura di cui agli artt. 30 comma 4 -bis , della l. n. 724 del 1994 e 37 -bis , del d.P.R. n. 600 del 1973, ma anche in sede processuale (Cass. n. 18807 del 28/07/2017; n. 6200 del 27/03/2015);
– ciò posto, occorre evidenziare che con riferimento alla normativa italiana delle società di comodo è recentemente intervenuta la Corte di giustizia UE, con la sentenza C-341/22 del 7 marzo 2024 ( RAGIONE_SOCIALE/Agenzia delle entrate ), la quale ha precisato che ‘l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo IVA al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una
normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone ‘ (punto 25) e che ‘ l’articolo 167 della direttiva IVA nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle ‘ (punto 43) ;
con riferimento alla prima questione, quindi, i giudici unionali hanno affermato che la qualità di soggetto passivo IVA non è subordinata all’effettuazione di operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, il cui valore economico superi una soglia di reddito previamente fissata, in quanto ciò che rileva è esclusivamente il fatto che detto operatore eserciti effettivamente un’attività economica e che sfrutti un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità, senza che siano garantiti dei ricavi minimi;
in ordine alla seconda questione, poi, la Corte ha chiarito che per beneficiare del diritto alla detrazione, i beni e i servizi in relazione ai quali viene invocato tale diritto devono essere utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette ad imposta, indipendentemente dai risultati delle attività economiche;
in linea di principio è, quindi, necessaria la sussistenza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che conferiscono il diritto a detrazione. Il diritto a detrarre l’IVA gravante sull’acquisto di beni o servizi a monte presuppone che le spese effettuate per acquistare questi ultimi facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni tassate a valle che conferiscono il diritto a detrazione. La detrazione è tuttavia ammessa anche in mancanza di un nesso diretto e immediato
tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che conferiscono un diritto a detrazione, qualora i costi dei beni e dei servizi in questione facciano parte delle spese generali del soggetto passivo e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce, i quanto simili costi presentano pure un nesso diretto e immediato con il complesso dell’attività economica del soggetto passivo (sentenza del 12 novembre 2020, Sonaecom , C -42/19, punto 42 e giurisprudenza ivi citata);
– l a Corte di giustizia dell’UE ha specificato, inoltre, che se è vero che il diritto alla detrazione dell’IVA può essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso è invocato fraudolentemente o abusivamente, dato che la lotta contro frodi, evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA, occorre pur sempre considerare che il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, per cui incombe alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una tale evasione;
– al la luce dell’interpretazione fornita dai giudici unionali , va condiviso quanto già rilevato da questa Corte e, segnatamente, che l’art. 30 della legge n. 724 del 1994 si pone in conflitto con gli artt. 9, paragrafo 1, e 167 della direttiva IVA, con la conseguente necessità della sua disapplicazione da parte del giudice nazionale, laddove prevede che il carattere non operativo di una società, che esclude il diritto alla detrazione dell’IVA, è dimostrato sulla base di una presunzione, quando i ricavi non raggiungono la soglia di reddito
prefissata dalla stessa disposizione ( ex plurimis , Cass. n. 22249 del 6/08/2024);
la qualità di soggetto passivo deriva, dunque, dall’esercizio di un’attività economica per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità e, di conseguenza, il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte non può essere negato ad una società che effettua operazioni rilevanti ai fini dell’IVA senza tuttavia raggiungere la soglia di reddito prevista dalla normativa italiana di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994 e ciò a prescindere dalla prova fornita dalla società contribuente sull’esistenza di situazioni oggettive che rendano impossibile il conseguimento di redditi superiori a detta soglia; ciò che rileva è che la società abbia impiegato i beni e i servizi acquistati per le sue operazioni soggette ad IVA, indipendentemente dai risultati delle attività economiche, e che dette operazioni non si inseriscano in una frode (connotate anche soggettivamente secondo il consolidato principio per cui la parte sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad una evasione) o non integrino, ai fini unionali, un abuso inteso anche quale ‘ realizzazione di una costruzione artificiosa ‘ (punti 33 -36 della sentenza C-341/22 cit.; Cass. n. 24416 del l’11.09.2024);
a ciò va aggiunto che la detrazione dell’imposta può spettare anche in assenza di operazioni attive, ossia con riguardo alle attività di carattere preparatorio, purché esse siano finalizzate alla costituzione delle condizioni d’inizio effettivo dell’attività tipica (Cass. n. 25635 del 31/08/2022; Cass. n. 23994 del 03/10/2018);
la decisione impugnata risulta in linea con i principi indicati dalla Corte di giustizia europea, avendo accertato, nella sostanza, l’esistenza e l’inerenza del credito IVA oggetto della richiesta di rimborso, peraltro neppure specificatamente contestato dall’Agenzia ricorrente che si è limitata a rilevare la mancanza di prova circa
l’esistenza di situazioni oggettiv e che avevano reso impossibile il conseguimento di redditi superiori alla soglia normativamente prevista;
-nella specie, invece, risulta irrilevante, alla luce della citata pronuncia della Corte di giustizia UE, la ricorrenza di eventuali situazioni oggettive che avrebbero giustificato l’inoperatività della società contribuente, atteso che era sufficiente che la società fosse un soggetto che esercitava effettivamente un’attività economica e che vi era un ‘nesso diretto e immediato’ tra gli acquisti che avevano generato l’eccedenza IVA e l’attività esercitata dalla società;
in presenza delle suindicate condizioni, il giudice di appello ha correttamente riconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA ;
in conclusione, il ricorso va rigettato;
nulla va disposto sulle spese nei confronti della società contribuente, stante la mancata costituzione della medesima.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 23 ottobre 2024