Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18192 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18192 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 9311/2017 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione;
(PEC: EMAIL
-ricorrente – contro
Agenzia delle Entrate , nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna n. 2312/12/2016, depositata il 26.09.2016; Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Forlì accoglieva il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento , per
Oggetto:
Tributi
IVA e altro, in relazione all’anno di imposta 2007, riguardante il recupero di un credito IVA a suo tempo rimborsato;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale dell ‘ Emilia-Romagna accoglieva l’appello proposto da ll’Ufficio , rilevando, per quanto ancora qui interessa, che:
la contribuente non aveva diritto al rimborso del credito IVA essendo risultata, per il triennio 2006-2008, una società non operativa (cd. società di comodo), in quanto, pur congrua, non era coerente rispetto agli indicatori applicabili nei suoi confronti;
tale assenza di coerenza rivelava la carenza di operatività gestionale della società, essendo finalizzata a gestire esclusivamente gli interessi personali dei soci e non un’ attività commerciale;
la società, peraltro, non aveva superato il test di operatività per il triennio 2006-2008 e tale condizione comportava l’impossibilità sia di utilizzare in compensazione un credito IVA sia di chiederne il rimborso;
la società contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
-l’Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., e segnatamente l’incompatibilità della disposizione contenuta nella legge 27 dicembre 2006 n. 296 con le norme comunitarie e, in particolare, con il principio di neutralità dell’IVA ;
con il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, dell’art. 30 della l. n. 724 del 1994, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR escluso la contribuente, che si era adeguata al ricavo minimo
pagando le imposte dovute, dalla disciplina delle società non operative, estendendo alla stessa l’interpretazione formulata dalla stessa Agenzia in materia di studi di settore;
con il terzo motivo deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 5 del d.lgs. 472/1997 in materia di sanzioni tributarie, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. , per non avere la CTR considerato la mancanza dell’elemento soggettivo;
il primo motivo è fondato nei termini di seguito indicati;
-la questione prospettata dalla censura riguarda la ritenuta applicabilità nei confronti della società contribuente, per l’anno d’imposta 2007, della disciplina delle cd. società di comodo, ai fini del rimborso di un credito IVA;
per quanto riguarda il quadro normativo che disciplina la materia, occorre richiamare l’art. 30, comma 1, della l. n. 724 del 1994, secondo il quale le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato si considerano ‘non operativi’ quando non superino il “test di operatività” di cui al medesimo comma 1, ossia quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando determinati coefficienti;
-il mancato superamento del test di operatività, ai fini IVA, comporta, ai sensi dell’art. 30, comma 4, della l. n. 724 del 1994, l’impossibilità di chiedere a rimborso, di utilizzare in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del d.lgs. n. 241 del 1997 o cedere ai sensi dell’articolo 5, comma 4ter , del d.l. n. 70 del 1988, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 154 del 1988, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione;
l’art. 30, comma 4bis, della l. n. 724 del 1994, nella formulazione applicabile ratione temporis , indica le ipotesi in cui la disciplina antielusiva sulle società di comodo non si applica ( ‘in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973’;
-il contribuente, quindi, può vincere la presunzione dimostrando all’Amministrazione -attraverso l’interpello finalizzato alla disapplicazione delle disposizioni antielusive, ovvero in giudizio, nel caso di contrasto -le oggettive situazioni che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri normativi (Cass. 23/05/2022, n. 16472);
-come ha già affermato questa Corte (Cass. n. 28251 del 15/10/2021), con riferimento alla disciplina di cui all’art. 30 della l. n. 724 del 1994, l’interpello disapplicativo non rappresenta una condizione di procedibilità e non limita la tutela giurisdizionale del contribuente che ha sempre la facoltà di superare la presunzione legale di ‘non operatività’, mediante la dimostrazione in giudizio di circostanze oggettive e non imputabili che abbiano reso impossibile il conseguimento di ricavi in misura pari alle soglie determinata ai sensi dell’art. 30 cit., ben potendo il contribuente esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico impositivo che gli venga successivamente notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della
disapplicazione della norma antielusiva, non essendo a tal fine necessario esperire preventivamente il rimedio precontenzioso dell’interpello disapplicativo (Cass. n. 4946 del 24/02/2021 e n. 10158 del 28/05/2020);
– con specifico riferimento all’IVA, poi, è stato precisato che, in virtù del principio fondamentale di neutralità dell’imposta, la società ritenuta non operativa può portare in detrazione l’imposta assolta, anche se non abbia presentato l’interpello disapplicativo – salvo che i costi siano fittizi e sia, perciò, configurabile una fattispecie fraudolenta o comunque effettivamente elusiva – potendo la prova della sussistenza del diritto essere fornita non solo con la procedura di cui agli artt. 30 comma 4 -bis , della l. n. 724 del 1994 e 37 -bis , del d.P.R. n. 600 del 1973, ma anche in sede processuale (Cass. n. 18807 del 28/07/2017; n. 6200 del 27/03/2015);
– ciò posto, occorre evidenziare che con riferimento alla normativa italiana delle società di comodo è recentemente intervenuta la Corte di giustizia UE, con la sentenza C-341/22 del 7 marzo 2024 ( RAGIONE_SOCIALE/Agenzia delle entrate ), la quale ha precisato che ‘l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo IVA al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone ‘ (punto 25) e che ‘ l’articolo 167 della direttiva IVA nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo,
considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle ‘ (punto 43);
con riferimento alla prima questione, quindi, i giudici unionali hanno affermato che la qualità di soggetto passivo IVA non è subordinata all’effettuazione di operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, il cui valore economico superi una soglia di reddito previamente fissata, in quanto ciò che rileva è esclusivamente il fatto che detto operatore eserciti effettivamente un’attività economica e che sfrutti un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità, senza che siano garantiti dei ricavi minimi;
in ordine alla seconda questione, poi, la Corte ha chiarito che per beneficiare del diritto alla detrazione, i beni e i servizi in relazione ai quali viene invocato tale diritto devono essere utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette ad imposta, indipendentemente dai risultati delle attività economiche;
in linea di principio è, quindi, necessaria la sussistenza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che conferiscono il diritto a detrazione. Il diritto a detrarre l’IVA gravante sull’acquisto di beni o servizi a monte presuppone che le spese effettuate per acquistare questi ultimi facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni tassate a valle che conferiscono il diritto a detrazione. La detrazione è tuttavia ammessa anche in mancanza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che conferiscono un diritto a detrazione, qualora i costi dei beni e dei servizi in questione facciano parte delle spese generali del soggetto passivo e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce, i quanto simili costi presentano pure un nesso diretto e immediato con il complesso dell’attività economica
del soggetto passivo (sentenza del 12 novembre 2020, RAGIONE_SOCIALE , C -42/19, punto 42 e giurisprudenza ivi citata);
l a Corte di giustizia dell’UE ha specificato, inoltre, che se è vero che il diritto alla detrazione dell’IVA può essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso è invocato fraudolentemente o abusivamente, dato che la lotta contro frodi, evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA, occorre pur sempre considerare che il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, per cui incombe alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una tale evasione;
al la luce dell’interpretazione fornita dai giudici unionali, va condiviso quanto già rilevato da questa Corte e, segnatamente, che l’art. 30 della legge n. 724 del 1994 si pone in conflitto con gli artt. 9, paragrafo 1, e 167 della direttiva IVA, con la conseguente necessità della sua disapplicazione da parte del giudice nazionale, laddove prevede che il carattere non operativo di una società, che esclude il diritto alla detrazione dell’IVA, è dimostrato sulla base di una presunzione, quando i ricavi non raggiungono la soglia di reddito prefissata dalla stessa disposizione (Cass. n. 22249 del 6/08/2024; Cass. n. 24176 del 9/09/2024; Cass. n. 24416 dell’11/09/2024; Cass. n. 24442 dell’11/09/2024 );
la qualità di soggetto passivo deriva, dunque, dall’esercizio di un’attività economica per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità e, di conseguenza, il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte non può essere negato ad una società che effettua operazioni
rilevanti ai fini dell’IVA senza tuttavia raggiungere la soglia di reddito prevista dalla normativa italiana di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994 e ciò a prescindere dalla prova fornita dalla società contribuente sull’esistenza di situazioni oggettive che rendano impossibile il conseguimento di redditi superiori a detta soglia; ciò che rileva è che la società abbia impiegato i beni e i servizi acquistati per le sue operazioni soggette ad IVA, indipendentemente dai risultati delle attività economiche, e che dette operazioni non si inseriscano in una frode (connotate anche soggettivamente secondo il consolidato principio per cui la parte sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad una evasione) o non integrino, ai fini unionali, un abuso inteso anche quale ‘ realizzazione di una costruzione artificiosa ‘ (punti 33 -36 della sentenza C-341/22 cit.; Cass. n. 24416/2024 cit.);
a ciò va aggiunto che la detrazione dell’imposta può spettare anche in assenza di operazioni attive, ossia con riguardo alle attività di carattere preparatorio, purché esse siano finalizzate alla costituzione delle condizioni d’inizio effettivo dell’attività tipica (Cass. n. 25635 del 31/08/2022; Cass. n. 23994 del 03/10/2018);
la CTR non ha effettuato tale verifica con riferimento al credito IVA oggetto di recupero, atteso che la decisione si è limitata ad affermare che la società, pur congrua, non era coerente e ciò determinava la carenza di operatività gestionale, precisando, inoltre, che la società non aveva superato il test di operatività per il triennio 2006 -2008, qualificandosi come non operativa, con la conseguente impossibilità di utilizzare in compensazione il credito IVA o chiederne il rimborso;
trattandosi di accertamento di merito, non esperibile in sede di legittimità, la sentenza va su questo punto cassata per un nuovo esame che dovrà essere espletato, quale diretta conseguenza ed
applicazione della disciplina unionale, alla luce della sentenza della Corte di giustizia europea;
i restanti motivi rimangono assorbiti dall’accoglimento de lla prima censura;
in conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, la sentenza va cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente, in diversa composizione, per nuovo esame anche alla luce dei principi affermati dalla Corte di giustizia europea, come sopra richiamati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata, con riguardo al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia Romagna, in diversa composizione.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 12 marzo 2025.