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Società di comodo: detrazione IVA sempre garantita

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18192/2025, ha stabilito che la normativa italiana sulle società di comodo non può automaticamente negare il diritto alla detrazione dell’IVA. Allineandosi a una sentenza della Corte di Giustizia UE, ha affermato che il solo mancato superamento di una soglia di ricavi predeterminata non è sufficiente a escludere tale diritto, che può essere negato solo in caso di frode o abuso. Di conseguenza, la Corte ha cassato la decisione dei giudici di merito che avevano negato il rimborso di un credito IVA a una società immobiliare, rinviando il caso per un nuovo esame basato sui principi europei.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Comodo e Detrazione IVA: La Cassazione si Allinea all’Europa

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha stabilito un principio di fondamentale importanza per le imprese, in particolare per quelle qualificate come società di comodo. Con la decisione in esame, i giudici supremi hanno chiarito che il diritto alla detrazione dell’IVA non può essere automaticamente negato a una società solo perché non ha raggiunto la soglia di ricavi prevista dalla normativa nazionale. Questa pronuncia, allineandosi alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, rafforza il principio di neutralità fiscale dell’IVA.

I Fatti del Caso: La Controversia tra l’Impresa e il Fisco

Una società immobiliare si è vista negare dall’Agenzia delle Entrate il rimborso di un credito IVA relativo all’anno d’imposta 2007. La motivazione del diniego risiedeva nella qualifica di società di comodo attribuita all’impresa, in quanto per il triennio 2006-2008 non aveva superato il cosiddetto “test di operatività”.

La Commissione Tributaria Regionale aveva confermato la posizione dell’Ufficio, sostenendo che l’assenza di coerenza tra i ricavi e gli indicatori applicabili rivelava una carenza di operatività gestionale. Secondo i giudici di merito, questa condizione comportava l’impossibilità sia di utilizzare il credito IVA in compensazione sia di chiederne il rimborso. La società, ritenendo la decisione ingiusta, ha impugnato la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Disciplina delle Società di Comodo e il suo Impatto sull’IVA

La normativa italiana, specificamente l’art. 30 della Legge n. 724/1994, presume “non operative” (o “di comodo”) le società che non raggiungono un ammontare minimo di ricavi, calcolato in base al valore dei beni in loro possesso. Questa qualifica comporta conseguenze fiscali penalizzanti, tra cui l’impossibilità di detrarre o chiedere a rimborso l’eccedenza di credito IVA.

La logica dietro questa norma è quella di contrastare l’uso di società create al solo fine di detenere patrimoni (immobiliari o mobiliari) beneficiando dei vantaggi fiscali riservati alle imprese, senza però svolgere una vera e propria attività economica.

La Svolta Europea: La Prevalenza del Diritto UE sulle Norme Nazionali

Il punto cruciale della controversia riguarda la compatibilità di questa normativa nazionale con i principi fondamentali del sistema IVA europeo. La società ricorrente ha sostenuto che negare la detrazione IVA sulla base di una presunzione legale di non operatività viola il principio di neutralità dell’imposta.

La Corte di Cassazione ha accolto questa tesi, basando la sua decisione su una recente e fondamentale sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-341/22 del 7 marzo 2024). I giudici europei hanno chiarito due punti essenziali:

1. La qualità di soggetto passivo IVA non può essere negata solo perché i ricavi di un’impresa non raggiungono una soglia minima fissata a livello nazionale.
2. Il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte non può essere negato a causa dell’importo, ritenuto insufficiente, delle operazioni a valle.

In altre parole, finché un’impresa svolge un’attività economica reale, anche se con ricavi minimi o in fase preparatoria, ha diritto a detrarre l’IVA pagata sui suoi acquisti.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha concluso che l’art. 30 della Legge n. 724/1994 si pone in conflitto con gli articoli 9 e 167 della Direttiva IVA, come interpretati dalla Corte di Giustizia. La presunzione legale italiana, che lega la non operatività e la conseguente perdita del diritto alla detrazione al mero mancato raggiungimento di una soglia di reddito, deve essere disapplicata dal giudice nazionale.

I giudici hanno specificato che il diritto alla detrazione può essere negato solo in circostanze eccezionali, ovvero quando le autorità tributarie dimostrano, sulla base di elementi oggettivi, che tale diritto è stato invocato in modo fraudolento o abusivo. Non è sufficiente, quindi, invocare una presunzione basata sui ricavi. Ciò che conta è l’effettivo impiego dei beni e servizi acquistati nell’ambito di un’attività economica, indipendentemente dai suoi risultati economici.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato il caso alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame. Quest’ultima dovrà verificare non se la società abbia superato il test di operatività, ma se abbia effettivamente impiegato i beni e i servizi per i quali chiede la detrazione nell’ambito delle sue operazioni soggette a IVA e se tali operazioni non si inseriscano in un contesto di frode o abuso. Questa ordinanza rappresenta una vittoria per il principio di neutralità dell’IVA e offre una maggiore tutela alle imprese, specialmente a quelle in fase di avvio o che attraversano periodi di bassi ricavi, contro l’applicazione automatica e penalizzante della disciplina sulle società di comodo.

Una società qualificata come ‘di comodo’ può vedersi negato il diritto alla detrazione o al rimborso dell’IVA?
No, non automaticamente. Secondo la Corte di Cassazione, la qualifica di ‘società di comodo’ basata sul mancato superamento di una soglia di ricavi non è sufficiente a negare il diritto alla detrazione IVA. Tale diritto può essere negato solo se l’amministrazione finanziaria prova l’esistenza di una frode o di un abuso.

La normativa italiana sulle società di comodo è compatibile con i principi IVA dell’Unione Europea?
No. La Corte ha stabilito che l’art. 30 della Legge n. 724/1994 è in conflitto con gli articoli 9 e 167 della Direttiva IVA, poiché subordina il diritto alla detrazione a una presunzione basata sul reddito, violando il principio di neutralità dell’imposta. Pertanto, la norma nazionale deve essere disapplicata dal giudice.

Cosa deve fare il giudice di merito nel riesaminare il caso?
Il giudice di merito non dovrà più basarsi sul superamento del test di operatività, ma dovrà verificare se la società ha effettivamente impiegato i beni e i servizi acquistati per le sue operazioni soggette a IVA, indipendentemente dai risultati economici ottenuti, e accertare che non sussistano elementi di frode o abuso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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