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Società di comodo: detrazione IVA garantita dall’UE

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di una società agricola contro l’Agenzia delle Entrate. La controversia riguardava il diniego della disapplicazione della normativa sulle società di comodo e la conseguente perdita del diritto alla detrazione IVA a causa di ricavi ritenuti non congrui. La Corte, basandosi su una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha stabilito che la normativa nazionale è in contrasto con le direttive europee sull’IVA. Il diritto alla detrazione non può essere negato solo sulla base del mancato raggiungimento di una soglia di reddito predeterminata, poiché ciò viola il principio di neutralità dell’IVA. La causa è stata rinviata al giudice di secondo grado per una nuova valutazione alla luce dei principi europei.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: La Corte di Cassazione allinea l’Italia all’Europa sul Diritto alla Detrazione IVA

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 33386 del 2024, ha segnato un punto di svolta fondamentale per la disciplina delle cosiddette società di comodo. Allineandosi a una precedente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, i giudici supremi hanno stabilito che la normativa italiana, la quale nega la detrazione dell’IVA alle società con ricavi insufficienti, è in contrasto con il diritto europeo e deve essere disapplicata. Questa decisione rafforza la tutela delle imprese che, pur svolgendo un’effettiva attività economica, attraversano periodi di difficoltà o bassa redditività.

Il Contesto del Caso: Quando i Ricavi Bassi Fanno Scattare la Presunzione

Il caso ha origine dal ricorso di una società agricola che si è vista negare dall’Agenzia delle Entrate la possibilità di disapplicare la normativa sulle società di comodo. Tale disciplina, contenuta nell’art. 30 della Legge n. 724/1994, presume che una società non sia operativa se i suoi ricavi non raggiungono una soglia minima determinata in base al valore dei suoi asset patrimoniali. La conseguenza più grave di questa classificazione è la perdita del diritto alla detrazione e al rimborso del credito IVA. La società ricorrente sosteneva di svolgere una reale attività imprenditoriale e che i bassi ricavi fossero giustificati da oggettive situazioni di mercato. Sia in primo che in secondo grado, i giudici tributari avevano dato ragione all’Amministrazione Finanziaria, rigettando le istanze dell’impresa.

La Decisione della Cassazione: Prevalenza del Diritto Europeo sulle società di comodo

La Corte di Cassazione ha ribaltato completamente il verdetto dei gradi precedenti. Il punto cruciale della decisione è il recepimento dei principi sanciti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza del 7 marzo 2024, causa C-341/22). Secondo i giudici europei, e ora anche italiani, il diritto alla detrazione dell’IVA è un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA e non può essere subordinato al raggiungimento di una soglia di reddito minima fissata a livello nazionale.

La qualità di “soggetto passivo IVA” deriva dall’esercizio effettivo di un’attività economica, non dal volume dei ricavi che essa genera. Negare la detrazione IVA sulla base di una presunzione legale legata a ricavi insufficienti viola il principio di neutralità fiscale, che vuole l’IVA gravare unicamente sul consumatore finale e non sulle imprese. Di conseguenza, la normativa italiana sulle società di comodo, nella parte in cui preclude la detrazione IVA, si pone in conflitto con le direttive europee e deve essere disapplicata dal giudice nazionale.

Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza ha conseguenze pratiche di grande rilievo per tutte le imprese, in particolare per startup, aziende in fase di ristrutturazione o operanti in settori ciclici. La decisione chiarisce che:
1. L’attività economica conta più dei ricavi: Ai fini IVA, ciò che rileva è lo svolgimento effettivo di un’attività imprenditoriale, non il suo rendimento economico in un dato periodo.
2. Il diritto alla detrazione è tutelato: Le imprese non possono più perdere automaticamente il diritto a detrarre l’IVA solo perché i loro ricavi sono temporaneamente al di sotto delle soglie di legge.
3. Onere della prova in caso di abusi: Spetta all’autorità fiscale dimostrare, sulla base di elementi oggettivi, l’esistenza di frodi o abusi, come nel caso di società create al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali indebiti. La presunzione di non operatività non è più sufficiente per negare la detrazione.

Le Motivazioni in Dettaglio

La Corte di Cassazione motiva la sua decisione ripercorrendo l’iter logico della sentenza della Corte di Giustizia UE. Viene sottolineato che la Direttiva IVA 2006/112/CE non prevede alcuna condizione legata all’importo delle operazioni effettuate per riconoscere la qualità di soggetto passivo o il diritto a detrazione. Il sistema italiano, fondato su una presunzione automatica che può essere superata solo con una prova contraria a carico del contribuente, finisce per mettere sistematicamente in discussione un diritto fondamentale del sistema IVA. I giudici supremi chiariscono che il focus del giudizio deve spostarsi: non più verificare se la società ha fornito prove sufficienti a giustificare i bassi ricavi (come la “causa dell’attuale congiuntura economica”), ma accertare se, nell’anno d’imposta in esame, la società abbia effettivamente esercitato un’attività economica e fosse, quindi, un soggetto passivo IVA. Qualsiasi altra considerazione sull’onere della prova in capo alla società diventa inconferente.

Conclusioni

In conclusione, l’ordinanza n. 33386/2024 rappresenta una vittoria per il principio di prevalenza del diritto europeo e per la tutela dei contribuenti. Stabilendo che la disciplina nazionale sulle società di comodo deve cedere il passo ai principi europei di neutralità e proporzionalità in materia di IVA, la Cassazione offre maggiore certezza giuridica alle imprese. La sentenza impugnata è stata cassata e la causa rinviata alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, che dovrà ora riesaminare il caso attenendosi strettamente ai principi sanciti, verificando la sola effettività dell’attività economica svolta dalla società.

Una società con ricavi bassi può perdere automaticamente il diritto alla detrazione IVA in base alla normativa sulle società di comodo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, che si conforma al diritto dell’Unione Europea, il diritto alla detrazione dell’IVA non può essere negato solo perché i ricavi di una società sono inferiori a una soglia prestabilita dalla legge nazionale. Ciò che conta è l’effettivo svolgimento di un’attività economica.

La normativa italiana sulle società di comodo è compatibile con le direttive europee sull’IVA?
No. La Corte ha stabilito che l’articolo 30 della legge n. 724/1994, nella parte in cui prevede la perdita del diritto alla detrazione IVA per il mancato raggiungimento di determinate soglie di ricavi, è in contrasto con gli articoli 9 e 167 della direttiva IVA 2006/112/CE e deve essere disapplicato dal giudice nazionale.

Cosa deve verificare il giudice per decidere se una società ha diritto alla detrazione IVA?
Il giudice deve verificare se la società, nel periodo d’imposta contestato, ha esercitato un’effettiva attività economica e se può essere qualificata come soggetto passivo IVA. Non è più rilevante accertare se la società abbia fornito prove sufficienti a giustificare il mancato raggiungimento della soglia di reddito prevista dalla normativa sulle società di comodo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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