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Società di comodo: crisi e prova contraria

La Cassazione chiarisce che per superare la presunzione di essere una società di comodo non basta un generico richiamo alla crisi economica. È necessario fornire prove specifiche sulle condizioni del mercato locale. La Corte ha accolto il ricorso di una società, cassando la sentenza d’appello che aveva ignorato tali prove, e ha stabilito che il diniego di disapplicazione delle norme antielusive è un atto autonomamente impugnabile.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Comodo: La Crisi Economica da Sola Non Basta, Servono Prove Concrete

La disciplina sulla società di comodo rappresenta uno degli strumenti più incisivi a disposizione del Fisco per contrastare l’uso dello strumento societario a fini elusivi. Tuttavia, la sua applicazione può colpire anche imprese che, pur essendo genuinamente operative, non riescono a raggiungere le soglie di redditività imposte dalla legge a causa di fattori esterni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti su come un’impresa possa fornire la prova contraria, sottolineando che un generico riferimento alla crisi economica non è sufficiente.

Il Contesto del Caso: Dalla Disapplicazione al Ricorso in Cassazione

Una società di persone operante nel settore della ristorazione si è vista respingere dall’Amministrazione Finanziaria l’istanza di disapplicazione della normativa sulle società di comodo per l’anno d’imposta 2012. La società, dopo aver concesso in affitto la sua unica azienda, non aveva raggiunto i ricavi minimi previsti dalla legge.

In primo grado, la Commissione Tributaria aveva dato ragione alla società, riconoscendo la sussistenza di situazioni oggettive che giustificavano la disapplicazione della norma. Tuttavia, la Commissione Tributaria di secondo grado aveva ribaltato la decisione, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle Entrate. Secondo i giudici d’appello, la società si era limitata a un “generico richiamo alla crisi economica generale” senza fornire prove adeguate a dimostrare l’impossibilità di raggiungere le soglie di redditività.

Contro questa sentenza, la società ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando sia una violazione di legge sia l’omesso esame di fatti decisivi che erano stati presentati per dimostrare le difficoltà oggettive incontrate.

La Prova Contraria per la Società di Comodo

La normativa sulle società di comodo presume che una società sia non operativa se i suoi ricavi sono inferiori a un determinato livello, calcolato in base al valore dei suoi beni patrimoniali. Questa presunzione comporta l’applicazione di un reddito minimo e di una tassazione penalizzante. Spetta al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando l’esistenza di “oggettive situazioni” che hanno impedito il raggiungimento di tali ricavi.

La Corte di Cassazione ha chiarito due punti fondamentali in merito:

1. L’affitto dell’unica azienda: L’aver concesso in affitto l’unica azienda non è di per sé sufficiente a considerare la società operativa e a escluderla dalla disciplina. La società deve comunque dimostrare di aver superato i test di operatività o, in alternativa, provare l’esistenza di cause giustificative.

2. La natura della prova contraria: L'”impossibilità” di conseguire i ricavi minimi non deve essere intesa in senso assoluto, ma in termini economici. Ciò significa che il giudice deve valutare le effettive condizioni del mercato in cui l’impresa opera.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il motivo di ricorso relativo all’omesso esame di un fatto decisivo. I giudici di legittimità hanno evidenziato come la Commissione Tributaria di secondo grado avesse errato nel liquidare le argomentazioni della società come un mero “generico richiamo alla crisi economica generale”.

La società, infatti, sin dal primo grado di giudizio, aveva allegato circostanze precise e specifiche relative al contesto di mercato in cui operava: la dimensione dell’azienda, la sua ubicazione, il volume d’affari concretamente realizzabile e le caratteristiche dei beni strumentali. Questi elementi, che erano stati positivamente valutati dal primo giudice, costituivano proprio quelle “oggettive situazioni” che la legge richiede di provare. Il giudice d’appello, ignorandoli, è venuto meno al suo dovere di valutazione, limitandosi a una motivazione apparente.

Inoltre, la Corte ha respinto il ricorso incidentale dell’Amministrazione Finanziaria, confermando un principio ormai consolidato: il diniego di interpello disapplicativo è un atto autonomamente impugnabile. Sebbene non sia un atto direttamente impositivo, esso manifesta una pretesa tributaria definita, la cui legittimità deve poter essere vagliata da un giudice.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La decisione della Corte di Cassazione rafforza un principio cruciale per la tutela del contribuente: per vincere la presunzione di essere una società di comodo, non basta lamentare la crisi, ma è necessario argomentare in modo specifico e documentato. Le imprese devono raccogliere e presentare prove concrete sulle condizioni del proprio settore e della propria area geografica che dimostrino, in termini economici, l’impossibilità di raggiungere le soglie di ricavi previste dalla normativa.

La sentenza rappresenta quindi un monito per i giudici di merito a non trascurare le allegazioni fattuali delle parti, ma a valutarle attentamente per accertare se, al di là della presunzione legale, esista una reale operatività economica ostacolata da fattori oggettivi. Per le imprese, invece, è un’indicazione chiara sulla necessità di costruire una difesa solida e ben documentata fin dalle prime fasi del contenzioso tributario.

Una società che dà in affitto la sua unica azienda può essere considerata automaticamente operativa ai fini della disciplina sulle società di comodo?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’affitto della propria unica azienda non è sufficiente, di per sé, a escludere una società dall’ambito applicativo delle norme antielusive sulle società di comodo se non vengono conseguiti i ricavi e i redditi minimi presunti dalla legge.

Per dimostrare l’impossibilità di raggiungere i ricavi minimi, è sufficiente fare un generico riferimento alla crisi economica generale?
No, non è sufficiente. La Corte ha chiarito che il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza di “particolari situazioni, oggettive e straordinarie” che hanno impedito il raggiungimento delle soglie di ricavi. Questo richiede l’allegazione di circostanze precise e specifiche relative alle condizioni del mercato in cui l’impresa opera.

Il provvedimento con cui l’Agenzia delle Entrate nega la disapplicazione delle norme sulle società di comodo è un atto che può essere impugnato autonomamente davanti al giudice tributario?
Sì. Secondo la Corte, il diniego di disapplicazione è un atto autonomamente impugnabile. Sebbene non sia un atto impositivo in senso stretto, esso porta a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni, e quindi rientra tra gli atti contro cui è possibile ricorrere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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