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Società di comodo: Cassazione sul credito IVA

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15227/2025, ha stabilito che la qualifica di ‘società di comodo’ non è sufficiente per negare il diritto alla detrazione del credito IVA. Analizzando il caso di un’impresa in liquidazione, la Corte ha applicato i principi del diritto europeo, affermando che la normativa nazionale che prevede tale automatismo deve essere disapplicata in quanto sproporzionata. La causa è stata rinviata per una nuova valutazione che tenga conto dell’effettiva attività economica e dell’assenza di frode o abuso.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Comodo e Credito IVA: La Cassazione Applica i Principi UE

L’ordinanza n. 15227/2025 della Corte di Cassazione segna un punto di svolta fondamentale nella gestione fiscale delle cosiddette società di comodo. La Suprema Corte ha stabilito che la disciplina nazionale, la quale nega automaticamente il diritto alla detrazione del credito IVA a tali società, deve essere disapplicata perché contrasta con i principi di neutralità e proporzionalità del diritto europeo. La decisione, che accoglie le ragioni di una società in liquidazione, chiarisce che la qualifica di non operatività non è sufficiente a giustificare una sanzione così grave, a meno che l’Amministrazione finanziaria non provi l’esistenza di una frode o di un abuso.

I Fatti di Causa: La Vicenda della Società in Liquidazione

Il caso esaminato riguarda una società a responsabilità limitata che, dopo aver cessato la propria attività commerciale e deliberato la messa in liquidazione, si era vista notificare due avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. L’Amministrazione finanziaria contestava alla società la qualifica di società di comodo per gli anni 2008 e 2009, poiché nel triennio precedente aveva dichiarato ricavi pari a zero. Di conseguenza, l’Agenzia recuperava IRES e IRAP e negava il rimborso del credito IVA.

La società si opponeva, sostenendo di trovarsi in una situazione oggettiva che le impediva di produrre ricavi. Aveva infatti ceduto il ramo d’azienda, era proprietaria di un solo immobile strumentale di difficile vendita e deteneva una partecipazione in un’altra società inattiva. Nonostante avesse intrapreso azioni concrete per liquidare il patrimonio (conferendo mandato per la vendita dell’immobile, poi alienato nel 2010), i giudici di merito avevano dato ragione all’Agenzia fiscale. La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Disciplina Fiscale delle Società di Comodo

La normativa sulle società di comodo, introdotta dall’art. 30 della Legge n. 724/1994, mira a contrastare l’uso distorto dello schema societario per la mera gestione di patrimoni personali, eludendo la tassazione. Una società è considerata “non operativa” se non supera un “test di operatività”, ovvero se i suoi ricavi sono inferiori a una soglia minima calcolata in percentuale sul valore dei suoi asset.

Questa qualifica comporta conseguenze fiscali penalizzanti, tra cui la determinazione di un reddito minimo presunto e, appunto, la perdita del diritto alla detrazione dell’IVA. Tuttavia, la legge consente al contribuente di fornire la prova contraria, dimostrando l’esistenza di “oggettive situazioni” che hanno reso impossibile il raggiungimento dei ricavi minimi.

La Decisione della Cassazione: Il Diritto UE Prevale

La Corte di Cassazione ha accolto i motivi di ricorso della società relativi alla violazione della disciplina sulle società di comodo e al disconoscimento del credito IVA, ribaltando la decisione precedente.

La Disapplicazione della Normativa Nazionale

Il punto centrale della decisione è il richiamo a una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-341/22). Secondo i giudici europei, una normativa nazionale che nega il diritto alla detrazione IVA basandosi unicamente sul mancato raggiungimento di una soglia di ricavi è sproporzionata. Tale automatismo va oltre l’obiettivo di prevenire frodi e abusi, poiché il diritto alla detrazione è un principio cardine del sistema IVA.

Di conseguenza, la Cassazione ha affermato che l’art. 30 della Legge n. 724/1994 deve essere disapplicato nella parte in cui fa derivare la perdita del credito IVA dalla semplice qualifica di non operatività. Il diniego del rimborso può essere giustificato solo se l’Amministrazione finanziaria fornisce la prova di una frode o di un abuso del diritto.

La Valutazione per le Società di Comodo in Liquidazione

Inoltre, la Corte ha criticato l’operato dei giudici di merito per non aver adeguatamente valutato la specifica condizione della società, che si trovava in fase di liquidazione. In tale contesto, l’attività dell’impresa non è più rivolta alla produzione di ricavi, ma alla dismissione dei beni e alla definizione dei rapporti pendenti. La Cassazione ha ritenuto che la società avesse fornito prove concrete delle iniziative di liquidazione, come la cessione del ramo d’azienda e il mandato a vendere l’immobile. Queste circostanze, trascurate in appello, sono invece rilevanti per dimostrare l’impossibilità oggettiva di essere operativi.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda sul primato del diritto dell’Unione Europea. I principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità impongono che qualsiasi limitazione a un diritto fondamentale del contribuente, come la detrazione, debba essere strettamente necessaria e adeguata a raggiungere uno scopo legittimo, quale la lotta all’evasione. La presunzione legale su cui si basa la normativa italiana sulle società di comodo è stata giudicata eccessiva e non in linea con tali principi, poiché prescinde da una valutazione della “realtà effettiva delle operazioni” e si ancora a un mero dato quantitativo.

La Corte chiarisce che, per negare il credito IVA, l’autorità fiscale deve dimostrare che il soggetto non ha esercitato un’effettiva attività economica, che i beni e servizi acquistati non sono stati impiegati per operazioni soggette a imposta, o che le operazioni si inseriscono in un contesto fraudolento o abusivo. Il semplice mancato superamento di un test di ricavi non è, di per sé, prova di tutto ciò. Per le società in liquidazione, l’analisi deve essere ancora più attenta, considerando che la loro inerzia operativa è connaturata alla fase che stanno attraversando.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta una vittoria significativa per i contribuenti, specialmente per le società che si trovano in fasi particolari della loro esistenza, come la liquidazione o la ristrutturazione. Le conclusioni pratiche sono chiare: l’Amministrazione finanziaria non può più negare in modo automatico il rimborso del credito IVA a una società di comodo. Dovrà invece condurre un’analisi più approfondita, provando l’intento elusivo o fraudolento. La decisione rafforza la tutela del contribuente e allinea l’ordinamento italiano a un’interpretazione più garantista e conforme ai principi europei, imponendo una valutazione caso per caso che tenga conto della realtà economica e delle specifiche circostanze dell’impresa.

Una società in liquidazione può essere considerata una ‘società di comodo’?
Sì, la messa in liquidazione non esclude automaticamente l’applicazione del regime delle società di comodo. Tuttavia, la sua condizione deve essere valutata tenendo conto delle specifiche circostanze della fase liquidatoria, in cui l’attività è finalizzata alla dismissione dei beni e non alla produzione di ricavi, e il contribuente può fornire la prova contraria dimostrando le iniziative concrete intraprese per liquidare il patrimonio.

La qualifica di ‘società di comodo’ causa automaticamente la perdita del diritto alla detrazione del credito IVA?
No. Secondo la Corte di Cassazione, in linea con il diritto dell’Unione Europea, la normativa nazionale che prevede questa conseguenza automatica deve essere disapplicata. La perdita del diritto alla detrazione IVA può essere giustificata solo se l’Amministrazione finanziaria dimostra la presenza di una frode, di un abuso del diritto o la mancanza di un’effettiva attività economica, e non solo sulla base del mancato raggiungimento di una soglia di ricavi.

Cosa deve dimostrare una società per vincere la presunzione di essere ‘di comodo’ e ottenere il rimborso IVA?
La società deve dimostrare l’esistenza di ‘oggettive situazioni’ che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi. Nel caso di una società in liquidazione, è sufficiente provare di aver avviato concrete iniziative per la liquidazione del patrimonio, come la vendita di rami d’azienda o di immobili. Per il diritto al rimborso IVA, a seguito di questa pronuncia, l’onere principale si sposta sull’Amministrazione finanziaria, che dovrà provare un intento fraudolento o abusivo da parte della società.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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