Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13506 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13506 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
Oggetto: società di comodo
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29940/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL con domicilio eletto presso l’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL
-ricorrente – contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del direttore pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato (con indirizzo PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 1261/09/2019 depositata in data 06/03/2019; Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 12/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto accogliersi l’ottavo motivo di ricorso e rigettare i restanti motivi;
Rilevato che:
-la società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento notificato con riferimento al periodo di imposta 2009, con il quale l’Amministrazione Finanziaria rideterminava un maggior reddito ai fini Ires, Irap e Iva, oltre a richiedere interessi e sanzioni, in forza dell’applicazione alla società della disciplina di cui all’art. 30 L. n. 724 del 1994, riferita alle società c.d. ‘di comodo’;
-la CTP rigettava il ricorso; appellava la società;
-la CTR con la sentenza impugnata ha confermato la pronuncia di primo grado;
-ricorre a questa Corte la RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a otto motivi di doglianza;
-l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso .
Considerato che:
-il primo motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 del d. Lgs. n. 218 del 1997, 12 comma 7 della L. n. 212 del 2000, 37bis c. 4 e c. 8 del d.P.R. n. 600 del 1973 ed è proposto ai sensi dell’art. 360 c.1 n. 3 c.p.c. per avere il giudice dell’appello erroneamente concluso per la legittimità dell’atto impugnato nonostante lo stesso non fosse stato preceduto dal preventivo invito al contraddittorio;
-il motivo è privo di fondamento;
-così come il giudice del merito ha accertato dandone conto in motivazione (pag. 4 della sentenza impugnata) ‘ nel caso di specie, peraltro, avendo la contribuente risposto al questionario inviatole dall’amministrazione ed avendo ivi esposto le proprie argomentazioni tese ad escludere l’applicazione della
Cons. Est. NOME COGNOME
disposizione de quo, deve ritenersi che il preventivo contraddittorio, obbligatorio nei limiti sopra esposti -ossia limitatamente all’iva: n.d.r. -si sia pienamente attuato’ ;
-nella presente fattispecie, peraltro, l’Ufficio ha proceduto al controllo non contestando alcuna operazione elusiva alla società contribuente, ma unicamente utilizzando il diverso strumento di accertamento presuntivo fondato sulla disciplina delle c.d. ‘società di comodo’ ai sensi dell’art. 30 della L. n. 724 del 1994. Ne deriva che la disciplina contenuta nell’art. 37 bis d.P.R. n. 600 del 1973 non può trovare applicazione in quanto trattasi di accertamento il cui fondamento normativo non può riferirsi a detta disposizione; né trova fondamento la censura di violazione dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212/00, in mancanza di presupposti della sua applicazione, posto che l’accertamento in questione non è seguito ad accesso, ispezione o verifica, trattandosi invece di accertamento c.d. a tavolino;
-inoltre, questa Corte ha chiarito (Cass. 18489/2024) che, proprio nel caso di accertamento c.d. a tavolino, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a rispettare il contraddittorio endoprocedimentale in presenza di tributi armonizzati, ma le modalità per la sua realizzazione non sono a forma vincolata, essendo sufficiente assicurare l’effettività dello stesso, indipendentemente dagli strumenti in concreto adottati, quali il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come l’inoltro di questionari ed il riconoscimento dell’accesso agli atti;
-il secondo motivo di impugnazione denuncia la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 3 della l. n. 241/90, 7 della l. n. 212/90, 42 del d.P.R. 600/73 e 56 del d.P.R. n. 633/72, là dove il giudice d’appello ha ritenuto che gli elementi riportati nell’atto impugnato configurassero legittima motivazione;
-il motivo è infondato;
-esso urta con il motivato apprezzamento in fatto contenuto nella sentenza impugnata, in cui si legge che con l’avviso ‘l’amministrazione dà pienamente atto sia della tesi sostenuta dalla contribuente nel questionario inviatole (essere stata l’inerzia causata dalla burocrazia) sia delle ragioni per le quali essa amministrazione non ha ritenuto convincente tale tesi ‘, come del resto emerge dall’ampio apparato motivazionale dell’avviso, riportato alle pagine 3 -6 del ricorso;
-il terzo motivo di ricorso lamenta la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c. 2 n. 4 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. per avere il giudice dell’impugnazione reso motivazione carente delle rappresentazioni delle ragioni per le quali ha ritenuto le produzioni documentali della RAGIONE_SOCIALE non dirimenti e atte addirittura a smentire gli assunti della contribuente;
-il motivo è infondato;
-nella fattispecie può evincersi chiaramente dalla sentenza impugnata l’ iter logico giuridico che ha condotto il giudice a ritenere legittimo l’avviso di accertamento impugnato: si legge nella sentenza impugnata che la società ‘ costituitasi nel 2006, ha inviato alla Provincia di Bari una richiesta di riduzione e regolarizzazione di un passo carrabile in data 18 novembre 2008 e il giorno successivo ha chiesto l’autorizzazione allo svolgimento di taluni lavori di manutenzione ordinaria (con demolizione di corpi di fabbrica), il cui progetto è stato approvato dall’amministrazione in data 21 gennaio 2009 mentre la data di inizio dei lavori, inizialmente comunicata per il 4 febbraio 2009 è stata successivamente spostata al 27 maggio 2009. Conseguentemente, appare provato che la stessa nell’arco del quadriennio 2006 -2009- si sia limitata a chiedere (dopo oltre un anno dalla sua costituzione) l’autorizzazione ad
effettuare un passo carrabile nonché ad eseguire lavori di ordinaria manutenzione, peraltro iniziati ben quattro mesi dopo l’autorizzazione ‘;
-alla luce di tale considerazione, risulta evidentemente inammissibile il prosieguo censorio del motivo dalle pagine 28 in avanti del ricorso per cassazione nelle quali si enumerano e descrivono i documenti in oggetto -numerosi dei quali peraltro riferiti ad anni successivi al periodo d’imposta oggetto di accertamento- nel tentativo evidentemente inammissibile di sollecitare questa Corte a un riesame del merito che non le è consentito in quanto giudice di legittimità;
-vanno a questo punto esaminati congiuntamente il quarto e il sesto motivo di ricorso, tra di loro strettamente connessi sia logicamente, sia giuridicamente;
-il quarto motivo di doglianza si incentra sulla nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30 c. 1 e 4 bis della L. n. 724 del 1994 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere erroneamente la sentenza di merito concluso per la fondatezza della pretesa impositiva nonostante sussistesse nel caso di specie un’oggettiva situazione di carattere straordinario che ha reso impossibile alla società contribuente nell’anno 2009 il conseguimento dei ricavi fanno lungaggini burocratiche per l’ottenimento di autorizzazioni amministrative per svolgere l’attività seppure richieste tempestivamente; tale motivo va esaminato congiuntamente con il sesto motivo -stante la connessione logica e giuridica che li avvince -il quale denuncia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 72 del TUIR e degli artt. 23 e 53 Cost. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la sentenza impugnata mancato di concludere per l’annullamento dell’avviso d’accertamento nonostante lo stesso fosse stato emesso in violazione dei principi costituzionali sopra
richiamati essendosi basata la pretesa impositiva esclusivamente su presunzioni di presunzioni e confliggendo la determinazione della stessa con la ratio sottesa alla nozione di reddito d’impresa contenuta nell’art. 72 TUIR;
-con riferimento all’IVA, i motivi sono fondati;
-semplicemente va qui fatta applicazione della giurisprudenza della Corte unionale e di questa Corte di legittimità secondo la quale (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24442 del 11/09/2024) in materia di società non operative, la qualità di soggetto passivo, ai fini della detrazione IVA, è riconosciuta, ai sensi dell’art. 9, par. 1, della direttiva 2006/112/CE ed in conformità ai principi espressi dalla CGUE nella sentenza n. 341 del 7 marzo 2024 in causa C-341/222, anche a colui che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettua operazioni soggette a detta imposta, il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata dalla normativa nazionale, corrispondente ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui dispone, in quanto nessuna disposizione della direttiva subordina il diritto a detrazione a detto requisito, per cui, ai sensi dell’art. 30 della l. n. 724 del 1994, rileva esclusivamente l’esercizio effettivo di un’attività economica in un determinato periodo d’imposta, ponendosi detta disposizione in contrasto con l’art. 167 della citata direttiva nella parte in cui, invece, prevede la perdita del diritto a detrazione al mancato raggiungimento di determinate soglie di ricavi;
-ciò in quanto, come ancora puntualizzato da questa Corte, (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 22249 del 06/08/2024) l’art. 30 della L. n. 724 del 1994, nell’escludere il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per le società i cui introiti siano inferiori ad una determinata soglia (presumendone il carattere non operativo), si pone in contrasto con gli artt. 9, par. 1, e 167 della dir. 2006/112/CE e va, quindi, disapplicato da parte
del giudice nazionale, in conformità ai principi espressi dalla sentenza della Corte di giustizia UE n. 341 del 7 marzo 2024, secondo cui le misure adottate dagli Stati membri per la lotta contro frodi, evasione fiscale ed abusi non devono eccedere quanto necessario per raggiungere tale obiettivo ed essere utilizzate in modo da mettere in discussione il principio di neutralità dell’IVA;
-pertanto, in quanto basato su una normativa interna contrastante con il diritto unionale, la sentenza impugnata va cassata per il profilo corrispondente previa disapplicazione della normativa indicata;
-ne deriva l’accoglimento dei motivi con riguardo al recupero per IVA e conseguenti interessi e sanzioni;
-con riferimento all’IRES e all’IRAP, invece, i motivi risultano infondati;
-il legislatore, con la L. n. 724 del 1994, art. 30 ha inteso disincentivare la costituzione di società “di comodo”, ovvero il ricorso all’utilizzo dello schema societario per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali (come quello, proprio delle società c.d. di mero godimento, dell’amministrazione dei patrimoni personali dei soci con risparmio fiscale ex multis Cass. 27/1/2023, n. 2636; Cass. 13/05/2021, n. 12862; Cass. 24/02/2021, n. 4946; Cass.18 13/5/2015, n. 21358; Cass. 28/9/2017, n. 26728; in questo senso si esprime anche la Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 5/E del 2 febbraio 2007). Si è detto, quindi, che “il disfavore dell’ordinamento per tale incoerente impiego del modulo societario – ricavabile, oltre che dalla disciplina fiscale antielusiva, dal più generale divieto, desumibile dall’art. 2248 c.c., di regolare la comunione dei diritti reali con le norme in materia societaria -trova spiegazione nella distonia tra l’interesse che la società di mero
godimento è diretta a soddisfare e lo scopo produttivo al quale il contratto di società è preordinato” (Cass. 4/02/2021, n. 4946, cit.). La L. n. 724 del 1994, art. 30 ha, dunque, la finalità di contrastare la diffusione di società anomale, utilizzate quale involucro per il perseguimento di finalità estranee alla causa contrattuale, spesso prive di un vero e proprio scopo lucrativo e talvolta strutturalmente in perdita, al fine di eludere la disciplina tributaria (Cass. 23/11/2021, n. 36365, richiamata e citata anche da Cass. 18/01/2022, n. 1506). In massima sintesi, in mancanza di un minimo flusso di proventi, la legge presume l’assenza di una sottostante attività economica d’impresa, operando una sostituzione degli ordinari criteri analitici di tassazione del reddito d’impresa, con una tassazione presuntiva sui singoli cespiti, considerati isolatamente come beni fruttiferi, secondo determinati coefficienti di redditività. L’omessa dichiarazione di un certo ammontare di ricavi, in quest’ottica, fa dunque sorgere il sospetto di «occultamento», legittimando, in linea di principio, la presunzione legale di un reddito minimo calcolato sostituendo gli ordinari criteri analitici di tassazione del reddito d’impresa con criteri presuntivi. Infine, quindi, il presupposto strutturale del tributo, cui ricondurre effettivamente la capacità/forza economica del soggetto, sarebbe, in realtà, non il «reddito», ma il «patrimonio» societario (o meglio ancora, una quota particolare del patrimonio/capitale sociale, calcolata secondo particolari criteri individuati preventivamente dalla legge);
-tali argomentazioni trovano riscontro anche in altre disposizioni dell’ordinamento quali: l’ art. 90 del TUIR, che limita la deducibilità dei costi correlati ad immobili patrimoniali; il regime dei plusvalori sugli immobili maturati nel sistema d’impresa, meno favorevole rispetto a quello delle persone fisiche; le disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto, che
limitano la possibilità di detrarre l’iva sugli acquisti per le società di mero godimento; l’inapplicabilità della c.d. partecipation exemption alle società immobiliari, che esclude la possibilità di fruire della parziale esenzione delle plusvalenze su partecipazioni, se ad essere ceduta è una società immobiliare di mero godimento;
-l’effetto deterrente perseguito muove dalla determinazione di standard minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali. Dal possesso di alcuni beni, che costituisce il fatto noto, si risale al reddito, che rappresenta il fatto ignoto, ascrivibile al contribuente (Cass. 23/11/2021, n. 36365; Cass. 05/07/ 2016, n. 13699);
-in particolare, ancora secondo la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1 una società si considera non operativa se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un determinato ricavo figurativo, calcolato, attraverso il test di operatività, applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società. Il mancato raggiungimento di tale soglia -considerato dal legislatore sintomatico della non operatività della società ( ex multis , Cass. 24/2/2020, n. 4850) – fonda quindi una presunzione legale relativa di non operatività, basata sulla massima di esperienza secondo cui, di regola, non vi è effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (Cass. Sez. 5, 10/3/2017, n. 6195, in motivazione);
-ecco allora che il mancato superamento della c.d. soglia di operatività fissata dall’art. 30 in argomento costituisce presunzione legale, certo relativa, della natura non operativa della società contribuente e comporta, pertanto, l’applicazione della disciplina ivi dettata. In particolare, al ricorrere della presunzione sancita dall’art. 30, comma 1, cit. il legislatore
Cons. Est. NOME COGNOME
correla, con il comma 3, una seconda presunzione, anch’essa relativa, di reddito minimo fondata su coefficienti medi di redditività degli elementi patrimoniali di bilancio (Cass. 24/01/2022, n. 1898). La disciplina, pertanto, opera su due diversi livelli. Ad un primo livello, fornisce la definizione di non operatività degli enti (c.d. test di operatività), attraverso un confronto tra i proventi derivanti dall’attività d’impresa, emergenti dalla contabilità, e quelli individuati applicando specifici coefficienti al valore dei beni immobili, delle partecipazioni e delle altre immobilizzazioni della società; ad un secondo livello, per i soggetti che non hanno superato il test, fa scattare la presunzione di un reddito minimo, che viene determinato in rapporto al valore dei beni della società, ai quali sono applicati altri coefficienti (Cass. n. 1898 del 2022 cit.). Come detto, il contribuente ai sensi dell’art. 30, comma 4 – bis, può provare, con onere a suo carico, l’impossibilità, per situazioni oggettive, di conseguire il reddito presunto secondo il meccanismo di determinazione di cui all’art. 30 cit. Se, invece, ricorre una delle situazioni di impossibilità oggettiva predeterminate dal Direttore dell’Agenzia delle entrate con il provvedimento di cui al successivo comma 4-ter il contribuente può invocare la disapplicazione automatica della ridetta disciplina presuntiva;
-sempre in tema di prova contraria, si è chiarito che l’onere probatorio può essere assolto dal contribuente non solo dimostrando che, nel caso concreto, l’esito quantitativo del test di operatività è erroneo o non ha la valenza sintomatica che gli ha attribuito il legislatore, giacché il livello inferiore dei ricavi è dipeso invece da situazioni oggettive che ne hanno impedito una maggior realizzazione, ma anche dando direttamente la prova proprio di quella circostanza che, nella sostanza, dal livello dei ricavi si dovrebbe presumere inesistente, ovvero
Cons. Est. NOME COGNOME
dimostrando la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale, e dunque l’operatività reale della società (Cass. 23/05/2022, n. 16472; Cass. 2/09/2021, n. 26219, Cass. 24/02 /2021, n. 4946, cit., in motivazione);
-la riformulazione operata dagli interventi normativi che si sono succeduti nel tempo – dalla quale è scaturito il testo dell’art. 30 nella specie applicabile ratione temporis – e, in particolare, la soppressione del riferimento alla prova contraria interessa esclusivamente il c.d. test di operatività disciplinato dall’art. 30, comma 1, della legge n. 724 del 1994, il quale, giova ribadirlo, si fonda su una correlazione tra il valore di alcuni dei beni risultanti dall’attivo patrimoniale (immobilizzazioni, titoli e crediti) e l’ammontare di ricavi, variazioni delle rimanenze e proventi non straordinari del conto economico;
-è difatti da escludersi che l’eliminazione dell’espressa previsione della facoltà di prova contraria nell’ambito del cd. test di operatività abbia eliminato la possibilità per il contribuente di vincere la presunzione legale della finalità elusiva delle società non operative attraverso la prova contraria qualificata -contenutisticamente tipizzata all’art. 30, comma 4-bis, della legge n. 724 del 1994 – della ricorrenza di una situazione oggettiva a sé non imputabile che ha reso impossibile il conseguimento di ricavi e la produzione di reddito entro la soglia minima stabilita ex lege (Cass. 24/2/2021, n. 4946);
-infine, va ancora ricordato che (Cass. 03/11/2023, n. 30627 ) l’affermazione, da parte del giudice di merito, dell’idoneità o meno dei fatti accertati, ove incontroversi, ad integrare siffatta ipotesi può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità, per vizio cd. di sussunzione, riconducibile al paradigma di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.;
-venendo ora alla identificazione delle oggettive situazioni in forza delle quali deve escludersi la produzione in capo al contribuente del reddito presunto, che formano oggetto del presente giudizio, va evidenziato che può costituire elemento rilevante ai fini del superamento della presunzione relativa derivante dal mancato superamento del reddito minimo previsto per le società non operative l’accertata impossibilità di utilizzare un immobile per lo svolgimento della propria attività d’impresa, determinata dalla protrazione dei lavori di realizzazione o dal ritardo nel rilascio delle necessarie autorizzazioni, ove il contribuente dimostri che la causa di tale protrazione o ritardo non sia da individuare in un comportamento a lui imputabile, bensì in fattori estranei alla propria sfera di volontà (cfr. Cass. n. 23384/2021; vedi anche Cass. 14/6/2024, n. 16631, proprio relativa a lungaggini burocratiche);
-nel presente caso, la CTR ha motivatamente argomentato che le attività realizzate dalla contribuente, dinanzi descritte, ‘ oltre ad apparire oggettivamente minimali, non risultano coerenti con il proposito di realizzare il ricordato complesso ‘Città della moda’, come affermato dalla contribuente’ ;
-non è per conseguenza ravvisabile alcuna erronea sussunzione, la quale si distingue dalla carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, sottratta al sindacato di legittimità, perché postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso: la censura attiene, infatti, all’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa, senza contestare la valutazione delle risultanze di causa (Cass., 16/7/2024, n. 19651); e ciò anche considerando come l’impossibilità per l’impresa di conseguire il reddito minimo secondo il meccanismo di determinazione di cui all’art. 30, comma 4-bis, della L. n. 724 del 1994 per situazioni oggettive, sia pur da intendersi non in termini assoluti, bensì
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elastici, s’identifica con specifici fatti, non dipendenti dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che impediscano lo svolgimento dell’attività produttiva con risultati reddituali conformi agli standards minimi legali ovvero ne ritardino l’avvio oltre il primo periodo di imposta, nel caso in esame ritenuti non provati;
-il quinto motivo di ricorso si appunta sulla violazione e/o falsa applicazione ancora dell’art. 30 c. 1 e c. 2 della L. n. 724 del 1994 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere il giudice dell’appello erroneamente ritenuto legittimo l’operato dell’ufficio mancando di rilevare l’impossibilità di sottoporre la società al test di operatività non essendo l’anno 2008 indicativo ai fini della verifica stessa;
-il motivo è infondato;
-è incontroverso che l’avviso di accertamento oggetto del presente giudizio sia relativo ai tributi riferiti al periodo d’imposta 2009 e che la società RAGIONE_SOCIALE sia stata costituita nell’anno 2006;
-ciò ricordato, va fatta applicazione dei principi che questa Corte ha di recente chiarito (in termini Cass. n. 34472 del 26/12/2024) in tema di società di comodo, in forza dei quali il periodo di osservazione dei ricavi e dei proventi nonché dei valori dei beni e delle immobilizzazioni, ai fini dell’applicazione del test di operatività previsto dall’art. 30, comma 1, primo periodo, della l. n. 724 del 1994, ricomprende l’esercizio relativo al periodo d’imposta in verifica ed i due precedenti, per come previsto dal successivo comma 2;
-va infatti tenuto presente che la previsione di un arco triennale di osservazione tende ad assicurare l’attendibilità dei risultati del test di operatività, in quanto la valutazione dei ricavi e dei proventi, nonché dei beni e delle immobilizzazioni, in base alle risultanze medie dell’esercizio in verifica e dei due precedenti
Cons. Est. NOME COGNOME
consente di apprezzare l’andamento dell’impresa in un momento in cui la stessa ha già prevedibilmente superato le difficoltà di avviamento che spesso si incontrano nella fase iniziale dell’attività ;
-fermo ciò, nel presente caso non può ritenersi -come si adombra in ricorso -che le difficoltà di avvio riscontrate nell’anno 2008 possano condurre a ritenere irrilevante tale anno ai fini del periodo biennale, in quanto in tale anno la società ha esercitato la propria attività ed effettivamente depositato il bilancio nel quale sono rappresentati di risultati dell’esercizio, non potendo ritenersi equivalente, ai ridetti fini, l’anno di inizio attività con gli anni seguenti;
-in altre parole, risultando la società costituita nel 2006, certo la stessa ha chiuso gli esercizi 2007 e 2008 (quindi due esercizi) presentando i rispettivi bilanci: conseguentemente il periodo di osservazione biennale è sussistente e risulta applicabile la disciplina di cui alla L. n. 724 del 1994;
-il settimo motivo di impugnazione denuncia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 7, 16 e 17 del d. Lgs. n. 472 del 1997 ed è proposto ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per avere la sentenza impugnata erroneamente rigettato la richiesta della società contribuente di annullare le sanzioni irrogate con l’avviso di accertamento nonostante il difetto di motivazione sotteso alla loro applicazione;
-il motivo è infondato;
-come ripetutamente rimarcato da questa Corte, in tema di elemento soggettivo dell’illecito amministrativo tributario, il d. Lgs. n. 472 del 1997, all’ art. 5, applicando alla materia fiscale il principio generale sancito dalla L. n. 689 del 1981 all’ art. 3, stabilisce che -seppur non rilevando la mera volontarietà del comportamento sanzionato -rimane, ad ogni modo, sufficiente
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la consapevolezza del contribuente, al quale deve potersi imputare un comportamento quanto meno negligente, ancorché non necessariamente doloso, così che, a fronte della condotta cosciente e volontaria del contribuente, la disposizione pone a suo carico una presunzione di colpa per l’atto illecito (Cass., 30 gennaio 2020, n. 2139; Cass., 15 maggio 2019, n. 12901; Cass., 13 settembre 2018, n. 22329; Cass., 17 marzo 2017, n. 6930);
-ne deriva che l’obbligo di motivazione dell’atto di contestazione della sanzione collegata al tributo, imposto dall’art. 16, comma 2, d. Lgs. n. 472 del 1997, opera soltanto quando essa sia irrogata con atto separato e non contestualmente e unitamente all’atto di accertamento o di rettifica, in quanto, in quest’ultimo caso, viene assolto per relationem se la pretesa fiscale è definita nei suoi elementi essenziali (Cass., 22 settembre 2021, n. 25633; Cass., 4 maggio 2021, n. 11610; Cass. 28 aprile 2025, n. 11676);
-e nella fattispecie, come anticipato, il giudice del gravame ha correttamente rilevato che la pretesa impositiva risultava compiutamente motivata;
-l’ottavo motivo di ricorso si duole ancora della nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 c. 3 del d. Lgs. n. 472 del 1997 ed è proposto in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la pronuncia di appello erroneamente mancato di accogliere la richiesta di riduzione delle sanzioni alla luce dell’entrata in vigore medio tempore -del d. Lgs. n. 158 del 2015 in applicazione del principio del favor rei ;
-il motivo è fondato;
-va premesso per vero che in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, le modifiche apportate dall’art. 15 del d. Lgs. n. 158 del 2015 non operano in modo generalizzato in senso favorevole al reo, con la conseguenza
che la mera affermazione di uno ius superveniens migliorativo non rende automaticamente la sanzione irrogata illegale, in mancanza della specifica deduzione dell’applicabilità -in concreto -di una sanzione tributaria inferiore a quella comminata;
-nella fattispecie che ci occupa, risulta però che la società ricorrente abbia trascritto in ricorso lo stralcio dell’avviso di accertamento dal quale risultava la violazione accertata e la sanzione in concreto applicata e ha quindi correttamente dedotto, quanto a specificità e localizzazione, la connessa rideterminazione del “nuovo” minimo edittale da irrogare, corrispondente al 90 per cento della maggior imposta dovuta (cfr. Cass. n. 19286/2020) che effettivamente risulta trattamento sanzionatorio diverso e più mite del quale deve tenersi conto ai fini della quantificazione delle sanzioni;
-conclusivamente, vanno accolti il quarto e il sesto motivo di ricorso – limitatamente alla pretesa per IVA e l’ottavo motivo di ricorso; l’impugnazione nel resto è rigettata;
-la sentenza oggetto di ricorso va quindi cassata con rinvio al giudice dell’appello;
p.q.m.
accoglie il quarto e il sesto motivo di ricorso limitatamente alla pretesa per IVA; li rigetta quanto alla pretesa per IRES e IRAP; accoglie l’ottavo motivo di ricorso; rigetta nel resto l’impugnazione; cassa la sentenza impugnata limitatamente ai motivi oggetto di accoglimento e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione alla quale demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12 marzo 2025.