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Società di comodo: Cassazione e Diritto UE sull’IVA

Una società s.r.l. veniva classificata come “società di comodo” vedendosi negato il diritto al credito IVA. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, stabilendo che la normativa nazionale sulle società non operative è in contrasto con la Direttiva IVA dell’Unione Europea. Il diritto alla detrazione non può essere negato unicamente sulla base del mancato superamento di un test di ricavi minimi, poiché ciò costituisce una presunzione generale di abuso vietata dal diritto UE. Pertanto, la legge italiana deve essere disapplicata.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo e Detrazione IVA: La Svolta della Cassazione alla Luce del Diritto UE

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene con forza sul tema della società di comodo, stabilendo un principio fondamentale: la normativa nazionale che nega la detrazione IVA a tali società deve cedere il passo di fronte ai principi del diritto dell’Unione Europea. Questa decisione rappresenta un punto di svolta per molte imprese, specialmente nel settore immobiliare, spesso penalizzate da una presunzione di non operatività basata su rigidi parametri di ricavi.

Il Caso: Una Società Immobiliare e la Contestazione dell’Agenzia delle Entrate

Il caso ha origine dalla contestazione mossa dall’Agenzia delle Entrate a una società a responsabilità limitata. L’Amministrazione finanziaria aveva disconosciuto il credito IVA maturato dalla società per diverse annualità, sostenendo che questa fosse una società di comodo. La contestazione si basava sul mancato superamento del cosiddetto “test di operatività”, un meccanismo che presume la non operatività di un’impresa qualora i suoi ricavi siano inferiori a una soglia minima calcolata in percentuale sul valore dei beni patrimoniali.

La società aveva impugnato l’atto di recupero e, dopo un percorso giudiziario nei gradi di merito, la questione è giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, con l’Agenzia delle Entrate che insisteva sulla legittimità del proprio operato basandosi su specifici aspetti valutativi di alcuni immobili della società.

La Decisione della Cassazione: La Prevalenza del Diritto Europeo

La Corte di Cassazione, con una mossa decisiva, ha rigettato integralmente il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. I giudici non sono entrati nel merito delle singole contestazioni relative alla valutazione degli immobili, ma hanno affrontato la questione alla radice, mettendo in discussione la compatibilità della normativa italiana sulle società di comodo con il diritto dell’Unione Europea, in particolare con la Direttiva IVA (2006/112/CE).

Il Principio di Neutralità dell’IVA

Il cuore della decisione risiede nel principio di neutralità dell’IVA. Secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), il diritto alla detrazione dell’IVA è un pilastro del sistema comune e non può essere limitato, a meno che non si provi un abuso o una frode. Qualsiasi soggetto che svolge un’attività economica, indipendentemente dai risultati o dallo scopo, è considerato un soggetto passivo IVA e ha diritto a detrarre l’imposta assolta sugli acquisti.

La Disapplicazione della Normativa Interna sulle società di comodo

La Corte ha stabilito che la legge italiana (art. 30 della L. 724/1994), prevedendo la perdita del diritto alla detrazione IVA basandosi unicamente su una presunzione legale di non operatività (il fallimento del test dei ricavi), si pone in netto contrasto con la direttiva europea. Creare una presunzione generale di evasione o abuso basata solo sul volume dei ricavi, senza una valutazione della realtà effettiva delle operazioni, eccede quanto necessario per combattere le frodi e viola il principio di neutralità fiscale.

Di conseguenza, i giudici nazionali hanno il dovere di disapplicare la norma interna confliggente con il diritto UE. L’intero impianto accusatorio dell’Agenzia delle Entrate, basato proprio sull’applicazione di tale norma, è quindi crollato.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una solida interpretazione della giurisprudenza europea. La sentenza della CGUE nel caso C-341/22 è stata citata come precedente dirimente. Tale pronuncia ha chiarito che il diritto alla detrazione spetta a chiunque effettui operazioni soggette a imposta, anche se il valore economico di tali operazioni non raggiunge una soglia fissata dalla normativa nazionale. Una presunzione di abuso, per quanto confutabile, non può giustificare un provvedimento fiscale che neghi il diritto alla detrazione se non è ancorata alla prova di un’effettiva condotta fraudolenta. L’impianto del ricorso dell’Agenzia, incentrato sulla corretta applicazione dei parametri del test di operatività per qualificare la società come società di comodo, è stato ritenuto infondato in radice, poiché basato su una normativa che il giudice deve disapplicare. La Corte ha quindi corretto la motivazione della sentenza d’appello, confermandone però l’esito favorevole al contribuente.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. Le imprese, in particolare quelle con un ingente patrimonio immobiliare e ricavi variabili (come le società di costruzione o di gestione immobiliare), non possono più vedersi negare automaticamente la detrazione IVA solo perché non raggiungono le soglie di ricavi previste per le società di comodo. L’Amministrazione finanziaria, per contestare il diritto alla detrazione, dovrà ora dimostrare l’esistenza di un abuso o di una frode concreta, analizzando le operazioni reali e non potendosi più nascondere dietro una presunzione legale. Si tratta di una vittoria significativa per il principio di neutralità dell’IVA e per la tutela dei diritti dei contribuenti in conformità con l’ordinamento europeo.

Una società può perdere il diritto alla detrazione IVA solo perché non supera il “test di operatività” previsto per le società di comodo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, che applica i principi del diritto dell’Unione Europea, la normativa italiana sulle società di comodo non può essere utilizzata per negare la detrazione IVA. Il diritto alla detrazione sorge dall’effettivo svolgimento di un’attività economica, non dal raggiungimento di una soglia di ricavi minima.

La normativa italiana sulle società di comodo è compatibile con la direttiva IVA europea?
No. La Corte ha stabilito che l’art. 30 della L. n. 724/1994, nella parte in cui prevede la perdita del diritto alla detrazione IVA per il mancato raggiungimento di determinate soglie di ricavi, si pone in contrasto con gli artt. 9 e 167 della direttiva 2006/112/CE. Di conseguenza, il giudice nazionale deve disapplicare la norma interna.

Cosa deve dimostrare l’amministrazione finanziaria per negare la detrazione IVA ad una società?
Per negare il diritto alla detrazione IVA, l’amministrazione finanziaria non può basarsi su una presunzione generale di abuso come quella derivante dal test per le società di comodo. Deve invece fornire la prova di una concreta invocazione fraudolenta o abusiva del diritto, basata sulla realtà effettiva delle operazioni svolte dall’impresa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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