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Società di comodo: Cassazione chiarisce i limiti

La Corte di Cassazione interviene sul tema delle società di comodo, accogliendo parzialmente il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. La sentenza di merito è stata cassata per vizi procedurali e per una non corretta valutazione dei presupposti di inoperatività, soprattutto alla luce dei recenti principi della Corte di Giustizia UE che impongono di disapplicare la normativa nazionale restrittiva in materia di detrazione IVA. Il caso è stato rinviato alla Corte di Giustizia Tributaria per un nuovo esame.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Comodo: La Cassazione detta le Regole tra Normativa Interna e Diritto UE

La disciplina sulla società di comodo rappresenta uno degli strumenti più incisivi a disposizione del Fisco per contrastare l’uso di società create al solo scopo di gestire patrimoni personali eludendo le tasse. Tuttavia, l’applicazione di questa normativa deve bilanciarsi con i diritti del contribuente e i principi del diritto europeo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo delicato equilibrio, cassando una decisione di merito favorevole a un’impresa turistica e delineando i confini dell’onere della prova e dei poteri del giudice.

I Fatti di Causa: Una Società Turistica Dichiarata Inattiva

Una società operante nel settore turistico si è vista recapitare una serie di avvisi di accertamento e atti di recupero di credito IVA per gli anni dal 2006 al 2009. Il motivo? L’Agenzia delle Entrate l’aveva qualificata come società di comodo, o ‘non operativa’, ai sensi dell’art. 30 della Legge 724/1994.

Secondo il Fisco, la società non aveva raggiunto i ricavi minimi presunti dalla legge in rapporto al valore dei propri beni. Nonostante la società avesse presentato istanze di disapplicazione della normativa, sostenendo la sussistenza di cause di forza maggiore (stato di fatiscenza e inagibilità del complesso immobiliare), l’Ufficio aveva rigettato tali istanze e proceduto con gli accertamenti.

Il Giudizio di Merito: La Corte Tributaria Regionale dà Ragione alla Società

Nei gradi di merito, la società aveva impugnato gli atti impositivi. La Commissione Tributaria Regionale (CTR), riunendo i vari ricorsi, aveva accolto le ragioni della contribuente. I giudici d’appello avevano ritenuto provata l’esistenza di una situazione oggettiva che impediva l’operatività: lo stato di degrado dell’immobile, i furti subiti e i tentativi, documentati, di vendere o riconvertire la struttura. La CTR aveva inoltre ravvisato vizi procedurali nell’azione del Fisco, tra cui la violazione dell’obbligo di contraddittorio.

Il Ricorso per Cassazione e le Regole sulla società di comodo

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza della CTR dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando diversi vizi. La Suprema Corte ha analizzato punto per punto le censure, arrivando a una decisione che, pur rigettando alcuni motivi, ha accolto quelli più significativi, ribaltando l’esito del giudizio.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondati tre dei cinque motivi di ricorso dell’Agenzia.

1. Impatto del Diritto UE sulla disciplina della società di comodo: Richiamando una fondamentale sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Causa C-341/22), la Cassazione ha ribadito che la normativa nazionale sulle società di comodo deve essere disapplicata nella parte in cui nega il diritto alla detrazione dell’IVA. Tale diritto non può essere subordinato al raggiungimento di una soglia minima di ricavi. Per le imposte dirette, invece, la valutazione resta valida, ma la Corte ha specificato che l’inoperatività deve essere giustificata da un impedimento oggettivo, estraneo alla sfera di controllo dell’imprenditore, e non da una mera scelta imprenditoriale, anche se legittima. Su questo punto, la motivazione della CTR è stata giudicata insufficiente.

2. Vizio di Ultrapetizione: La Corte ha accertato che i giudici d’appello si erano pronunciati su una questione mai sollevata dalla società, ossia la mancata notifica del diniego dell’istanza di disapplicazione. In tal modo, il giudice ha violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, decidendo ‘ultra petita’, ovvero oltre i limiti della domanda.

3. Violazione del Contraddittorio: La Cassazione ha chiarito che la CTR ha errato nel ritenere violato il diritto al contraddittorio. La normativa sulle società di comodo prevede una procedura specifica, l’interpello disapplicativo, che costituisce essa stessa la forma di contraddittorio prevista dalla legge. La società ha utilizzato questo strumento, l’Agenzia ha risposto con un provvedimento motivato. Non era richiesto al Fisco di avviare un ulteriore dialogo o di sollecitare documentazione integrativa, essendo l’onere della prova interamente a carico del contribuente.

Le Conclusioni della Corte

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata. Ha stabilito che, sebbene la normativa sulla società di comodo vada disapplicata ai fini IVA per contrasto con il diritto UE, per le imposte dirette è necessaria una prova rigorosa che l’inattività derivi da fattori oggettivi e non da scelte soggettive protratte nel tempo. Inoltre, ha riaffermato l’importanza dei principi processuali, sanzionando il giudice di merito per aver deciso su questioni non sollevate e per aver interpretato erroneamente le regole sul contraddittorio tributario. La causa è stata rinviata alla Corte di Giustizia Tributaria regionale, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questi principi.

Una società può essere privata del diritto alla detrazione IVA solo perché non raggiunge una soglia minima di ricavi prevista dalla legge sulle società di comodo?
No. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, recepita dalla Cassazione, la normativa nazionale che prevede la perdita del diritto alla detrazione IVA per il solo mancato raggiungimento di soglie di ricavi è in contrasto con i principi europei e deve essere disapplicata.

Quando un giudice incorre nel vizio di ultrapetizione?
Un giudice incorre in questo vizio quando si pronuncia su questioni o domande non sollevate dalle parti in causa, oppure attribuisce a una parte un bene della vita diverso da quello richiesto, andando oltre i limiti della controversia definiti dalle domande e dalle eccezioni delle parti stesse.

Nella disciplina delle società di comodo, l’Agenzia delle Entrate ha l’obbligo di avviare un ulteriore contraddittorio dopo che il contribuente ha presentato l’istanza di disapplicazione?
No. La procedura di interpello disapplicativo, prevista dall’art. 30, comma 4-bis, della L. 724/1994, costituisce già la forma tipica di contraddittorio endoprocedimentale. Una volta che l’Agenzia ha risposto con un provvedimento motivato, non è tenuta ad avviare un’ulteriore fase di dialogo, poiché l’onere di fornire tutti gli elementi a sostegno della disapplicazione grava sin dall’inizio sul contribuente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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