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Società di comodo: Attività reale vince il test

Una società operante nel settore eolico è stata classificata come “società di comodo” dall’Agenzia delle Entrate per non aver superato il test di ricavi minimi. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’Agenzia, stabilendo un principio fondamentale: la prova concreta di un’attività d’impresa reale ed effettiva è sufficiente a superare la presunzione legale di non operatività. La natura industriale dell’attività e dei beni utilizzati ha dimostrato l’effettivo scopo imprenditoriale, rendendo inapplicabile la disciplina fiscale penalizzante.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Comodo: L’Attività Effettiva Batte la Presunzione Fiscale

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale in materia fiscale: per evitare la penalizzante qualifica di società di comodo, non è sempre necessario dimostrare cause di forza maggiore che hanno impedito di raggiungere i ricavi minimi. La prova di un’attività d’impresa reale e concreta è di per sé sufficiente a vincere la presunzione del Fisco. Questa decisione offre un’importante tutela per le imprese genuinamente operative che attraversano periodi di bassa redditività.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società a responsabilità limitata operante nel settore dell’energia eolica. Secondo l’Ufficio, la società era da considerarsi “di comodo” per l’anno d’imposta 2016, in quanto non aveva superato il cosiddetto “test di operatività”, ovvero non aveva conseguito un ammontare di ricavi minimo, calcolato in percentuale sul valore dei propri beni strumentali.

La società ha impugnato l’atto, sostenendo di essere pienamente operativa. Sia la Commissione Tributaria di primo grado che quella di secondo grado hanno dato ragione al contribuente, riconoscendo che l’azienda aveva dimostrato l’esistenza di situazioni oggettive che rendevano impossibile il raggiungimento dei ricavi presunti. L’Agenzia delle Entrate, non soddisfatta, ha presentato ricorso in Cassazione.

La Disciplina della Società di Comodo

La normativa sulla società di comodo (art. 30 della Legge 724/1994) è uno strumento antielusivo volto a contrastare l’utilizzo dello schermo societario per la gestione di patrimoni personali (come immobili o imbarcazioni) al solo fine di beneficiare di un regime fiscale più vantaggioso. La legge presume che una società sia non operativa se i suoi ricavi sono inferiori a una soglia predeterminata. In tal caso, il reddito viene calcolato forfettariamente e la società subisce ulteriori penalizzazioni fiscali.

Tuttavia, si tratta di una presunzione legale “relativa”, che può essere superata dal contribuente fornendo la prova contraria. Tradizionalmente, questa prova consiste nel dimostrare l’esistenza di “oggettive situazioni” che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi (es. crisi di mercato, lavori di ristrutturazione, ecc.).

La Decisione della Cassazione: Quando la Realtà Supera la Presunzione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la decisione dei giudici di merito ma con una motivazione ancora più incisiva. Secondo la Suprema Corte, il contribuente ha a disposizione una duplice via per vincere la presunzione:

1. Dimostrare le “situazioni oggettive” che hanno impedito di superare il test.
2. Dimostrare, in via diretta, la propria operatività effettiva attraverso la prova di un’attività imprenditoriale reale e concreta.

Nel caso specifico, la società non era una semplice “scatola vuota” o una holding di beni. Essa svolgeva un’attività industriale complessa: la produzione di energia eolica. L’esistenza di beni peculiari come aeratori, statori e rotori, la loro naturale usura, e il fatto che l’attività fosse soggetta a stringenti controlli urbanistici ed energetici, costituivano una prova inconfutabile dell’effettivo esercizio di un’impresa. Di fronte a una tale evidenza, la presunzione legale di non operatività doveva necessariamente cedere il passo.

Le Motivazioni

I giudici hanno sottolineato che la disciplina antielusiva è finalizzata a colpire l’abuso dello strumento societario per finalità estranee a quelle imprenditoriali, come il mero godimento di beni. Quando, invece, la società svolge un’attività economica organizzata, come nel caso della produzione energetica, lo scopo della norma non è più pertinente. La Corte ha affermato che la rigidità delle presunzioni legali deve essere “alleviata” di fronte alla qualità e alla tipologia dell’attività svolta. In sostanza, la prova dell’esistenza di una vera impresa “assorbe” e supera la questione del mancato raggiungimento dei ricavi minimi. Il ragionamento dei giudici d’appello è stato quindi considerato logicamente coerente e corretto, in quanto ha correttamente dato prevalenza all’evidenza di una reale attività d’impresa rispetto al mero dato numerico del test di operatività.

Conclusioni

L’ordinanza rappresenta un importante punto di riferimento per tutte le imprese che, pur essendo pienamente operative, potrebbero non superare il test di operatività per ragioni congiunturali o perché si trovano in fasi particolari del loro ciclo di vita (es. start-up, riconversioni). La Cassazione chiarisce che il focus del giudice non deve essere solo sul risultato numerico (i ricavi), ma sulla sostanza economica. Dimostrare di avere una struttura, di produrre, di essere sul mercato e di svolgere un’attività con caratteristiche intrinsecamente imprenditoriali è la via maestra per difendersi dall’accusa di essere una società di comodo.

Una società è considerata automaticamente ‘di comodo’ se non supera il test dei ricavi minimi?
No. Il mancato superamento del test fa scattare una presunzione legale relativa, che però il contribuente può superare fornendo la prova contraria.

Come può una società dimostrare di non essere una ‘società di comodo’?
Può farlo principalmente in due modi: 1) dimostrando l’esistenza di situazioni oggettive che hanno reso impossibile raggiungere la soglia di ricavi richiesta; 2) provando direttamente di svolgere un’attività d’impresa reale ed effettiva, a prescindere dal livello dei ricavi.

L’esercizio di un’attività industriale complessa è sufficiente per vincere la presunzione?
Sì. Secondo la Corte, quando la natura dei beni utilizzati e dell’attività svolta (come la produzione di energia eolica) dimostra in modo inequivocabile l’esistenza di un’impresa effettiva, questa prova è sufficiente a disapplicare la disciplina delle società di comodo, rendendo irrilevante il mancato superamento del test numerico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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