Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20756 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20756 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
Avv. di acc.
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IRES
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IRAP
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altro
– 2016
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12012/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo sito in Roma, INDIRIZZO (INDIRIZZO.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA CAMPANIA n. 6196/2023 depositata in data 8 novembre 2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO con cui l’Ufficio sulla scorta delle risultanze della
verifica fiscale dei funzionari dell’Ufficio accertava per l’anno 2016, ex artt. 37, 39 e 41 bis d.p.r. n. 600/1973, il reddito minimo di euro 68.644,00, determinato secondo le disposizioni del comma 3 dell’art. 30, legge n. 724/1992. Ai fini IRAP accertava ex artt. 5 e 11 d.lgs. n. 446/1997 e art. 30, legge 724/1994, il valore della produzione di euro 106.955,00 Imposta sostitutiva, addizionale, IRES e sanzioni.
Avverso l’avviso di accertamento, la contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Avellino e si costituiva anche l’Ufficio; la C.t.p., con sentenza n. 178/2022, accoglieva il ricorso ritenendo che la contribuente avesse dimostrato la sussistenza di oggettive situazioni che avevano reso impossibile il conseguimento di ricavi atti a superare il test della società di comodo.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Ufficio dinanzi alla C.g.t. II grado della Campania; la società contribuente si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Con sentenza n. 8/2023 depositata in data 8 novembre 2023 la Corte adita rigettava l’appello dell’Ufficio
Avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La società contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 3 luglio 2025.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. e dell’art. 36, d.lgs. n. 546/1992, nonché dell’art. 111 Cost, comma 6, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’error in procedendo nella parte in cui nella sentenza impugnata la C.t.r. ha pronunciato con una motivazione che non tiene conto di quelle che sono le ragioni della controversia ed il reale oggetto dell’avviso di accertamento impugnato essendosi i
Giudici limitati a dichiarare che la società fosse perfettamente operativa tanto da produrre energia trasferendola in toto a GSE, senza tener conto che non fosse in dubbio che la società producesse energia.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione art. 30, legge n. 724/1994, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’error in iudicando nella parte in cui nella sentenza impugnata la C.t.r. ha mal applicato i requisiti per l’esenzione dalla disciplina delle c.d. ‘società di comodo’ previsti dall’art. 30 l. 724/1994.
Il primo motivo è infondato.
La questione agitata è quella del superamento della “soglia di operatività” -che costituisce dunque presunzione legale, relativa e, quindi, della natura non operativa della società con conseguente applicazione della disciplina antielusiva.
2.1. Questa Corte ha più volte precisato che il legislatore, con l’art. 30 della legge n. 724/1994, ha inteso disincentivare la costituzione di società “di comodo”, ovvero il ricorso all’utilizzo dello schema societario per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali (come quello, proprio delle società c.d. di mero godimento, dell’amministrazione dei patrimoni personali dei soci con risparmio fiscale) (ex multis, Cass. 27 gennaio 2023, n. 2636; Cass. 13 maggio 2021, n. 12862; Cass. 24 febbraio 2021, n. 4946; in questo senso cfr. la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 5/E del 2 febbraio 2007). Si è detto, quindi, che «il disfavore dell’ordinamento per tale incoerente impiego del modulo societario – ricavabile, oltre che dalla disciplina fiscale antielusiva, dal più generale divieto, desumibile dall’art. 2248 cod. civ., di regolare la comunione dei diritti reali con le norme in materia societaria – trova spiegazione nella distonia tra l’interesse che la società di mero godimento è diretta a soddisfare e
lo scopo produttivo al quale il contratto di società è preordinato» (Cass. 4 febbraio 2021, n. 4946, cit.).
2.2. La legge n. 724/1994, art. 30, ha, dunque, la finalità di contrastare la diffusione di società anomale, utilizzate quale involucro per il perseguimento di finalità estranee alla causa contrattuale, spesso prive di un vero e proprio scopo lucrativo e talvolta strutturalmente in perdita, al fine di eludere la disciplina tributaria (Cass. 23 novembre 2021, n. 36365, richiamata e citata anche da Cass. 18 gennaio 2022, n. 1506). L’effetto deterrente perseguito muove dalla determinazione di standard minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali. In particolare, secondo la legge n. 724/1994, art. 30, comma 1, una società si considera non operativa se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un determinato ricavo figurativo, calcolato, attraverso il test di operatività, applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli assets patrimoniali intestati alla società. Il mancato raggiungimento di tale soglia – considerato dal legislatore sintomatico della non operatività della società (cfr., ex multis, Cass. 24 febbraio 2020, n. 4850) – fonda quindi una presunzione legale relativa di non operatività, basata sulla massima di esperienza secondo cui, di regola, non vi è effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (da ultimo, Cass. 16 maggio 2023, n. 13328).
2.3. Come è stato già chiarito da questa Corte, «il mancato raggiungimento degli standard minimi di ricavi di cui al ridetto art. 30, comma 1 riconducibili agli assetti patrimoniali della struttura societaria, funge da elemento sintomatico di selezione ed individuazione degli enti non operativi» (Cass. 24 febbraio 2020, n. 4850). Il mancato superamento della “soglia di operatività” costituisce dunque presunzione legale, relativa, della natura non
operativa della società contribuente e comporta, pertanto, l’applicazione della disciplina antielusiva.
2.4. In tale contesto, il contribuente può vincere la presunzione dimostrando all’Amministrazione – attraverso l’interpello finalizzato alla disapplicazione delle disposizioni antielusive, ovvero in giudizio, nel caso di contrasto – le oggettive situazioni che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri normativi (Cass. 23 maggio 2022, n. 16472). L’onere della prova contraria deve essere inteso «non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato» (Cass. 28 maggio 2020, n. 10158; Cass. 12 febbraio 2019, n. 4019; Cass. 20 giugno 2018, n. 16204). E’ stato peraltro escluso che, attraverso il meccanismo della presunzione relativa e dell’onere della prova contraria gravante sul contribuente, si pervenga ad un mero sindacato di merito del giudice sulle scelte imprenditoriali, rilevando che «in tema di società di comodo, non sussistono le oggettive situazioni che rendono impossibile il superamento del test di operatività, l. n. 724 del 1994, ex art. 30, comma 4-bis, nella versione all’epoca vigente, nell’ipotesi di totale assenza di pianificazione aziendale da parte degli organi gestori della società o di completa “inettitudine produttiva”, gravando sull’imprenditore, anche collettivo, ai sensi dell’art. 2086, secondo comma, come modificato dall’art. 375 c.c.i.i., in coerenza con l’art. 41 Cost. – l’obbligo di predisporre i mezzi di produzione nella prospettiva del raggiungimento del lucro obiettivo e della continuità aziendale. Sicché in tal caso, il sindacato del giudice non coinvolge le scelte di merito dell’imprenditore, attenendo alla verifica del corretto adempimento degli obblighi degli amministratori e dei sindaci, con riduzione dell’operatività della business judgement rule, sempre valutabile, sotto il profilo tributario, per condotte platealmente antieconomiche» (Cass. 23 novembre 2021, n.
36365). Inoltre, con riferimento alla presunzione legale relativa di non operatività, l’onere probatorio può essere assolto non solo dimostrando che, nel caso concreto, l’esito quantitativo del test di operatività è erroneo o non ha la valenza sintomatica che gli ha attribuito il legislatore, giacché il livello inferiore dei ricavi è dipeso invece da situazioni oggettive che ne hanno impedito una maggior realizzazione; ma anche dando direttamente la prova proprio di quella circostanza che, nella sostanza, dal livello dei ricavi si dovrebbe presumere inesistente, ovvero dimostrando la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, car caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale, e dunque l’operatività reale della società (Cass. 24 febbraio 2021, n. 4946, in motivazione; Cass. 28 settembre 2021, n. 26219, in motivazione).
2.5. In forza di queste considerazioni si è così affermato che la prova contraria, da parte del contribuente, deve risolversi nell’offerta di elementi di fatto consistenti in situazioni oggettive, indipendenti dalla volontà del contribuente, che rendano impossibile conseguire il reddito presunto avuto riguardo alle effettive condizioni del mercato (Cass. 3 marzo 2023, n. 6459; Cass. 23 novembre 2021, n. 36365; Cass. 12 febbraio 2019, n. 4019), e che, pertanto, facciano desumere «l’erroneità dell’esito quantitativo del test di operatività, ovvero la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale e, dunque, l’operatività reale della (Cass. 3 marzo 2023, n. 6459; Cass. 23 novembre 2021, n. 36365; Cass. 12 febbraio 2019, n. 4019), e che, pertanto, facciano desumere «l’erroneità dell’esito quantitativo del test di operatività, ovvero la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale.
2.6. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. fa buon governo dei principi normativi e giurisprudenziali testè declinati laddove ha affermato che ‘se il contribuente dimostra lo svolgimento dell’effettivo esercizio di un’attività d’impresa, scatta la disapplicazione della disciplina delle società di comodo, essendo in tal caso irrilevanti sia il mancato superamento del test di operatività sia le oggettive situazioni che abbiano reso impossibile superare tale test’. Invero, l’attività di impresa in questione risultava composta da beni peculiari, quali aeratori, statori (il lungo palo in acciaio lungo fino a 15 metri) e rotori soggetti ad usura, di cui risulta ben difficile immaginare una funzione diversa se non quella strettamente d’impresa; a tacer del fatto che tale attività insisteva su terreni altrui e sottoposta al vaglio stringente di autorità urbanistiche e per l’energia. Sicchè, come giustamente opinato dai giudici d’appello, le rigide prassi dettate dall’applicazione della normativa richiamata debbano ritenersi alleviate dalla qualità e dalla tipologia di attività svolta, dovendo senz’altro arretrare la presunzione legale di non operatività dinanzi non solo alla prova contraria di cui all’art. 4 -bis ma anche difronte all’attività imprenditoriale esercitata, che assolutamente non prospetta.
Il secondo motivo è inammissibile.
La complessiva censura si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.
3.1. Si è più volte sottolineato, come compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (Cass. 12/02/2008, n. 3267), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare. La valutazione delle prove più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova.
3.2. Nella fattispecie in esame, il criterio adottato dal Giudice di appello dell’ id quod plerumque accidit , per giustificare l’incoerenza tra lo svolgimento di un’attività di impresa come quella individuata in giudizio e lo status di società di comodo, concreta una ricostruzione logica assolutamente coerente in considerazione del fatto che la questione delle oggettive condizioni che abbiano reso impossibile superare il test sia stata superata, rectius assorbita, dall’evidenza fornita dalla parte dell’esistenza di una reale attività di impresa.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale, non si applica l’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5 .800,00, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15 % oltre ad IVA e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Roma il 3 luglio 2025.