Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31113 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31113 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/12/2024
disciplina società di comodo l. n.724/94società agricola esclusione provvedimento Agenzia entrate -retroattivitàesclusione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 164/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato;
-ricorrente –
contro
PREGGIO RAGIONE_SOCIALE , in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura a margine del controricorso, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. UMBRIA n. 263/2016, depositata in data 19/05/2016, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/10/2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
La società agricola COGNOME proponeva ricorso contro l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva, per l’anno di imposta 2008, determinato, a fini Ires e Irap, un reddito minimo ai sensi dell’art. 30 della l. n. 724 del 1994.
La Commissione tributaria provinciale di Perugia accoglieva il ricorso.
La Commissione tributaria regionale dell’Umbria rigettava l’appello erariale con diversa motivazione; esclusa infatti la presenza di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale, per cui non trovava applicazione nel caso di specie l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, non trattandosi di accertamento conseguente ad accessi nei locali della società, evidenziava l ‘ illegittimità dell’accertamento in quanto la normativa in materia di società di comodo per le società agricole era stata modificata dalla l. n. 148 del 2001, cui aveva fatto seguito il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate n. 87956/2012 che prevedeva la disapplicazione automatica, ritenendo che l’ intervento normativo avesse efficacia retroattiva.
Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate propone ricorso affidato a un motivo.
La società resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato affidato a tre motivi.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 18 ottobre 2024, per la quale la società ha depositato memoria.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 30 della l. n. 724 del 1994 nonché del paragrafo 5 del decreto dell’Agenzia delle Entrate n. 11/07/2012.
1.1. Il motivo è fondato.
Cass. n. 20027/2021, confermata da Cass. n. 7756/2023 e da Cass. n. 12457/2023, ha già affermato il principio di diritto per cui in tema di accertamento del reddito di impresa, l’esclusione automatica delle società agricole dalla disciplina delle società di comodo di cui all’art. 30 della l. n. 724 del 1994, deve ritenersi operativa solo a decorrere dall’anno 2012, periodo di imposta in corso alla data di adozione del provvedimento n. 87956 del Direttore dell’Agenzia delle entrate, emesso ai sensi dell’art. 1, comma 128, della l. n. 244 del 2007, che per la prima volta ha inserito le società agricole tra quelle esentate dalla richiesta di disapplicazione della disciplina antielusiva; ne consegue che, con riguardo ai periodi di imposta precedenti, grava sulla società contribuente, ai sensi del comma 4bis del citato art. 30 della l. n. 724 del 1994 – introdotto dall’art. 35, comma 15, del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., dalla l. n. 248 del 2006 – l’onere di dimostrare, ai fini della disapplicazione della predetta disciplina, l’esistenza di situazioni oggettive di carattere straordinario che non hanno consentito, in tali annualità, il superamento del test di operatività di cui alla citata normativa.
La CTR non ha deciso in conformità a tale orientamento, cui va dato ulteriore seguito, in considerazione dell ‘ampia motivazione, cui si rimanda, dell’originario precedente (Cass. n. 20027 /2021), caratterizzata dall’articolata e completa ricostruzione del relativo quadro normativo di riferimento nel tempo, e che affronta, diversamente da quanto sostenuto dal contribuente, proprio la
questione dell’efficacia retroattiva o meno delle fattispecie di disapplicazione automatica previste dal ridetto provvedimento, non emergendo argomenti che ne giustifichino in questa sede un mutamento.
Pertanto, il ricorso erariale va accolto.
L’accoglimento del ricorso erariale determina la necessità di esaminare il ricorso incidentale proposto come condizionato.
Con il primo motivo di ricorso incidentale, proposto ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la società deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 e 7 della l. n. 241 del 1990, dovendo ritenersi il principio del contraddittorio applicabile a tutti gli accertamenti, a prescindere dal tributo cui sono finalizzati.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale, proposto ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., deduce violazione e falsa applicazione e/o errata applicazione della legge sul procedimento amministrativo (l. n. 241/90 ss.mm.ii) del diritto di difesa (artt. 24 Cost., 47 e 48 Carta dei diritti fondamentali UE), nonché dei principi di leale collaborazione, buona fede, legittimo affidamento (art. 10 l. 112/00), trasparenza, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa (art. 97 Cost. e 41 Carta dei diritti fondamentali UE): mancata indicazione dell’oggetto della verifica) .
2.1. I motivi vanno esaminati congiuntamente e decisi alla luce dei principi posti da Cass., Sez. U., 09/12/2015, n. 24823, per la quale:
in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa,
esclusivamente per i tributi armonizzati , mentre per quelli non armonizzati non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito;
b) in tema di tributi armonizzati, poi, la violazione del diritto ad essere sentiti, prima dell’adozione di un provvedimento lesivo, determina l’annullamento dell’atto adottato al termine del procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, detto procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso (cfr. Corte giust. 3/07/2014, in causa C-129 e C130/13, RAGIONE_SOCIALE, punti 78 -82 e la giurisprudenza richiamata); affinché il difetto di contraddittorio endoprocedimentale determini la nullità del provvedimento conclusivo del procedimento impositivo, non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma è, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto;
c) tutte le garanzie fissate nell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuati nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente ma non nei casi di accertamenti a tavolino.
Si tratta di principi che non trovano efficace smentita nelle considerazioni svolte nelle doglianze della ricorrente incidentale, anche perché essi sono stati affermati proprio all’esito di un’ampia disamina tanto dell’ordinamento tributario nazionale e dei principi costituzionali di riferimento, quanto degli indirizzi applicabili in materia sulla base del diritto UE e delle pronunce della Corte di Giustizia.
Tale stabile assetto giurisprudenziale è stato confermato da Corte Cost. n. 47 del 2023, che ha rimesso al legislatore l’adeguamento della normativa così pacificamente interpretata; da qui la declaratoria di inammissibilità della questione in quanto il superamento dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale esige(va) un intervento di sistema del legislatore; intervento che garantisca l’estensione del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria. Il legislatore è peraltro poi intervenuto sul punto, con l ‘ art. 1, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 219 del 2023, inserendo nella legge n. 212 del 2000 l’art. 6bis , in tema di contraddittorio preventivo, espressamente prevedendone l’applicabilità dal 30/04/2024 (art. 7, comma 1, d.l. n. 39 del 2024).
Alla luce di tali principi, correttamente applicati dalla CTR, i motivi devono essere rigettati in riferimento alla ritenuta applicabilità dell’art. 12, comma 7, dello Statuto anche agli accertamenti a tavolino nonché in relazione alla dedotta esistenza di un principio generale del contraddittorio valido anche per i tributi non armonizzati (l’accertamento , infatti, secondo quanto emerge dalla sentenza e dagli atti di parte ha ad oggetto imposte dirette).
Con il terzo motivo di ricorso incidentale, proposto ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la società deduce violazione e falsa dell’art. 42 d.P.R. 600/1973, dell’art. 21 -septies della l. n. 241/1990 per inesistenza giuridica dell’atto impositivo per carenza del potere dirigenziale del delegante o di chi ha sottoscritto gli
avvisi di accertamento e/o per mancanza e/o invalidità della delega. Violazione e/o falsa e/o errata applicazione dell’art. 112 cpc nonchè dell’art. 36 D. Lgs. 546/92 .
3.1. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
La stessa ricorrente evidenzia di aver proposto la questione nella memoria di costituzione in appello; secondo questa Corte (Cass. n. 9602/2017) però la questione relativa all’inesistenza dell’avviso di accertamento, perchè sottoscritto da un funzionario in assenza di delega, non può essere prospettata per la prima volta in sede di appello ma, per la particolare natura del processo tributario, deve trovare ingresso solo con l’originario ricorso.
Infatti in materia tributaria, alla sanzione della nullità comminata dall’art. 42, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 o da altre disposizioni non si applica il regime di diritto amministrativo di cui agli artt. 21septies della legge n. 241 del 1990 e 31, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2010, che risulta incompatibile con le specificità degli atti tributari relativamente ai quali il legislatore, nella sua discrezionalità, ha configurato una categoria unitaria d’invalidità-annullabilità, sicché il contribuente ha l’onere della tempestiva impugnazione nel termine decadenziale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, onde evitare il definitivo consolidarsi della pretesa tributaria, senza che alcun vizio possa, poi, essere invocato nel giudizio avverso l’atto consequenziale o, emergendo dagli atti processuali, possa essere rilevato di ufficio dal giudice (Cass. n. 18448/2015; Cass. n. 3819/2016).
In relazione al potere di firma di funzionario va ribadito infine il principio affermato da Cass. n. 22810/2015 che ha esplicitato che in ordine agli avvisi di accertamento in rettifica e agli accertamenti d’ufficio, è previsto, a pena di nullità, che l’atto sia sottoscritto dal capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, senza richiedere che il capo dell’Ufficio o il funzionario delegato abbia
a rivestire anche una qualifica dirigenziale; ciò ancorché una simile qualifica sia eventualmente richiesta da altre disposizioni. In esito all’evoluzione legislativa e ordinamentale, sono impiegati della carriera direttiva i funzionari di area terza di cui al contratto del comparto Agenzie fiscali. In questo senso, la norma individua l’agente capace di manifestare la volontà dell’Amministrazione finanziaria negli atti a rilevanza esterna, identificando quale debba essere la professionalità per legge idonea a emettere quegli atti. Essendo la materia tributaria governata dal principio di tassatività delle cause di nullità degli atti fiscali, e non occorrendo, ai meri fini della validità di tali atti, che i funzionari (delegati o deleganti) possiedano qualifiche dirigenziali, ne consegue che la sorte degli atti impositivi formati anteriormente alla sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale, sottoscritti da soggetti al momento rivestenti funzioni di capo dell’Ufficio, ovvero da funzionari della carriera direttiva appositamente delegati, e dunque da soggetti idonei, non è condizionata dalla validità o meno della qualifica dirigenziale attribuita per effetto della censurata disposizione.
Il principio risulta ribadito in numerosi altri arresti (Cass. n. 5177/2020; Cass. n. 27688/2024).
Concludendo, va accolto il ricorso principale e rigettato il ricorso incidentale; la sentenza della CTR va cassata in relazione al ricorso accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria, in diversa composizione, cui è demandato di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso principale dell’Agenzia delle entrate; rigetta il ricorso incidentale della società; cassa, in relazione al ricorso accolto, la sentenza e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 18 ottobre 2024.