Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14922 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14922 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11896/2021 R.G. proposto da :
NOMERAGIONE_SOCIALE, domiciliati ex lege in ROMA INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentati e difesi da ll’avvocato NOMECODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOMECODICE_FISCALE
ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA-NAPOLI n. 810/2020 depositata il 27/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE era attinta da avviso di accertamento per un importo di euro 848.116,00, oltre sanzioni ed interessi, a titolo di IVA, IRES, IRAP in relazione all’annualità 2015.
La CTP di Napoli, adita da COGNOME Fabio in proprio e quale l.r. della società, con sentenza n. 8568/2019, emessa in data 16.01.2019, depositata in data 12.07.2019, rigettava il ricorso.
3. Riferisce la sentenza in epigrafe che
il primo giudice ha ritenuto infondata la richiesta di annullamento dell’atto premettendo che esso segui ad un processo verbale di constatazione dell’Agenzia delle Entrate con il quale furono rilevate fatturazioni per operazioni soggettivamente inesistenti, omesse fatturazioni della vendita di merci non rinvenute tra le rimanenze iniziali dell’esercizio successivo, indeducibilità di costi non inerenti per spese di ristoranti ed alberghi, con conseguente recupero a tassazione dei relativi importi.
Ha conseguentemente rilevato che le operazioni di verifica si svolsero in pieno contraddittorio con la società contribuente, la quale in quella sede fece valere tutte le ragioni già evidenziate in ambito procedimentale, con conseguente infondatezza della doglianza riguardante la violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale; ha ritenuto sufficientemente motivato ‘per relationem’ l’impugnato avviso di accertamento, con il richiamo al verbale di constatazione dell’Agenzia delle Entrate; infine, ha osservato che nulla di contrario è stato provato in sede procedimentale dalla società contribuente, limitatasi ad una generica contestazione dell’attività dell’Agenzia, inidonea a giustificare l’incongruenza dei dati evidenziati nel pvc e nell’avviso che ne seguì.
I contribuenti proponevano appello, rigettato dalla CTR della Campania, con la sentenza in epigrafe, sulla base, essenzialmente, della seguente motivazione:
ha evidenziato in diritto come non possa lamentarsi alcuna violazione del contraddittorio antecedente all’emissione dell’avviso laddove la parte non provi le ragioni che avrebbe potuto far valere ove tale contraddittorio fosse stato attivato .
Per costante giurisprudenza di legittimità, le garanzie previste dall’art. 12 co. 7 L. 212/2000 operano esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente .
Nel caso in esame, l’accertamento è stato fatto dall’Amministrazione Finanziaria nella propria sede, recependo un processo verbale di constatazione effettuato presso la sede della società in verifica, ‘rectius’ presso la sede del commercialista di fiducia su espressa richiesta di parte contribuente, che vi ha partecipato presentando documenti (nella specie copie di assegni, mail con la sig.ra COGNOME listino prezzi di RAGIONE_SOCIALE e bonifici in suo favore, documenti tutti esattamente corrispondenti a quelli allegati in questa sede) e argomentando controdeduzioni (il COGNOME, n.q. di legale rappresentante, ebbe ad affermare di aver consegnato la merce in prima persona all’Interporto di Parma) .
Con riguardo alla sufficienza della motivazione, il giudice di prime cure si è uniformato alla costante giurisprudenza della Suprema Cone di Cassazione a SS.UU. (v., ex plurimis, Cass. SS.UU. 5.02.87; Cass. SS.UU. 10.07.92 n. 8), secondo la quale si ha carenza di motivazione, con conseguente lesione del diritto di difesa, soltanto quando non sia consentita l’identificazione dei presupposti materiali e giuridici cui è correlata la pretesa dell’Amministrazione e sia quindi precluso il controllo dei presupposti di esistenza, quantificazione, attuazione dell’obbligazione tributaria .
Appare pertanto nella specie infondata la questione concernente il vizio di motivazione dell’atto impugnato, essendo stata in esso offerta piena contezza dei presupposti normativi e fattuali della pretesa impositiva, richiamando l’intero contenuto del processo verbale di constatazione, ritualmente notificato alla società contribuente in data 16.04.2018 (risulta sottoscritto dal sig. NOME COGNOME.
D’altra parte, è principio ampiamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui la motivatone ‘per relationem’ con rinvio alle conclusioni contenute in un verbale conosciuto dal contribuente (essendogli stato notificato) non è illegittima né per mancanza dell’atto richiamato (in quanto notificato), né per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio impositore che, richiamandolo, ne condivide le conclusioni e, al contempo, realizza un’economia di
scrittura che non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio.
Pertanto, risulta essere stato pienamente garantito l’esercizio del diritto di difesa, in concreto esercitato proprio sulla base delle medesime controdeduzioni e produzioni documentali presentate dal contribuente nell’atto richiamato.
Venendo ora al merito della pretesa impositiva, si osserva che l’atto impugnato recupera a tassazione importi per fatture inesistenti, per omessa fatturazione di vendita delle rimanenze, per oneri assunti deducibili dalla società contribuente ma ritenuti non inerenti dall’Ufficio.
Rileva questa Commissione l’infondatezza delle doglianze espresse sulla pretesa impositiva.
Quanto alle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, correttamente esse sono state ritenute tali in quanto intercorse con la società RAGIONE_SOCIALE, della quale è stata legittimamente affermata la natura di mera cartiera per dimensioni ed organizzatone, tali da non consentire acquisti per un imponibile di euro 3.208.529,78.
La detta società aveva un capitale sociale di soli euro 500,00; aveva come socio unico e legale rappresentante la sig.ra NOME COGNOME non aveva mai presentato dichiarazioni dei redditi; non aveva dipendenti, né utenze elettriche; nell’anno 2015 – quello in verifica – non aveva mai effettuato cessioni intracomunitarie, se non acquisti intracomunitari di piccoli importi, e non aveva presentato alcun modello INTRA sia acquisti che vendite.
Sull’assunto che la merce fosse movimentata dalla RAGIONE_SOCIALE verso la società RAGIONE_SOCIALE in Slovenia, è stata inoltre accertato che quest’ultima aveva un numero VAT inesistente, con conseguente impossibilità di verificare in VIES se fossero state effettuate vendite tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Sulla base di corretti presupposti di fatto è stata pertanto affermato che la RAGIONE_SOCIALE non fosse soggetto economico effettivamente operante sul mercato.
La documentazione offerta in visione dal contribuente in sede di verifica ed in ambito procedimentale attiene solo ai giroconti bancari,
tuttavia volti a fornire giustificazioni posticce a cessioni di merci mai avvenute con la società apparentemente beneficiaria .
Correttamente è stata inoltre affermata la consapevolezza del Salemme in punto di non effettiva uscita della merce dal territorio italiano, avendo lui stesso dichiarato di aver consegnato le forniture all’Interporto di Parma, senza accertarsi della partenza per la Slovenia e senza essere in grado di offrire congrua documentazione del tragitto di trasporto in Slovenia con transiti autostradali, delle singole fasi del percorso, delle modalità di consegna, pur risultando la merce spedita a carico del mittente.
In buona sostanza, allorché l’Ufficio provi, anche sulla base di presunzioni, la natura di cartiera di uno dei due soggetti economici dell’operazione, è onere della parte contribuente dimostrare l’effettiva esistenza dell’operazione contestata ovvero la propria buona fede, sull’assunto di non potersi rendere conto, utilizzando l’ordinaria diligenza commerciale, che il soggetto con cui ha intrattenuto rapporti fosse differente rispetto a quello indicato in fattura.
Ovviamente, tale prova non può essere data con elementi meramente formali, quali la produzione dei soli documenti di trasporto presso l’Interporto di Parma, rispondendo ad una regola di comune esperienza che chi intende perpetrare una frode tiene in ordine i documenti che quella frode devono coprire.
Nulla di contrario è stato provato dalla società contribuente, limitatasi a contestare l’operato dell’Ufficio, senza offrire in visione documentazione comprovante la fuoriuscita della merce dal territorio nazionale, pur essendo il trasporto a carico del mittente.
Con riguardo all’omessa contabilizzazione della vendita delle rimanenze, correttamente esse sono state rilevate dal confronto tra quelle dichiarate al 31.12.2015 e quelle calcolate con il conto impieghi, ciò, che prova che non fu inventariata merce presente in magazzino, evidentemente perché venduta in nero.
Implausibile la giustificazione fornita dal COGNOME circa una denuncia di furto presentata nei confronti di un dipendente, mai riportata in contabilità e del tutto generica su quantitativi e tipologia di merce sottratta.
Corretto il metodo di calcolo del venduto non contabilizzato, sulla base dei prezzi di acquisto rilevati dalle fatture di dicembre 2015 e del prezzo di vendita delle fatture emesse.
Quanto ai costi non inerenti, correttamente sono stati ritenuti tali dall’Ufficio, essendo del tutto irrilevante la loro incidenza rispetto al fatturato complessivo della società, comunque riferibile per la maggior parte a fatture per operazioni inesistenti, non essendo stata fornita documentazione che giustificasse i 50 pasti, con indicazione delle persone che ebbero ad usufruirne e dell’evento di riferimento, né essendo compatibile la spesa per generi alimentari e bevande con l’attività d’ impresa.
Si aggiunga che la società contribuente si è limitata a contestare genericamente l’operato dell’Ufficio, senza offrire documenti volti a giustificare diversamente le risultanze dell’indagine finanziaria.
Ultimo aspetto attiene all’irrogazione delle sanzioni, solo genericamente contestate, non essendo neppure specificata la ragione della lamentata erroneità, peraltro irrogate in conformità al disposto del D.L.vo 471/1997 e del D.L.vo 472/1997, partendo dalla misura minima della più grave, con conseguente aumento in applicazione del principio del cumulo giuridico.
I contribuenti propongono ricorso per cassazione con due motivi, insistito con memoria del 6 -7 marzo 2025; resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Primo motivo: ‘ Perché ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 -comma 1 -n. 4 -5 c.p.c. iolazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. per omessa valutazione degli elementi probatori a disposizione del giudice’.
1.1. Il motivo (che negli stralci a seguire si riproduce letteralmente) così principia: ‘In sostanza un malgoverno da parte del giudice del suo potere di libero convincimento in
ordine agli elementi probatori nonché motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo ‘. ‘Nel caso di specie dalla documentazione depositata dal contribuente emerge che vi è stata una operazione commerciale in triangolazione con due società con sede in Italia RAGIONE_SOCIALE con P.Iva P_IVA con sede Casoria (Na) alla INDIRIZZO -80026 (primo cessionario) RAGIONE_SOCIALE con P. Iva P_IVA con sede in Leno alla INDIRIZZO -25024 Leno (Bs) (promotore della triangolazione) la società RAGIONE_SOCIALE con P.Iva P_IVA (destinatario finale dei beni) con sede in Slovenia alla Kidriceva Ulica, INDIRIZZO -5000 Nuova Gorica (SI). L’Amministrazione Finanziaria nell’accertamento impugnato afferma che ‘sulla base di informazioni assunte nelle banche dati in uso all’Agenzia delle Entrate ˂ VIES ˃ e/o VAT (Information Exchange System) è emerso che il cliente RAGIONE_SOCIALE con numero VAT ˂ SL31451608 ˃ è inesistente”. ‘Il codice ISO e/o iniziali dello Stato membro ‘SL’ verificato e indicato nell’accertamento fa riferimento allo Stato membro della Sierra Leone. Il ricorrente ha prodotto documentazione decisiva di segno contrario ritualmente depositata al processo (Cass. n. 28060 del 2017) nonché consegnato in sede di accertamento fiscale agli accertatori, tutta la documentazione inerente ai soggetti tra cui la reale operazione è avvenuta e le modalità, e precisamente della società RAGIONE_SOCIALE con numero di partita Iva P_IVA e, per la società RAGIONE_SOCIALE D.o.o. con partita Iva P_IVA. I Giudici non hanno rilevato che il codice ISO (codice paese) che precede il numero ‘VIES’ e/o ‘VAT’ è il seguente ‘SI31451608’ (codice paese SI = Slovenia), ma dato atto di fede a favore dell’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate. La Commissione Tributaria Regionale di Campania non ha valutato le argomentazioni prospettate in punto di conoscibilità della frode e non ha offerto una risposta al quesito circa il comportamento che avrebbe dovuto avere la società RAGIONE_SOCIALE per
rendersi conto che uno dei due soggetti economici dell’operazione avessero ‘natura di cartiera’. Non assume rilievo la circostanza la società RAGIONE_SOCIALE fosse priva di strutture operative, né la RAGIONE_SOCIALE aveva il dovere di effettuare tali verifiche, non aveva i poteri investigativi, atteso che è frequente nella realtà imprenditoriale operino ditte che effettuano ingrosso senza magazzino e come tali iscritte alla Camera di Commercio, e non si può pretendere dal contribuente la verifica che l’emittente la fattura abbia la qualità di soggetto passivo e che sia in regola con il fisco. Quanto alla prova che la merce veniva venduta alla RAGIONE_SOCIALE questa avveniva nel regime delle vendite a distanza (commercio elettronico a indiretto) e sul punto e stata depositata documentazione ‘e -mail, con le quali, relazionandosi con la sig.ra NOME COGNOME della RAGIONE_SOCIALE, comunicava le spedizioni, le modalità di pagamento ed altri accordi commerciali relativi alle consegne . Ha infine esibito un listino prezzi intestato alla RAGIONE_SOCIALE Ulteriori riscontri contabili permettevano di riscontrare l’esistenza di bonifici ricevuti sempre da RAGIONE_SOCIALE Quanto alla prova che la merce è uscita dal territorio nazionale ed è giunta in Slovenia (SI) dalla documentazione agli atti emergono i documenti di trasporto internazionali CRM, tali documenti riguardano il trasporto via terra per camion, sugli stessi vi è timbro e la firma del trasportatore RAGIONE_SOCIALE con sede INDIRIZZO Europa, 6 -Interporto di Parma, per presa incarico della merce, sui documenti di trasporto DDT vi è il timbro della RAGIONE_SOCIALEo.o. e firma, quale destinatario ‘.
‘Nella fattispecie in commento , da un lato l’Agenzia delle Entrate menzionava espressamente (nell’avviso di accertamento notificato al contribuente) le attività svolte durante la fase istruttoria, contenute nel processo verbale di constatazione (PVC) e dall’altro – tuttavia – il medesimo Ente impositore lo depositava unitamente alla memoria di costituzione ma senza gli allegati ‘.
Volgendo quindi uno sguardo concreto -in termini generali -al contenzioso tributario, grava sull’Agenzia delle Entrate assolvere l’onere della prova, ossia quello di comprovare la sussistenza di ‘fatti’, collocati a monte della propria volontà di recuperare a tassazione una determinata somma sottratta dal contribuente in sede di dichiarazione. Difatti, laddove questa primaria attività sia stata ritualmente espletata -attraverso il successivo deposito in sede contenziosa del PVC (compres gli allegati ritenuti più decisivi per rafforzare i rilievi dell’Ufficio fiscale) -trova legittima operatività il comma 2 dell’art. 2697 c.c. ‘.
‘L’Amministrazione Finanziaria, con la circolare n. 12/2020, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti in merito alle prove documentali necessarie ai fini del regime di non imponibilità IVA delle cessioni intra -UE, alla luce del nuovo contesto normativo introdotto dal Reg. UE n. 1912/2018 (i.e. art. 45 -bis del Reg. UE n. 282/2011, nel seguito ‘art. 45 -bis’), in vigore dal 1° gennaio 2020. L’Agenzia delle Entrate ritiene che la presunzione circa l’avvenuto trasporto dei beni in ambito UE (i.e. comma 1, lett. a) e b), dell’art. 45 -bis) possa essere riconosciuta anche in relazione alle operazioni realizzate anteriormente al 1° gennaio 2020 qualora il contribuente possieda un corredo documentale integralmente coincidente con le indicazioni della norma unionale. Il nuovo articolo 45 -bis introduce la presunzione relativa che i beni siano stati spediti o trasportati in altro Stato UE qualora ricorrano specifiche condizioni di cui gli operatori devono fornire prova ‘.
1.2. Il motivo è inammissibile.
Di per sé, in riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., incorre nella preclusione derivante dalla cd. doppia conforme di merito (ai sensi dell’art. 348 -ter cod. proc. civ. ‘ratione temporis’ vigente).
Inoltre, in riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non deduce alcun ‘error in procedendo’ in cui la CTR sarebbe incorsa, men che meno ‘sub specie’ dell”omessa valutazione elementi probatori’, rappresentando, ‘in limine’, soltanto una non corretta valutazione, da parte della medesima, dell’avviso di accertamento al cospetto di (non meglio precisate) risultanze difensive.
Nello sviluppo argomentativo, di per sé di assai difficile lettura, affastella una serie di censure non corrispondentemente rubricate, così presupponendo un non consentito intervento correttivo di questa Suprema Corte.
Ancora, in evidente difetto di precisione ed autosufficienza,
-per un verso, non riproduce testualmente né la motivazione dell’avviso in uno (quantomeno) alle parti rilevanti del PVC, né, giust’appunto, i documenti dai contribuenti prodotti nel procedimento amministrativo e di poi (nella medesima consistenza, come precisa la CTR) nei giudizi di merito;
-per altro verso, non rende conto dell’aver introdotto già dinanzi ai giudici di merito le questioni
–della pretesamente erronea indicazione, in avviso, del VAT number della società slovena, ed in particolare alla CTR, cui imputa di non aver ‘rilevato che il codice ISO è il seguente ‘SI31451608′ (codice paese SI = Slovenia), ma atto di fede a favore dell’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate’;
–della mancata produzione in giudizio degli allegati al PVC (ferma la mancanza di perspicuità – tracimante, verosimilmente, nella contraddizione -emergente dall’espressione: ‘ laddove questa primaria attività sia stata ritualmente espletata -attraverso il successivo deposito
in sede contenziosa del PVC (compres gli allegati ritenuti più decisivi per rafforzare i rilievi dell’Ufficio fiscale) -trova legittima operatività il comma 2 dell’art. 2697 c.c. ‘.
Inoltre, esso, in un incedere evocante temi prettamente meritali, sconfina nella sollecitazione di una nuova, e più favorevole (per i contribuenti), valutazione del complessivo quadro probatorio, già compiutamente e motivatamente condotta dalla CTR e prima, con identico esito, dalla CTP: ciò in violazione di natura e limiti del giudizio di legittimità come momento di controllo della sola legalità delle sentenze ricorse.
Sotto altro profilo – premesso che non corrisponde al vero che la CTR non ha esaminato la documentazione prodotta dalla difesa dei contribuenti, poiché anzi al riguardo essa afferma che ‘la documentazione offerta in visione dal contribuente in sede di verifica ed in ambito procedimentale attiene solo ai giroconti bancari, tuttavia volti a fornire giustificazioni posticce a cessioni di merci mai avvenute con la società apparentemente beneficiaria’ il motivo non deduce la decisività della pretesamente erronea indicazione, in avviso, del VAT number della società slovena.
Ed invero, a tal riguardo,
-in primo luogo, non considera che la CTR ha accertato ‘a monte’ la (peraltro non minimamente contestata) natura di cartiera di RAGIONE_SOCIALE, la quale, unica contraente diretta di RAGIONE_SOCIALE, oltre ad avere un capitale sociale irrisorio e a non aver mai presentato dichiarazioni dei redditi, non aveva dipendenti né utenze elettriche e nell’anno in verifica non aveva effettuato operazioni intracomunitarie se non per piccoli importi. Il riferimento alla società slovena è effettuato dalla CTR nella sentenza impugnata in seconda battuta, quale ulteriore conferma dell’inoperatività di RAGIONE_SOCIALE. Infatti – come visto – la CTR scrive: ‘Sull’assunto che la merce fosse movimentata dalla RAGIONE_SOCIALE verso la società RAGIONE_SOCIALE
Imp. D.o.o. in Slovenia, è stata inoltre accertato che quest’ultima aveva un numero VAT inesistente, con conseguente impossibilità di verificare in VIES se fossero state effettuate vendite tra Cariservice e Fluks’. Ora, la conclusione cui subito in appresso la CTR approda – ossia: ‘Sulla base di corretti presupposti di fatto è stata pertanto affermato che la RAGIONE_SOCIALE non fosse soggetto economico effettivamente operante sul mercato’ -riposa non tanto sull”impossibilità di verificare in VIES se fossero state effettuate vendite tra RAGIONE_SOCIALE e Fluks’, ma – fermo che i contribuenti non comprovano che, a prescindere dal VAT number in ipotesi errato, in realtà risultavano in VIES ‘vendite tra Cariservice e Fluks’ – sulle pacifiche caratteristiche intrinseche di cartiera di Cariservice. Fermo ciò, in aggiunta, a definitivo suggello dell’inesistenza soggettiva ‘a valle’ dell’operazione, la CTR, alla stregua di altro accertamento non (adeguatamente) censurato, è perentoria nel rilevare che, pur competendo l’espatrio della merce al mittente, il COGNOME medesimo aveva ‘dichiarato di aver consegnato le forniture all’Interporto di Parma, senza accertarsi della partenza per la Slovenia e senza essere in grado di offrire congrua documentazione del tragitto di trasporto in Slovenia ‘. In un tal quadro fattuale e logico, la circostanza della pur eventualmente errata indicazione, in avviso, del VAT number della società slovena si rivela irrilevante, giacché, a venire in linea di conto, a fronte dell’acquisita natura di cartiera di Cariservice, è la ritenuta, dalla CTR, assenza di prova del materiale espatrio della merce, mediante documentazione dei ‘transiti autostradali, delle singole fasi del percorso, delle modalità di consegna’, e non mediante ‘elementi meramente formali’, quali ‘i documenti di trasporto internazionali CRM’ con i timbri del vettore e della società slovena richiamati a più riprese in ricorso (cfr. ad es. p. 27 e poi ancora p. 32), idonei, secondo la CTR, solo a creare un’apparenza di regolarità formale;
-in secondo luogo, comunque, a prescindere da quanto precede, non allega e non dimostra (e non allega di aver dimostrato già ai giudici di merito) che il VAT number ‘SI31451608’ è effettivamente quello corretto, siccome attribuito alla società slovena e risultante dai pubblici registri.
Secondo motivo: ‘Violazione e falsa applicazione degli articoli art. 7, comma 1 statuto del contribuente – Art. -3 l. 241/90’.
2.1. ‘Il contribuente, nel caso di specie, ha partecipato al verbale redatto dai verbalizzanti dell’Ufficio a suo carico, ma non a quello presupposto, ovvero a quello di verifica dei soggetti di cui alle operazioni intercorse, e precisamente della società RAGIONE_SOCIALEIT) con numero di partita Iva P_IVA e, per la società RAGIONE_SOCIALE (SI) con partita Iva P_IVA, nei quali il contribuente non ha avuto alcuna parte’. ‘Nel caso di specie l’Ufficio ha attribuito alla società RAGIONE_SOCIALE Imp. D.o.o. un numero VIES e/o VAT ‘SL31451608’, là dove avrebbe dovuto verificare il numero VIES e/o VAT ‘SI31451608′ esistente’. ‘La Commissione Tributaria Regionale di Campania si è limitata in maniera sibillina, diremmo, a statuire negativamente sulla domanda, in legittimità violando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c. che obbliga il giudice a doversi pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa … naturalmente nemmeno superare i limiti in difetto come appare evidente nella pronuncia quando recita testualmente: ‘…. Appare pertanto nella specie infondata la questione concernente il vizio di motivazione dell’atto impugnato ”.
2.2. Il motivo è inammissibile.
Seguitando, come il primo, a non riprodurre né l’avviso, né il PVC, né i documenti della difesa della parte privata versati nel procedimento amministrativo e nei giudizi di merito, seguita altresì
parimenti ad affastellare censure eterogenee, senza paventare, neppure graficamente, alcuna pretesa violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in ogni caso non rubricata e non ritualmente dedotta mediante testuale riproduzione delle devoluzioni rimaste, in tesi, prive di risposta da parte della CTR.
In ogni caso, relativamente all’erronea indicazione del VAT number della società slovena che affliggerebbe l’avviso, non resta che richiamare quanto già innanzi osservato.
In punto, ‘funditus’, di pretesa mancata motivazione dell’avviso, pretermette totalmente il contrario accertamento di entrambi i giudici di merito.
In punto, poi, di partecipazione del ‘contribuente’ (‘recte’, contribuenti) ‘al verbale redatto dai verbalizzanti dell’Ufficio a suo (loro) carico, ma non a quello presupposto, ovvero a quello di verifica dei soggetti di cui alle operazioni intercorse’, fermo che non è dato di conoscere, per mancata riproduzione del PVC a carico di NOME, l’effettiva esistenza di un ulteriore ‘verbale presupposto’, vale il principio, recentemente esplicitato da questa S.C., secondo cui ‘il potere di accertamento tributario non è condizionato dall’esercizio di dirette attività di verifica dell’Amministrazione finanziaria nei confronti del contribuente successivamente attinto dall’avviso, la cui legittimità, pertanto, non è condizionata dalla previa redazione di un processo verbale di constatazione in contraddittorio con lo stesso’ (Cass. n. 32274 del 2024).
In definitiva, il ricorso va integralmente respinto, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese di lite, liquidate in euro 10.700, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 27 marzo 2025.