Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16650 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16650 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/06/2025
Oggetto: IVA -avviso di accertamento -notifica persona giuridica -mancata risposta questionario
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24081/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, società cessata e cancellata dal registro delle imprese, in persona del liquidatore legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, anche disgiuntamente dall’Avv. NOME COGNOME e dall ‘ Avv. NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliate in Roma, INDIRIZZO
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, n. 910/23/2017, depositata il 6.3.2017 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 24 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, n. 910/23/2017, veniva rigettato l’ appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e dai soci NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Mantova n. 50/1/2016 la quale aveva riunito e rigettato i ricorsi proposti dai contribuenti avente ad oggetto un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate alla società e ai soci per II.DD. e IVA, oltre accessori, relativamente al periodo di imposta 2009.
La società, operante nel settore della vendita e acquisto di spazi pubblicitari sui media e organizzazione di eventi di promozione, non aveva depositato il bilancio per il 2009 presso la CCIAA e non aveva risposto al questionario inviatole dall’Amministrazione finanziaria; inoltre, per i periodi di imposta successivi (2008 e 2010) aveva dichiarato volumi d’affari molto superiori a quello del 2009 (1000 euro). L’Agenzia riteneva pertanto inattendibili le scritture contabili e procedeva alla ricostruzione induttiva del volume d’affari in capo alla società, riconoscendo l’ammontare delle componenti negative di reddito dichiarate. Il maggior reddito accertato veniva poi imputato in capo ai due soci in ragione della rispettiva quota di partecipazione del 40 e 60%.
Le riprese ad imposizione, disattese le questioni preliminari, venivano integralmente confermate in entrambi i gradi di giudizio.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione la società, rendendo noto di essere stata cancellata dal registro delle
imprese, affidato a cinque motivi, cui replica l’Agenzia dell’Entrate con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 138, 139, 140 e 145 cod. proc. civ., per avere la Corte di secondo grado «erroneamente ritenuto che il questionario era stato notificato correttamente anche se inviato solo alla residenza del liquidatore e non alla sede legale della Società ricorrente» (cfr. p. 8 del ricorso).
Con il secondo motivo la ricorrente censura, in rapporto all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 32 del d.P.R. n. 600/1973 e 52 del d.P.R. 633/72 per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto di considerare inutilizzabili i documenti esibiti dalla ricorrente sul presupposto della mancata risposta al questionario inviato.
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 39 del d.P.R. n. 600/1973, 55 del d.P.R. 633/72 e 2697 cod. civ. per avere la CTR ritenuto totalmente legittimo l’accertamento induttivo nonostante sia fondato su elementi privi di motivazione e su presunzioni assolutamente contraddittorie. In particolare, la ricorrente, per un verso, si duole del fatto che l’ufficio abbia arbitrariamente preso in considerazione soltanto alcuni dei dati indicati nella dichiarazione, asserendo che «l’Ufficio per rideterminare le imposte dirette ha arbitrariamente disconosciuto l’imponibile dichiarato pari a 2.794,00 euro. Ed infatti, per determinare il nuovo reddito, ha considerato “attendibili” il totale dei ricavi dichiarati (pari a 360.615,00 euro) e li ha ridotti (solo) delle operazioni passive indicate nella comunicazione IVA» (cfr. p. 17 del ricorso), ed abbia quindi ignorato, senza ragione alcuna, alcuni costi dichiarati ritenendo valide le sole operazioni passive indicate nella comunicazione IVA, per altro verso si la-
menta per la circostanza che «l’Ufficio, in presenza di una dichiarazione regolarmente presentata, doveva motivare la rettifica induttiva, con elementi tali da dimostrare la complessiva inattendibilità dei dati dichiarati dalla società» ( ibidem , p. 18).
Con il quarto motivo la ricorrente censura, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in ordine alle modalità con le quali l’ufficio aveva rettificato l’IVA, che sarebbero in contrasto con il principio di neutralità affermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Con il quinto motivo viene richiesta la riduzione delle sazioni irrogate, per effetto del d.lgs. n. 158 del 24.9.2015 che ha modificato gli artt. 1, comma 2, 6, comma 6, e 5, comma 4, del d.lgs. n. 471 dell’8.12.1997, trovando applicazione a fatti e violazioni già contestate, salvo l’intervenuto pagamento della sanzione o la definitività dell’atto impositivo.
In via prioritaria alla disamina delle singole censure e delle eccezioni proposte dalla controricorrente, il Collegio osserva che i due soci della società a ristretta base sociale, parti del giudizio d’appello, non hanno proposto ricorso per Cassazione. Inoltre, il ricorso avanti alla Corte di legittimità e il tenore della procura speciale a margine rendono noto che la società ricorrente è stata cancellata dal registro delle imprese in data 30.6.2017, successivamente alla pubblicazione della sentenza d’appello e anteriormente alla notifica del ricorso per cassazione; la procura, poi, è stata rilasciata dall’ultimo liquidatore della società.
6.1. In diritto, il Collegio rammenta che nel processo tributario, l’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono -venendo altrimenti sacrificato ingiustamente il diritto dei creditori sociali – ma si trasferiscono ai soci, i quali
ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate ; ne discende che i soci peculiari successori della società subentrano ex art. 110 cod. proc. civ. nella legittimazione processuale facente capo all’ente, in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovvero a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale, dovendo invece escludersi la legittimazione ad causam del liquidatore della società estinta (fra le tante, Cass., ordinanza n. 16362 del 30/07/2020).
6.2. La società è perciò estinta al momento dell’incardinamento del processo di cassazione. Al proposito va data ulteriore continuità alla giurisprudenza della Corte (Cass. Sez. 5, sentenza n. 15177 del 22/07/2016) in tema di giudizio di legittimità, secondo cui è inammissibile il controricorso proposto da una società, originaria parte attrice, ormai cancellata dal registro delle imprese atteso che, da un lato, l’estinzione, intervenuta in pendenza di giudizio, determina la perdita della capacità processuale, l’interruzione del processo ex art. 299 ss. cod. proc. civ. e la successione dei soci ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ., e, dall’altro, la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, pur consentendo la notifica del ricorso della controparte presso il difensore in appello della società estinta, non vale per la proposizione del ricorso per cassazione, che esige la procura speciale e deve, quindi, essere effettuata dai soci.
Tale principio di diritto dev’essere riaffermato anche in relazione alla presente fattispecie, con la precisazione che il rilascio della procura da parte dell’ultimo liquidatore della società non è idoneo a sanare il vizio, consistente nel mancato rilascio della procura speciale a ricorrere per Cassazione da parte dei soci, successori della società.
6.3. In applicazione di tale principio, risulta dalla sentenza che i soci avevano impugnato con distinti ricorsi gli avvisi e la CTP li aveva rigettati. L’appello è stato proposto anche dai soci COGNOME NOME e COGNOME NOME, ma poi non hanno proposto ricorso per
cassazione. Essendo già estinta al momento della proposizione del ricorso per Cassazione la società, unica ricorrente, non è neppure possibile integrare il contraddittorio nei confronti dei soci Conseguentemente, il Collegio deve prendere atto del fatto che il ricorso proposto è inammissibile.
All’inammissibilità del ricorso non segue il regolamento delle spese di lite secondo la soccombenza, considerato il rilievo d’ufficio del profilo e la natura processuale della decisione.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese di lite. Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 24.4.2025