Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22819 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22819 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/08/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 295-2016 R.G., proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, c.f. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende
Ricorrente
CONTRO
COGNOME NOME COGNOME quale liquidatore della RAGIONE_SOCIALE società cancellata –
Intimato
Avverso la sentenza n. 1532/23/2015 pronunciata dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Lecce, depositata il 25 giugno 2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio l’11 marzo 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Accertamento -Società estinta -Ante 2014 -Legittimazione processuale dell’ex liquidatore -Esclusione
FATTI DI CAUSA
Il 28 aprile 2011 a Fino Arcangelo, nella qualità di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, fu notificato l’avviso d’accertamento, con cui l’Agenzia delle entrate rettificò per l’anno d’imposta 2004 la dichiarazione della società ai fini Ires e Irap. Alla società si contestava il coinvolgimento in operazioni inesistenti, mediante emissione di una fattura del 10 gennaio 2004 ed afferente ad una operazione di cessione di beni nei confronti di un cliente greco rivelatosi inesistente.
Il Fino impugnò l’atto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Lecce, che con sentenza n. 35/03/2012 accolse le sue ragioni, evidenziando che l’atto impositivo non poteva essere notificato al liquidatore di una società estintasi per cancellazione dal registro delle imprese il 10 maggio 2006.
La pronuncia, appellata dall’ufficio, fu confermata dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Lecce, con sentenza n. 1532 /23/2015, ora al vaglio di questa Corte. Il giudice dell’appello ha rilevato che la società era stata cancellata nel 2006 e da quel momento era venuto meno il potere di rappresentanza dell’ente estinto in capo al liquidatore. Sebbene l’art. 36 del d.P.R. 2 9 settembre 1973, n. 602, applicabile alle sole imposte dirette, disciplinasse l’azione di responsabilità n ei confronti del liquidatore per l’ipotesi di esaurimento delle disponibilità sociali atte al soddisfacimento dei crediti erariali, il giudice regionale ha inoltre ritenuto che, qualora la notifica al Fino fosse stata eseguita quale rappresentante della società, essa doveva considerarsi nulla per mancanza di poteri rappresentativi residuati in capo all’ex liquidatore di società cancellata. Ciò anche in ragione della inapplicabilità dell’art. 28, comma 4, d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175; ove invece la notifi ca dell’atto impositivo nei confronti del Fino avesse trovato causa nell’addebito di responsabilità e x art. 36 cit., l’Amministrazione finanziaria non aveva dedotto, men che meno dimostrato, la sussistenza delle condizioni previste dalla norma per procedere nei suoi confronti.
Avverso la sentenza l ‘Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per la sua cassazione, affidandosi a due motivi. Il Fino, cui pur risulta ritualmente notificato il ricorso, non ha inteso resistere.
Nell’Adunanza camerale dell’11 marzo 2025 la causa è stata trattata e
RGN 295/2016 Consigliere rel. COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate ha denunciato la «Violazione dell’art. 28 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.». Sostiene che il giudice regionale, nel negare rilevanza alla predetta norma, che ha previsto, ai soli fini dei rapporti tributari, che l’estinzione della società ai sensi dell’art. 2495 cod. civ. abbia effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese, ha erroneamente ritenuto inapplicabile al caso di specie tale disciplina, trattandosi di norma procedimentale.
Con il secondo motivo l’ufficio ha lamentato la «Violazione dell’art. 36 del DPR n. 602 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.». Il collegio avrebbe violato la norma invocata, per non aver tenuto conto che i liquidatori rispondono in proprio dei crediti tributari maturati anteriormente all’assegnazione dei beni ai soci, e la loro posizione è investita di un maggior onere probatorio, gravando su di essi la prova di non aver leso gli interessi del Fisco.
All’esame del primo motivo è preliminare il vaglio, da parte di questo Collegio, della esistenza o della carenza di legittimazione processuale del Fino, soggetto che, avverso la notificazione di un atto impositivo alla società RAGIONE_SOCIALE, eseguita il 28 aprile 2011 (e per essa al Fino nella qualità di liquidatore), propose a sua volta ricorso nella medesima qualità dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Brindisi con atto notificato il 7 giugno 2011. Sennonché la società, come rilevato dalla sentenza del giudice d’appello, a sua volta desumendolo dalla visura camerale, era stata cancellata dal registro delle imprese sin dal 10 maggio 2006. Si tratta di un dato pacificamente incontestato nel corso del giudizio.
Dunque, tanto la notifica dell’atto impositivo, quanto la notifica del ricorso avverso l’atto impositivo , furono rispettivamente ricevuti e proposti dal Fino in rappresentanza di una società ormai da anni cancellata ed estinta, e rispetto alla quale il Fino era decaduto da ogni potere rappresentativo.
Premesso che la cancellazione, anche volontaria, della società dal registro delle imprese, e la sua estinzione, è regolamentata dall’art. 2495 cod. civ., tale norma, ratione temporis vigente, prevedeva che «Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Ferma restando l’estinzione della società,
dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società».
Successivamente, l ‘art. 28, comma 4, del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, che della norma del codice costituisce una integrazione nei limiti della sua area applicativa, ha prescritto che «ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui a quest’articolo ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese».
In ordine all’applicazione temporale della disciplina sul differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società, di cui pure il ricorso erariale -con il suddetto primo motivone rivendica l’applicazione nel presente contenzioso, questa Corte ha chiarito che essa opera nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, nonché degli altri enti creditori o di riscossione indicati, limitatamente a tributi o contributi. Ciò, tuttavia afferisce esclusivamente alle ipotesi nelle quali la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese, che costituisce presupposto di tale differimento, sia stata presentata nella vigenza della disposizione, e pertanto a partire dal 13 dicembre 2014. La norma infatti reca disposizioni di natura sostanziale sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese e non ha pertanto efficacia retroattiva (Cass., 2 aprile 2015, n. 6743; 21 febbraio 2020, n. 4536; 27 dicembre 2024, n. 34549).
Nel caso di specie risulta incontestato che la cancellazione della società avvenne il 10 maggio 2006, così che il differimento quinquennale era inapplicabile.
Emerge allora ex actis un motivo di improcedibilità dell’intero processo introdotto originariamente dal Fino, difetto processuale che, al di là del ricorso proposto dall’amministrazione finanziaria, è comunque sollevabile d’ufficio.
Se infatti la società era stata cancellata e si era estinta in epoca anteriore al promovimento del contenzioso, neppure il suo ex liquidatore aveva legittimazione a proporre il ricorso introduttivo (cfr. Cass., 29 novembre 2021
n. 37256). Questa Corte ha infatti avvertito che nel contenzioso tributario la cancellazione della società dal registro delle imprese, con la sua conseguente estinzione, prima della notifica dell’avviso di accertamento o comunque dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto di capacità processuale e dunque il difetto di legittimazione del suo rappresentante (Cass., 19 settembre 2019, n. 23365; 21 dicembre 2018, n. 33278). Si elimina così ogni possibilità di prosecuzione dell’azione.
Né il Fino, il quale, si ribadisce, è stato destinatario della notificazione dell’atto impositivo nella qualità di liquidatore, può ritenersi che risponda dei debiti della società estinta ai sensi dell’art. 36, d.P.R. n. 602 del 1973 , come intende prospettare l’Agenzia delle entrate con il secondo motivo , così evidentemente introducendo una prospettiva diversa per la sopravvivenza di questa controversia.
A tal fine, infatti, questa Corte ha affermato, con riferimento espresso ai soci ma anche nei riguardi dei liquidatori e degli amministratori, che per configurare la responsabilità ex art. 36, d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione al debito tributario della società estinta a seguito di cancellazione dal registro delle imprese, deve essere fatta valere con la notificazione di un apposito avviso di accertamento ai sensi degli artt. 36, comma 5, del citato d.P.R. e 60 d.P.R. n. 600 del 1973, e l’amministrazione finanziaria deve provare, in caso di contestazione, il presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, previsto dall’art. 2495, comma 3, c.c., il quale integra una condizione dell’azione attinente all’interesse ad agire del fisco, non già alla legittimazione passiva dei soci (Sez. U, 12 febbraio 2025, n. 3625).
A parte lo spazio entro il quale si agita questa controversia, proprio perché generata da un avviso d’accertamento nei confronti di una società ormai cancellata, e senza alcuna contestazione elevata al liquidatore ai sensi dell’art. 36 cit., in ogni caso, per mera completezza, va ribadito quanto da questa Corte chiarito, anche di recente, ossia che, in ordine alla contestazione degli obblighi e delle responsabilità degli amministratori, dei liquidatori e dei soci, previsti dall’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, l’avviso di accertamento assolve all’obbligo generale di motivazione ed alle prescrizioni di cui al quinto comma dello stesso articolo quando l’Amministrazione individua la specifica fattispecie di responsabilità, nell’ambito di quelle tipicamente previste, alla
quale intende fare riferimento ed esplicita la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della medesima, come previsti dai commi 1, 2 e 3 del citato art. 36 (cfr. Cass., 26 luglio 2024, n. 21026). L’interpretazione si adagia correttamente alla lettera della norma, che infatti con chiarezza prescrive che «la responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata dall’ufficio delle imposte con atto motivato da n otificare ai sensi dell’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600».
Peraltro, nel segnare il perimetro applicativo della disciplina, si è anche avvertito che la responsabilità dei liquidatori e degli amministratori per le imposte non pagate con le attività della liquidazione, prevista dall’art. 36 cit., trova la sua fonte in un’obbligazione civile propria “ex lege” in relazione agli artt. 1176 e 1218 c.c. Non avendo dunque natura strettamente tributaria, a carico dei predetti non vi è alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari per effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese. Ad essi deve invece contestarsi la responsabilità per obbligazioni tributarie della società qualora la condotta tenuta si sia tradotta nel compimento, nel corso degli ultimi due periodi di imposta antecedenti alla messa in liquidazione, di operazioni di liquidazione o di occultamento di attività sociali, non solo mediante omissioni nella contabilità, ma anche presentando dichiarazioni fiscali infedeli ovvero omettendo di presentarle (Cass., 25 giugno 2019, n. 17020; 4 aprile 2023, n. 9236). La responsabilità può essere addebita anche successivamente alla chiusura delle operazioni di liquidazioni, purché i presupposti impositivi si siano verificati durante la liquidazione (Cass., 12 giugno 2018, n. 15250).
Così inquadrata la disciplina ed i presupposti necessari per la sua applicazione, a parte che la ricorrente ha mancato di riportare in ricorso, quanto meno per stralci, i passaggi della motivazione dell’atto di accertamento, a supporto del secondo motivo, da cui poter eventualmente evincere quali condotte specifiche fossero imputabili al liquidatore, in ogni caso nella motivazione della sentenza impugnata il giudice d’appello per un verso ha rilevato come l’atto fosse indirizzato alla società, e per altro v erso, per l’ipotesi che quell’atto fosse da intendersi come «manifestazione di responsabilità diretta verso il Fino», ha sottolineato come in esso l’«Amministrazione Finanziaria non ha dedotto e men che mai ovviamente dimostrato la sussistenza delle condizioni che in base a tale precitata norma
consentono siffatta azione di responsabilità». In altri termini la Commissione regionale, con una verifica in fatto del contenuto dell’avviso d’accertamento, ha escluso che con esso l’erario abbia inteso contestare al Fino, nella qualità di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, ipotesi di responsabilità ex art. 36 cit.
Tirando dunque le fila del discorso, e riconducendo la controversia nel perimetro voluto dall’Agenzia delle entrate, che aveva notificato un avviso d’accertamento ad una società ormai estinta, e per la quale ha impugnato l’inutile atto impositivo un sogget to del tutto privo di poteri rappresentativi, per essere quella società ormai giuridicamente inesistente, emerge allora che la causa non poteva essere neppure proposta, né tanto meno il processo proseguito. Si tratta, come già affermato, di questione rilev abile d’ufficio.
La sentenza d’appello, pertanto va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, ultima parte, cod. proc. civ., attesa l’inammissibilità del ricorso originario proposto dal Fino.
Atteso l’esito del processo, sussistono ragioni sufficienti che giustificano la compensazione di tutte le voci di spesa.
P.Q.M.
Pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara inammissibile il ricorso introduttivo. Compensa tutte le voci di spesa.
Così deciso in Roma, l’11 marzo 2025 .