Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13859 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13859 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23349 -20 21 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , ex socio ed ex liquidatore della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, cancellata dal registro delle imprese in data 01/04/2015, rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAILpec.ordineavvocatinovaraEMAIL) e dall’avv. NOME COGNOME (pecEMAIL);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
Oggetto: TRIBUTI -società cancellata dal registro delle imprese -art. 28 del d.lgs. n. 175 del 2014
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 561/11/2021 della Commissione Tributaria Regionale della LOMBARDIA, depositata in data 15/02/2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 11 marzo 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In controversia avente ad oggetto un avviso di accertamento ai fini IVA emesso per l’anno d’imposta 201 3 nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, con cui veniva disconosciuta la detraibilità dell’IVA relative a fatture che l’amministrazione finanziaria riteneva essere riferite ad operazioni commerciali oggettivamente inesistenti, la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Lombardia con la sentenza in epigrafe indicata rigettava l’appello proposto dal Girola, in proprio e nella qualità di ex socio ed ex liquidatore della sopra indicata società, cancellata dal registro delle imprese in data 01/04/2015.
I giudici di appello ritenevano corretta la notifica dell’avviso di accertamento fatta nei confronti del Girola quale legale rappresentante della società contribuente estinta, in quanto alla fattispecie era applicabile il disposto di cui all’art. 28 , comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 essendo stata la società cancellata dal registro delle imprese in data (01/04/2015) successiva all’entrata in vigore della citata disposizione (13/12/2014). Precisavano che il giudizio non riguardava l’azione di responsabilità di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 e che le due notifiche dello stesso avviso di accertamento fatte dall’amministrazione finanziaria al Girola, il primo quale legale rappresentante e la seconda quale socio ed ex liquidatore della società estinta, non costituiva duplicazione della pretesa impositiva. Ritenevano, quindi, infondata la dedotta illegittimità costituzionale del citato art. 28, la cui compatibilità a Costituzione era stata affermata dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 142 del 2020. Nel merito della contestazione erariale, sostenevano che l’Ufficio aveva fornito
«molteplici elementi» di inesistenza delle operazioni fatturate sicché la prova della «sussistenza una qualche operatività della società nel settore di competenza classificata (lavorazione di metalli, metallurgia delle polveri)» non era comunque idonea ad escludere «la collaterale presenza delle operazioni illegittime di cui alle fatture contestate».
Avverso tale statuizione il Girola propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’ intimata con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di cassazione il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2495 cod. civ., 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 e 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, sostenendo che la CTR aveva esaminato la questione della notifica dell’atto impositivo effettuata nei confronti della società liquidata « senza affrontare l’evidente difetto del presupposto che la Legge richiede per consentire di perseguire soci e liquidatori di una società cancellate ». Sostiene, inoltre, che « la pretesa tributaria originata dall’avviso di accertamento, notificato sia alla società cancellata (avviso T9D031D01469/2018) sia al Girola in proprio quale (ex) liquidatore (T9K01UR01878/2018) sia oggettivamente una duplicazione della pretesa dell’Amministrazione, che determina una violazione del principio “ne bis in idem”, perché riferisce al liquidatore la medesima pretesa che invece, doveva essere diversamente qualificata in relazione alla liquidazione della società, cancellata da oltre 3 anni ». Richiamando, poi, Cass. n. 7236 del 2018, sostiene che « l’Amministrazione può agire nei confronti dell’ex liquidatore, dovendo preliminarmente e già nell’atto impositivo, dimostrare il presupposto della responsabilità e cioè che, in concreto, vi sia stata distribuzione dell’attivo, e che il liquidatore è colpevole del mancato pagamento ».
La censura di duplicazione della pretesa erariale è inammissibile essendo stato proposto in spregio al principio di specificità postulato
dall’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ. e per censurare un accertamento di fatto compiuto dai giudici di appello.
2.1. I giudici di appello hanno accertato che nel caso in esame non vi era stata la dedotta duplicazione impositiva « Trattandosi del medesimo atto tributario » (sentenza, pag. 5). L’affermazione è il frutto di un accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità se, come nel caso di specie, adeguatamente motivato.
2.2. In ogni caso, la censura in esame è chiaramente fondata sulla diversità dei due avvisi di accertamento che nel caso di specie sono stati notificati l’uno alla società e l’altro al socio. Nonostante ciò, e nonostante l’accertamento compiuto sul punto dai giudici di appello, il ricorrente non consente a questa corte di effettuare il necessario vaglio di fondatezza della censura in quanto, non solo non riproduce detti atti, ma non li allega e nemmeno fornisce, come era suo onere, puntuali indicazioni per la loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo nei precedenti gradi di giudizio.
La censura proposta con riferimento alla questione della cessazione della società contribuente e dei conseguenti effetti è, invece, infondata.
3.1. Al riguardo deve osservarsi che sulla questione posta nel motivo in esame si sono recentemente pronunciate le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 3625 del 12 febbraio 2025.
3.2. In tale pronuncia il Supremo consesso ha ritenuto che, a fini ricostruttivi della disciplina dell’estinzione della società per effetto della sua cancellazione dal registro delle imprese, non potesse prescindersi dall’esaminare la portata dell’art. 28 del d .lgs. n. 175 del 2014, il cui comma 4 stabilisce che «Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese».
3.3. Le Sezioni unite hanno affermato che la predetta disposizione, che ha natura sostanziale così da escludersene l’efficacia retroattiva, instaura «una finzione legale di mantenimento in vita della società (evocatrice di quella posta dall’art. 10 legge fall.) seppure ai soli fini della definizione dei rapporti fiscali pendenti, in sede non solo amministrativa ma anche contenziosa» e, quindi, «deroga -nei soli riguardi delle posizioni debitorie indicate e delle relative Amministrazioni creditrici -al principio per cui la società cancellata dal registro delle imprese non può agire né essere convenuta in giudizio».
3.4. Hanno, quindi, confermato «il fermo indirizzo interpretativo, secondo cui la norma non si limita a prevedere una posticipazione degli effetti dell’estinzione al solo fine di consentire e facilitare all’Ufficio la notificazione dell’atto impositivo (altrime nti giuridicamente inesistente, se eseguita nei confronti di società già cancellata: Cass. n. 6743/15; n. 20961/21 ed altre), ma permette all’ex liquidatore di ‘ conservare tutti i poteri di rappresentanza della società, sul piano sostanziale e processuale, nella misura in cui questi rispondano ai fini indicati dall’art. 28, comma 4, che, altrimenti opinando, non potrebbe operare ‘. Con la conseguenza che il liquidatore, oltre a ricevere le notifiche degli atti dagli enti creditori, può anche opporsi agli stessi e conferire mandato alle liti, dovendosi la dizione legislativa ‘atti del contenzioso’ riferirsi in senso stretto e tecnico proprio agli atti del processo e della tutela giurisdizionale.
3.5. Pertanto, nei casi in cui si rende applicabile l’art. 28 in esame, in deroga all’art. 2495 cod. civ.: ‘ la società conserva la legittimazione attiva; il liquidatore è legittimato e gli ex soci devono considerarsi privi di legittimazione’ (Cass. n. 36892 del 16 dicembre 2022; nello stesso senso, Cass. n. 6743/15; n. 4536/20; n. 18310/23)».
3.6. Ciò precisato, osserva il Collegio che nel caso di specie la società contribuente era stata cancellata dal registro delle imprese il 1° aprile 2015, ovvero in data successiva a quella del 13 dicembre 2014,
di entrata in vigore dell’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014, e che l’avviso di accertamento per cui è causa è stato notificato, per come risulta anche dalla motivazione della sentenza d’appello, successivamente, in data 30 maggio 2018, quando comunque non era ancora decorso il quinquennio di cui al citato art. 28. Ne consegue che, in virtù dei suindicati principi, l’atto impositivo ben poteva essere emesso nei confronti della società estinta e doveva essere notificato al suo ultimo legale rappres entante, nella specie l’ex liquidatore NOME COGNOME che pure in tale qualità l’ha impugnato avendone piena legittimazione.
Con il secondo motivo viene dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’« omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in riguardo degli artt. 2697 e 2727 e succ. c.c., 28 c.4 D.Leg.175/2014, 36 DPR 602/73».
4.1. Il motivo è inammissibile perché la violazione del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. è nella specie preclusa dalla cd. doppia decisione di merito conforme, già prevista dall’art. 348ter, quinto comma, cod. proc. civ. e attualmente dall’art. 360, quarto comma, cod. proc. civ., applicabile anche in materia tributaria (Cass. n. 27547 del 2024), annotandosi che nella specie il ricorrente non ha nemmeno assolto all’onere di dimostrare la sostanziale diversità delle ragioni di fatto poste a base delle due decisioni.
4.2. Inoltre, il ricorso deduce impropriamente un vizio logico di motivazione con «riguardo» a disposizioni normative evocanti una violazione di legge. Ma il motivo, pur ove riconvertito nel vizio di cui al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013 (richiamata anche in Cass., Sez. U, n. 1785 del 2018, par. 4.1.3.), sul punto sconfina in questioni puramente di fatto, contravvenendo in tal modo al consolidato principio giurisprudenziale secondo cui «È inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge
mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito» (Cass. n. 8758 del 2017).
Il terzo motivo, con cui viene dedotta la violazione ed errata applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. per avere la CTR liquidato le spese del grado d’appello in favore dell’amministrazione finanziaria benché la stessa fosse assistita da un proprio funzionario, è infondato e va rigettato alla stregua del principio giurisprudenziale, assolutamente condivisibile, in base al quale «Nel processo tributario, all’Amministrazione finanziaria che sia stata assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite, spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, ora contenuto nell’art. 15, comma 2-bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, ma comunque da sempre previsto da detto articolo, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti che siano legittimati a svolgere attività difensiva nel processo» (Cass., Sez. 5, ordinanza n. 1019 del 10/01/2024, Rv. 670245 – 01).
In estrema sintesi il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 14.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 11 marzo 2025.