Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34549 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 34549 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
Oggetto: società cancellata dal registro delle imprese in data antecedente al 13 dicembre 2014 – applicabilità dell’art. 28, comma 4, del d.lgs. 175/2014 -esclusione -* principio di diritto
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28113/2020 R.G. proposto da NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME il primo quale legale rappresentante e socio, gli altri tre come soci di fatto della RAGIONE_SOCIALE rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, da ll’ Avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-resistente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, n. 117/27/2020, depositata in data 27 gennaio 2020. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 3 ottobre 2024
dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri ; uditi per i ricorrenti l’avvocato NOME COGNOME per delega dell’avvocato NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica eseguita dalla Guardia di Finanza nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE l’Agenzia delle Entrate emetteva otto avvisi di accertamento, relativi agli anni 2012 e 2013, con i quali recuperava a tassazione maggior reddito, ai fini IRES, IRAP e IVA, nei confronti della società, ed ai fini IRPEF nei confronti dei soci di fatto.
In particolare, due avvisi (l’uno per il 2012, l’altro per il 2013) erano notificati (tra luglio e novembre 2015) ad ognuno dei seguenti soggetti, tutti indicati quali autori della violazione accertata:
–COGNOME DomenicoCOGNOME quale rappresentate legale della società;
–NOME, quale socio di fatto della società, sulla base della presunzione della distribuzione degli utili extracontabili;
–NOME COGNOME quale socio di fatto della società, sulla base della presunzione della distribuzione degli utili extracontabili;
–NOME, quale socio di fatto della società, sulla base della presunzione della distribuzione degli utili extracontabili.
Gli avvisi erano tutti impugnati con distinti ricorsi innanzi alla CTP di Foggia. Per quanto qui ancora rilevi, con il primo motivo tutti i ricorrenti eccepivano la violazione dell’art. 28 del d.lgs. n. 175/2014 per inesistenza giuridica dell’avviso di acc ertamento, emesso nei confronti di una società già estinta (per essere stata cancellata dal registro delle imprese il 22 ottobre 2014) al momento della notifica; la citata norma, di natura sostanziale, entrata in vigore il 31 dicembre 2014, ovvero in data successiva all’estinzione della società, non poteva, quindi, trovare applicazione nel caso di specie.
La CTP, riuniti i ricorsi, accoglieva le ragioni dei contribuenti, ritenendo non applicabile la normativa sopravvenuta nel 2014. Pertanto, l’illegittimità degli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società estinta (e notificati ai ricorrenti) comportava l’illegittimità degli avvisi notificati ai ricorrenti, relativi alle quote di partecipazione attribuite.
L’Ufficio proponeva gravame innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia.
La CTR accoglieva l’appello ritenendo applicabile l’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175/2014, anche alle attività di controllo riferite a società cancellate prima del 13 dicembre 2014 (data di entrata in vigore del detto d.lgs.) o che prima di detta data avessero chiesto la cancellazione.
Avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale hanno proposto ricorso per cassazione la società, in persona del legale rappresentante, il socio NOME COGNOME e i ritenuti soci di fatto, affidandosi a cinque motivi.
Il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del dr. NOME COGNOME ha depositato memoria scritta con cui ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri .
Il 20-23/9/2024 il procuratore dei ricorrenti ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. insistendo nell’accoglimento del ricorso.
Il 1° ottobre 2024 l’Agenzia delle Entrate ha depositato atto col quale ha chiesto di partecipare all’udienza di discussione , facoltà poi non esercitata.
All’udienza pubblica del 0 3/1 0/2024 l’avvocato de i ricorrenti ha chiesto accogliersi il ricorso. Il Sostituto Procuratore Generale ha ribadito le conclusioni già rese con la memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va dichiarata l’ammissibilità del ricorso, proposto l’ultimo giorno utile (30 ottobre 2020), dovendo computarsi
sia i 64 giorni di sospensione del termine (dal 9 marzo all’11 maggio 2020) in virtù della legislazione emanata per fronteggiare l’emergenza Covid sia i 31 giorni di sospensione feriale (dal 1° al 31 agosto 2020).
Con il primo motivo i contribuenti lamentano la «violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli art. 2495 c.c. e D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 28, comma 4, per avere la CTR affermato la validità dell’avviso di accertamento, emesso nei confronti di società già cancellata dal Registro delle Imprese e notificato alla stessa e ai soci, sul presupposto della retroattività dell’art. 28 cit. ». In punto di fatto, ribadiscono che la società RAGIONE_SOCIALE posta in liquidazione il 19 dicembre 2013, fu cancellata dal registro delle imprese il 22 ottobre 2014, in data antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 175/2014.
L’avviso di accertamento fu notificato, in uno al PVC datato 29 gennaio 2015, alla società, nelle mani del COGNOME quale legale rappresentante, quando l’ente era già stato cancellato.
L’articolo in commento, per la giurisprudenza pacifica di legittimità, avrebbe natura sostanziale e si applicherebbe, quindi, solo alle ipotesi in cui la richiesta di cancellazione (o la cancellazione) siano intervenute dopo l’entrata in vigore del d.lgs. (ovvero dopo il 13 dicembre 2014).
Gli avvisi di accertamento diretti e notificati ad una società ormai estinta perché già cancellata dal registro delle imprese sarebbero, quindi, illegittimi proprio perché notificati a soggetto inesistente.
2.1. Il motivo, sebbene in tesi fondato, è inammissibile per carenza di interesse.
La questione della natura (sostanziale o processuale) dell’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175/2014 e, a valle, della sua applicabilità in via retroattiva ad atti compiuti dall’A.F. nei confronti di società cancellate dal registro delle imprese in data antecedente alla sua entrata in vigore, è stata affrontata da questa Corte molteplici volte.
Sin dalle pronunce nn. 6743/2015 e 15648/2015 questa Corte ha affermato che lo ius superveniens costituito dal d.lgs. n. 175 del 2014, art. 28, comma 4, entrato in vigore il 13 dicembre 2014 ed emesso in attuazione della legge delega n. 23/2014, artt. 1 e 7, non si applica alle ipotesi (come nella specie) in cui la società sia stata cancellata in data anteriore al 13 dicembre 2014.
In base all’art. 28, comma 4, cit. l’effetto estintivo della società (di persone o di capitali), qualora derivi da una cancellazione dal registro disposta su richiesta, come nel presente caso, è differito per cinque anni, decorrenti dalla richiesta di cancellazione, con differimento limitato al settore tributario e contributivo (‘ai soli fini’), nel senso che l’estinzione intervenuta durante tale periodo non fa venir meno la ‘validità’ e l”efficacia’ sia degli atti di liquidazione, di accertamento, di riscossione relativi a tributi e contributi, sanzioni e interessi, sia degli atti processuali afferenti a giudizi concernenti detti tributi e contributi, sanzioni e interessi, dovendo evidenziarsi che il differimento degli effetti dell’estinzione non opera necessariamente per un quinquennio, ma per l’eventuale minor perio do che risulta al netto dello scarto temporale tra la richiesta di cancellazione e l’estinzione.
La ratio della norma consiste nel limitare (per il periodo da essa previsto) gli effetti dell’estinzione societaria previsti dal codice civile, mantenendo parzialmente per la società una capacità e una soggettività (anche processuali) altrimenti inesistenti, al ‘solo’ fine di garantire (per il mede simo periodo) l’efficacia dell’attività (sostanziale e processuale) degli enti legittimati a richiedere tributi o contributi, con sanzioni ed interessi.
La norma, pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dall’A.F. nelle sue circolari, opera su un piano sostanziale e non ‘procedurale’, in quanto non si risolve in una diversa regolamentazione dei termini processuali o dei tempi e delle procedure di accertamento e di riscossione.
Il testo della disposizione, che non consente di individuare alcun indice di retroattività per la sua efficacia e, pertanto, rispetta il comma 1 dell’art. 3 dello Statuto dei Diritti del Contribuente, non autorizza, quindi, ad attribuire effetti di sanatoria in relazione ad atti notificati a società già estinte per le quali la richiesta di cancellazione e l’estinzione siano intervenute anteriormente al 13 dicembre 2014, come nel caso de quo .
2.2. Va, quindi, ribadito il seguente principio di diritto: «il d.lgs. n. 175/2014, art. 28, comma 4, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese, non ha efficacia retroattiva e, pertanto, il differimento quinquennale (operante nei soli confronti dell’A.F. e degli altri enti creditori o di riscossione, indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi e contributi) degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495 cod. ci v., comma 2, si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese sia presentata nella vigenza di detto decreto legislativo (cioè il 13 dicembre 2014 o successivamente)».
Lo ius superveniens , quindi, non si applica alla presente fattispecie, perché è pacifico che la società RAGIONE_SOCIALE sia stata cancellata, a sua richiesta, sin dal 22 ottobre 2014, dunque, prima del 13 dicembre 2014.
2.3. Posta tale premessa circa l’inapplicabilità alla fattispecie dello ius superveniens , va evidenziato che il motivo attiene alla società cancellata, non già ai soci ricorrenti, che, pertanto, sono sotto tale profilo privi di legittimazione attiva. Il motivo è, inoltre, inammissibile per difetto di interesse atteso che alcuna incidenza ha la nullità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società sugli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei quattro soci, quali autori materiali delle violazioni.
È senz’altro vero che l’accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati costituisce il presupposto necessario per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi
giacché, in mancanza, non sussiste la prova dello stesso fatto costitutivo della pretesa tributaria, con l’effetto che deve essere dichiarato illegittimo l’avviso di accertamento che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari in capo al socio, quando non sia stata preventivamente accertata la posizione della società di capitali, evidenziando in capo alla stessa un maggior reddito non dichiarato (Cass. 20/12/2021 n. 40844).
Tuttavia, la suddetta pronuncia ha anche precisato che l’annullamento per motivi attinenti al merito della pretesa tributaria dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società sancito con sentenza passata in giudicato, avendo carattere pregiudicante, spiega i suoi effetti a favore di tutti i soci e quindi anche nel connesso giudizio avente ad oggetto l’avviso di accertamento notificato al singolo socio e relativo al suo reddito da partecipazione scaturente a seguito di rettifica operato nei confronti della società, in quanto detto accertamento negativo rimuove il presupposto da cui dipende il maggior utile da partecipazione conseguito dal soci.
Diverso è il caso in cui l’accertamento operato nei confronti della società sia stato annullato per motivi di rito (ad esempio, come nel caso affrontato da Cass. 22/04/2021 n. 10723, per l’estinzione della società in data antecedente alla notifica dell’avv iso di accertamento nei suoi confronti), poiché in questo caso non viene compiuta alcuna verifica circa l’inesistenza dell’imponibile da essa non dichiarato, sicché tale pronuncia non può fare stato nei confronti dei soci, dovendosi ritenere che proprio la mancanza di un accertamento irrefutabile sull’inesistenza nel merito della pretesa correlata ai ricavi non contabilizzati, impregiudicata la sorte dell’accertamento notificato alla società, possa essere posto a base della pretesa nei confronti del socio e costituire, se dimostrato dall’Ufficio, condizione legittimante della richiesta fiscale correlata al maggior reddito di partecipazione a carico del socio (nello stesso senso, già Cass. 7/6/2016, n. 11680).
Per la giurisprudenza di questa Corte, in altre parole, l’invalidità, per motivi di rito, dell’accertamento emesso nei confronti di una società a ristretta base, non determina necessariamente l’illegittimità degli atti impositivi nei confronti dei suoi soc i per i redditi costituiti dagli utili extra-bilancio percepiti pro quota , neppure se la formale illegittimità dell’accertamento societario sia stata dichiarata con un precedente ed irrevocabile annullamento giurisdizionale (così, ancora, Cass. n. 10723/2021 cit.).
I medesimi principi sono stati affermati anche nel caso, come quello qui affrontato, in cui il socio di una società di capitali a ristretta base, destinatario di un avviso di accertamento fondato sulla presunzione di distribuzione in suo favore di utili non dichiarati dalla società, lamenti (anche) l’illegittimità dell’atto che costituisce il presupposto da cui dipende il maggior utile da partecipazione a lui contestato, ossia dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, in quanto notific ato a quest’ultima dopo la sua estinzione.
Si è detto, infatti, che solo l’annullamento dell’avviso emesso nei confronti della società, con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, riveste carattere pregiudicante e determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento, notificato al singolo socio, che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari. Tale carattere pregiudicante non si rinviene, invece, nelle ipotesi di annullamento per vizi del procedimento (nella specie per inesistenza della notifica), le quali danno luogo ad un giudicato formale, e non sostanziale, difettando una pronuncia che revochi in dubbio l’accertamento sulla pretesa erariale ( Cass. 19/01/2021, n. 752).
In conclusione, se è vero che l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società a ristretta base e non notificato a quest’ultima non è opponibile al socio, e quindi non riveste rilievo ‘pregiudicante’ rispetto alla sussistenza dell’obbligazione t ributaria della società (e, di conseguenza, rispetto al presupposto
dell’operatività della presunzione semplice di distribuzione degli utili non dichiarati in favore dei soci), è altrettanto vero che ciò si traduce soltanto nella possibilità, per il socio stesso, di contestare la sussistenza di tutti i fatti costitutivi de ll’obbligazione tributaria (così sostanzialmente, già Cass. 07/03/2019, n. 6626) ed evidenziati nell’atto di accertamento emesso nei confronti della società . E ciò anche al di là di quanto normalmente consentito dalla giurisprudenza di legittimità, per la quale il socio può unicamente eccepire che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati o reinvestiti dalla società, nonché dimostrare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria ( ex multis , Cass. 07/06/2024, n. 15991; Cass. 04/03/2022, n. 7170; Cass. 15/09/2021, n. 24870; Cass. 01/12/2020, n. 27445; Cass. 24/07/2020, n. 15895; Cass. 09/07/2018, n. 18042; Cass. 14/07/2017, n. 17461). In ogni caso, NOME COGNOME, quale legale rappresentante della società, era privo di legittimazione a proporre il ricorso introduttivo, essendo venuta meno la sua qualità per effetto della cancellazione della società dal Registro delle Imprese, che comporta il difetto della capacità processuale della società e della legittimazione a rappresentarla dell’ex legale rappresentante nei confronti di atto impositivo diretto alla società non più esistente (Cass. n. 33278/2018). In tali casi si è affermat o che l’accertamento del difetto di legitimatio ad causam sin da prima che venisse instaurato il primo grado di giudizio, secondo giurisprudenza costante, elimina in radice ogni possibilità di prosecuzione dell’azione e comporta, a norma dell’art. 382 cod. proc. civ., l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per cassazione (Cass. 21/02/2020, n. 4536). Ne segue che, limitatamente alla società, il ricorso va rigettato perché la domanda non poteva essere proposta.
Con il secondo motivo i contribuenti lamentano la «violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione ed errata applicazione degli arti. 5, 9 ed 11 del D. Lgs. 472/77, nonché violazione dell’art. 2495 c.c., attesa l’assenza di atti
di gestione e la mancanza di qualità di autori della violazione in capo ai sig.ri NOME COGNOME, NOME ed NOME, nonché l’assolvimento dell’onere probatorio in tal senso da parte dell’Ufficio ». Deducono che difetterebbe nella sentenza il riferimento ad attività di indagine che abbiano dimostrato l’attività di schermo da parte della società RAGIONE_SOCIALE per la gestione delle campagne vitivinicole del 2012/2013 e 2013/2014. La CTR si sarebbe focalizzata unicamente sui rapporti tra le società fornitrici e la RAGIONE_SOCIALE senza spendere parole sull’attività posta in essere dai ricorrenti e sulle violazioni loro imputate.
Il motivo è inammissibile.
Invero, nel motivo manca qualsiasi supporto argomentativo della eccepita violazione degli articoli 5, 9 e 11 del d.lgs. n. 472/1997 (indicato per mero errore materiale con l’anno 1977), ciò che rende inammissibile il motivo ex art. 366 cod. proc. civ.. Inoltre, a conforto della inammissibilità del motivo, è opportuno evidenziare che secondo costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. U. 12/11/2020, n. 25573) «in tema di ricorso per cassazione, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente» (Cass. 26/07/2024, n. 20870). Nel ricorso per cassazione, il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., giusta il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da
prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla SRAGIONE_SOCIALE di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione. Nella specie, la deduzione della violazione di legge non solo non è supportata da alcuna argomentazione atta a sussumere il diverso accertamento fattuale nel senso auspicato dal ricorrente, ma non è nemmeno accompagnata dalla valutazione comparativa delle opposte soluzioni.
Con il terzo motivo i contribuenti deducono la «violazione e falsa applicazione, ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., per aver omesso di valutare i fatti decisivi secondo i quali i sig.ri NOME COGNOME, NOME ed NOME sarebbero gli autori delle violazioni nonché i soci di fatto della società RAGIONE_SOCIALE, nonché ex art. 360, primo comma n. 3 c.p.c., per mancato assolvimento dell’onere probatorio in tal senso da parte dell’Ufficio». Sostengono, in particolare, che la CTR avrebbe utilizzato, per dedurre la qualità di soci di fatto degli NOMECOGNOME elementi (quali le dichiarazioni rese da COGNOME NOME alla GDF) inutilizzabili (in quanto contenute in atti estranei al PVC richiamato negli avvisi di accertamento) o comunque irrilevanti (comprovando solo una conoscenza tra COGNOME NOME ed NOME NOME), o inidonei a fondare la tesi dell’Ufficio (le dichiarazioni degli amministratori della società RAGIONE_SOCIALE).
Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili ciascuno idoneo ex se a fondarne la relativa declaratoria.
4.1. Da un lato, si è al di fuori dell’ambito applicativo dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dal legislatore nel 2012 (d.l. 83/2012) ed applicabile ratione temporis ; detta norma prevede, per quanto qui rilevi, che le sentenze emesse in grado di appello possono essere impugnate con ricorso per cassazione:
…5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti .
Nonostante la ratio della riforma fosse chiara, ovvero, da un lato, evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, dall’altro, limitare il sindacato sul fatto in Cassazione, la formulazione della norma, molto criticata in dottrina, ha generato numerose questioni interpretative e questa Corte è stata chiamata a delimitare l’ambito di applicazione del motivo de quo .
In termini generali, si è affermato che è denunciabile, ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., solo l’anomalia motivazione che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella « motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U. 7/4/2014 n. 8053, Cass. Sez. U. 21/12/2022 n. 37406, Cass. n. 12111/2019).
Al di fuori di queste ipotesi, quindi, è censurabile ai sensi del n. 5) soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso , che sia stato oggetto di discussione e che sia decisivo ; di contro, non è più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti e ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. n. 2474/2017).
Per fatto decisivo deve intendersi innanzitutto un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o secondario, che sia processualmente esistente, in quanto allegato in sede di merito dalle parti ed oggetto di discussione tra le parti, che risulti dal testo della sentenza o dagli
atti processuali e se preso in considerazione avrebbe determinato una decisione diversa (Cass. n. 9637/2017).
Pertanto, non costituiscono ‘fatti’ suscettibili di fondare il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., le argomentazioni o deduzioni difensive, il cui omesso esame non è dunque censurabile in Cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 (Cass. n. 9637/2021), né costituiscono ‘fatti storici’ le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative (Cass. n. 10525/2022).
Pacifica, poi, l’applicabilità della norma al processo tributario (così Sez. U. n. 8053/2014 cit.), questa Corte, in tema di contenzioso tributario, ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale non si censuri l’omesso esame di un fatto decisivo ma si evidenzi solo un’insufficiente motivazione per non avere la CTR considerato tutte le circostanze della fattispecie dedotta in giudizio (Cass. 28/6/2016 n. 13366, in materia di idoneità delle dichiarazioni rese da un terzo a fondare la prova, da parte della contribuente, di fatture per operazioni inesistenti).
Alla luce della giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata deve rilevarsi l’inammissibilità del motivo de quo in quanto i ricorrenti indicano come fatti decisivi non già ‘fatti storici’ bensì elementi probatori, dei quali chiedono alla Corte una diversa valutazione rispetto a quella già effettuata dal giudice di merito.
4.2. Dall’altro lato, il motivo attinge solo ad alcuni degli elementi posti dalla CTR a sostegno della conclusione in termini di coinvolgimento dei ricorrenti nella gestione di fatto della società; esso involge il modo in cui siano stati valutati dal giudice del merito gli elementi acquisiti, profilo su cui il controllo di legittimità può aver luogo solo con riguardo alla correttezza della motivazione (Cass. 23940/2017). Il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di
legittimità, se non nei limiti del difetto di motivazione (non dedotto nella specie).
4.3. Infine, anche sotto il profilo del vizio ex art. 360, comma primo, n. 3), il motivo è inammissibile non solo perché non viene indicata (nell’intestazione e nell’argomentazione del motivo) la norma asseritamente violata, ma perché, soprattutto, la stessa non è evincibile dal contenuto complessivo del motivo.
Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la «violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 degli articoli 42 e 41 bis del D.P.R. 600/73 e 44 e 45 del T.U.I.R. N. 917/86, attesa la impossibilità di effettuare l’accertamento di dividendi extracontabili in capo al socio in caso di mancato accertamento di maggiori ricavi in capo alla società». In particolare, assumono che l’inesistenza degli atti di accertamento nei confronti della società, in quanto già cancellata, precluderebbe in radice la prova di un reddito extracontabile in capo alla società. Inoltre, difetterebbe la prova che l’utile societario sia stato distribuito ai soci, dovendo la prova presuntiva soddisfare i requisiti di cui agli artt. 2727 e 2729 cod. civ..
Il motivo è infondato.
5.1. In relazione alla irrilevanza, nella specie, della inesistenza degli avvisi di accertamento in capo alla società – in quanto estinta sugli avvisi di accertamento notificati ai soci, è sufficiente richiamare quanto già evidenziato in sede di esame del primo motivo e, in particolare, la giurisprudenza di questa Corte in materia: l’annullamento per motivi attinenti al merito della pretesa tributaria dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società sancito con sentenza passata in giudicato, avendo carattere pregiudicante, spiega i suoi effetti a favore di tutti i soci e quindi anche nel connesso giudizio avente ad ogget to l’avviso di accertamento notificato al singolo socio e relativo al suo reddito da partecipazione scaturente a seguito di rettifica operato nei confronti della società, in quanto detto accertamento negativo rimuove il
presupposto da cui dipende il maggior utile da partecipazione conseguito dal soci (Cass. 20/12/2021 n. 40844).
Diverso è il caso in cui l’accertamento operato nei confronti della società sia stato annullato per motivi di rito (ad esempio, come nel caso affrontato da Cass. 22/04/2021 n. 10723, per l’estinzione della società in data antecedente alla notifica dell’avv iso di accertamento nei suoi confronti), poiché in questo caso non viene compiuta alcuna verifica circa l’inesistenza dell’imponibile da essa non dichiarato, sicché tale pronuncia non può fare stato nei confronti dei soci (nello stesso senso, già Cass. 07/06/2016, n. 11680).
Per la giurisprudenza di questa Corte, in altre parole, l’invalidità, per motivi di rito, dell’accertamento emesso nei confronti di una società a ristretta base, non determina necessariamente l’illegittimità degli atti impositivi nei confronti dei suoi soc i per i redditi costituiti dagli utili extra-bilancio percepiti pro quota , neppure se la formale illegittimità dell’accertamento societario sia stata dichiarata con un precedente ed irrevocabile annullamento giurisdizionale (così, ancora, Cass. n. 10723/2021 cit.).
5.2. Priva di pregio è, infine, la doglianza relativa alla necessità – onde fondare la distribuzione pro quota degli utili extracontabili di una società a ristretta base partecipativa ai soci – di una prova ulteriore rispetto a quella presuntiva.
Invero, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, in tema di accertamento delle imposte sui redditi nel caso di società di capitali che presenti una ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione (semplice) di attribuzione ai soci partecipanti alla società degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili ( ex multis , Cass. 22/11/2017, n. 27778; da ultimo, Cass. 06/06/2024, n.
15895/2024). Ciò vale anche nelle ipotesi di assenza di rapporti di parentela, in quanto la ristrettezza della base sociale implica di per sé un elevato grado di compartecipazione dei soci, e dunque la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza de ll’esistenza di utile extrabilancio, consentendo di riconoscere sussistenti, ai fini della prova presuntiva, i requisiti richiesti dall’art. 2729 cod. civ..
Tale meccanismo probatorio non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell ‘assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (Cass. 24/01/2019, n. 1947).
La detta presunzione, in altri termini, non va corroborata da altri elementi indiziari; in particolare non occorre che l’accertamento emesso nei confronti dei soci risulti fondato anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l’analisi delle loro movimentazioni bancarie, l’intervenuto acquisto di beni di particolare valore, non giustificabili sulla base dei redditi dichiarati (Cass. 11/08/2020, n. 16913).
In definitiva, la sentenza impugnata va cassata, senza rinvio, limitatamente alla posizione della società, e nel resto il ricorso va integralmente rigettato.
Nulla sulle spese stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte cassa la sentenza impugnata, senza rinvio, limitatamente alla posizione della società e rigetta nel resto il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 ottobre 2024.