Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20024 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20024 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11622/2022 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AGENZIA ENTRATE-RISCOSSIONE, AGENZIA DELLE ENTRATE -intimate-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA-NAPOLI n. 7840/2021 depositata il 08/11/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. In punto di fatto, dalla sentenza in epigrafe, si evince quanto segue:
NOME COGNOME nella qualità di ex socio e di ex liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal registro delle imprese in data 5 aprile 2017, ha impugnato la cartella di pagamento notificatagli in relazione all’anno 2015, con la quale l’Agenzia delle entrate Riscossione gli ha intimato di pagare l’iva per € 18.255,60, a cui si sono aggiunti sanzioni, interessi, oneri e spese di notifica per la complessiva somma di € 26.602,75. Nel corso del giudizio di primo grado a seguito di chiamata in causa da parte dell’Agenzia delle entrate Riscossione, si è costituita l’Agenzia delle entrate.
La Commissione tributaria provinciale di Caserta ha accolto il ricorso, facendo leva sull’intervenuta estinzione della società.
Contro questa sentenza propone appello l’Agenzia delle entrate riscossione, cui risponde con controdeduzioni il contribuente nell’indicata qualità, nonché, con sostanza di appello incidentale adesivo, l’Agenzia delle entrate.
La CTR della Campania, con la sentenza in epigrafe, l’accoglieva.
2.1. In motivazione, osservava:
1.Va preliminarmente respinta l’eccezione d’inammissibilità dell’appello principale, col quale l’Agenzia delle entrate -Riscossione
esattamente individua la statuizione della pronuncia di primo grado contestata e la sottopone a critica.
2.Va respinta l’eccezione d’inammissibilità dell’appello perché proposto da un avvocato appartenente al libero foro: le modalità di espletamento della difesa tecnica sono rimesse al soggetto che esercita il proprio diritto di difesa, salvo che per i giudizi che rientrino nella convenzione con l’Avvocatura dello Stato. Se ne trae conferma dalla norma d’interpretazione autentica contenuta nell’art. 4 -novies del d.l. n. 34/19, come convertito con l. n. 58/19, secondo cui ‘Il comma 8 dell’articolo 1 del decreto -legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, si interpreta nel senso che la disposizione dell’articolo 43, quarto comma, del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n.1611, si applica esclusivamente nei casi in cui l’Agenzia delle entrate-Riscossione, per la propria rappresentanza e difesa in giudizio, intende non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato nei giudizi a quest’ultima riservati su base convenzionale; la medesima disposizione non si applica nei casi di indisponibilità della stessa Avvocatura dello Stato ad assumere il patrocinio’.
3.Va respinta l’eccezione d’inammissibilità della chiamata in causa dell’Agenzia delle entrate, in quanto irrilevante su tale chiamata in causa è la decadenza dalla proposizione di eccezioni.
null
La norma ha superato il vaglio di legittimità costituzionale, considerato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 142/20, ha considerato che la disciplina della cancellazione delle società dal registro delle imprese e la conseguente perdita di capacità e soggettività dell’ente sono di ostacolo alle attività che l’amministrazione finanziaria deve svolgere. Il che è ritenuto di particolare gravità, per la speciale fisionomia dell’obbligazione
tributaria, utile a distinguerla da quella civile ordinaria, perché volta a garantire il regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato.
4.1.- Legittimamente, dunque, è stata notificata la cartella di pagamento, anche per le sanzioni, in quanto, a fronte della cancellazione della società, avvenuta nel 2017, la cartella è stata notificata nel 2019.
5.Infondata è poi l’eccezione di difetto di motivazione della cartella, la quale risulta essere stata emessa in esito al controllo della dichiarazione modello unico.
E ciò in applicazione della giurisprudenza di legittimità (tra varie, Cass. n. 25329/14), in base alla quale qualora si proceda, in sede di controllo cartolare ex 54 bis d.p.r. n. 633 del 1972, alla liquidazione dell’imposta in base ai dati contenuti nella dichiarazione o rinvenibili negli archivi dell’anagrafe tributaria, la cartella può essere motivata, come nel caso in esame è avvenuto, con il mero richiamo alla dichiarazione, poiché il contribuente è già in grado di conoscere i presupposti della pretesa.
Propone ricorso per cassazione il COGNOMEin proprio ed ai sensi dell’art. 28 co. 4 del D.Lgs. 175/2014, in qualità di ex liquidatore ed ex socio della società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, con sede legale in Parete (CE) alla INDIRIZZO con CF P_IVA, estinta per cancellazione dal registro delle imprese in data 04.05.2017′. Valga rilevare che la data del ‘04.05.2017’ è verosimilmente frutto di un refuso, sia perché nella premessa anteposta all’esposizione dei motivi di ricorso, e poi ancora nello sviluppo di questo, essa è indicata come ‘05.04.2017’, sia perché la sentenza in epigrafe esordisce sostenendo che:
NOME COGNOME nella qualità di ex socio e di ex liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal registro delle
imprese in data 5 aprile 2017, ha impugnato la cartella di pagamento notificatagli in relazione all’anno 2015 .
Il ricorso è articolato in sette motivi .
Le agenzie fiscali restano intimate.
3.1. Il predetto COGNOME deposita altresì ampia memoria telematica addì 30 -31 gennaio 2025 ad ulteriore illustrazione delle sue ragioni.
Considerato che:
Il ricorso per cassazione premette testualmente quanto segue:
In data 18 dicembre 2019, veniva notificata a Picone Giuseppe (ricorrente), nella qualità di rappresentante legale, la cartella di pagamento n. 028 2019 00054259 53 000 (cfr. sub ’12’) avente ad oggetto imposta IVA anno 2015 per € 18.255,00, € 5.476,00 per sanzioni, € 2.090,21 per interessi, € 774,67 per oneri di riscossioni, € 5,88 per spese di notifica, per un totale di € 26.602,75, intestata alla società RAGIONE_SOCIALE unipersonale in liquidazione, corrente alla INDIRIZZO – 81030 Parete (CE) CF NUMERO_DOCUMENTO, cancellata dal registro delle imprese in data 05.04.2017.
Inoltre, nel ricorso per cassazione, come visto, il COGNOME afferma di agire ‘in proprio ed ai sensi dell’art. 28 co. 4 del D.Lgs. 175/2014, in qualità di ex liquidatore ed ex socio’.
La sentenza impugnata, come pure visto, afferma che ‘ NOME COGNOME nella qualità di ex socio e di ex liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal registro delle imprese in data 5 aprile 2017, ha impugnato la cartella di pagamento notificatagli in relazione all’anno 2015′.
1.1. Alla luce di quanto precede, occorre preliminarmente esaminare la questione della legittimazione ad agire dell’odierno ricorrente, profilo che riguarda la valutazione delle conseguenze derivanti dall’estinzione della società e che è suscettibile d’esame d’ufficio da parte del giudice (cfr., ‘ex multis’, Cass. n. 11744 del 2018).
Da ultimo, questa S.C. (Cass. n. 10429 del 2025) ha avuto modo di affermare che:
il venir meno della ‘fictio iuris’ di cui all’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 -relativo alla sopravvivenza della società di persone o di capitali, dopo la sua cancellazione dal registro delle imprese -per decorrenza del termine quinquennale dalla richiesta di cancellazione da detto registro, comporta il consolidamento di un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l’obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che – ‘pendente societate’ -fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali .
Tale insegnamento si pone in linea con quello del Massimo consesso nomofilattico (Cass., Sez. U, n. 3625 del 2025), laddove, enunciato il principio di diritto (Rv. 673808 -03) secondo cui:
per configurare la responsabilità dei soci in relazione al debito tributario della società estinta a seguito di cancellazione dal registro delle imprese, l’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione costituisce elemento che l’amministrazione finanziaria è tenuta a dedurre con un apposito avviso di accertamento nei confronti dei soci stessi, ai sensi dell’art. 36, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973, e che, quindi, non può essere rilevato nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo originariamente notificato alla società, benché il
processo prosegua da o nei confronti dei soci in qualità di successori della società estinta , conferma (in motiv., par. 3.2., p. 30) che
nell’ipotesi in cui l’estinzione della società di capitali, all’esito della cancellazione dal registro delle imprese, intervenga in pendenza del termine per impugnare, l’impugnazione della sentenza (resa nei riguardi della società) deve rispettivamente provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta, individuati come ‘giusta parte’ dell’impugnazione stessa (Cass. n. 9094/17 ; Cass. n. 15035/17; n. 14446/18; n. 897/19).
Tornando al caso di specie, tenuto presente che, come visto, la ‘RAGIONE_SOCIALE è stata ‘cancellata dal registro delle imprese in data 5 aprile 2017′, e che il ricorso per cassazione reca la data del ’26 aprile 2022’, medesima data figurante in calce alla procura speciale, con conseguente superamento, sia pure per qualche giorno, del quinquennio di finzione dell’ultrattività, per i rapporti fiscali, della società estinta ex art. 28, comma 4, D.Lgs. n. 175 del 2014 (il quale stabilisce che, ‘ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese’), in riferimento alla posizione del COGNOME quale ex liquidatore della società, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.
Nulla è statuirsi sulle spese, per mancata costituzione delle agenzie fiscali.
Il ricorso resta invece scrutinabile in riferimento alla posizione del COGNOME in proprio e nella qualità di ex socio della
società (posizione legittimante all’impugnazione in forza del fenomeno successorio ‘sui generis’ – che comporta il subentro alla società del già socio – la cui ‘riespansione’ – sia consentito di così dire -s’è prodotta in conseguenza della consumazione del quinquennio ex art. 28, comma 4, D.Lgs. n. 175 del 2014).
Donde può procedersi alla disamina dei motivi.
Primo motivo: ‘Nullità della sentenza per mera apparenza, contraddittorietà e perplessità della motivazione -Violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., art. 132, comma 2 n. 4, c.p.c., art. 118 Disp. Attuazione c.p.c. nonché artt. 1, comma 2, 36, comma 2 nn. 2 e 4, 53 e 54 del D. Lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.’.
4.1. ‘La sentenza che si impugna in questa sede presenta una motivazione sostanzialmente inesistente o comunque apparente e generica ‘.
4.2. Il motivo è manifestamente infondato.
È sufficiente una semplice lettura della sentenza impugnata per rilevare come la stessa esibisca una motivazione (condivisibile o meno ma comunque) effettiva sia dal punto di vista grafico che dal punto di vista contenutistico, in tal guisa integrando pienamente il requisito del cd. minimo costituzionale, solo violato il quale rileva il denunciato vizio di omessa od apparente motivazione (Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014).
Né, in particolare, dopo il par. 3 della motivazione della sentenza impugnata, l’espressione: ‘L a norma ha superato il vaglio di legittimità costituzionale, considerato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 142/20 ‘, inficia la comprensione logico -giuridica della motivazione, posto che, pur omessa l’esplicitazione della ‘norma’, l’inequivoco riferimento a C. Cost. n. 142 del 2020 rende evidente avere la CTR ritenuto l’applicazione dell’art. 28,
comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014, mandato esente da censure di illegittimità costituzionale giusta proprio la ridetta pronuncia della Corte costituzionale.
Secondo motivo: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 D.Lgs. 472/1997, art. 7 del D.L. 269/2003, art. 3 della legge 241/90 ed art. 7 della legge 212/2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. -error in iudicando’.
5.1. Quanto alle sanzioni, le ‘affermazioni , sono del tutto avulse, inconferenti e non pertinenti al motivo di ricorso, nel quale si deduceva l’errato calcolo, ovvero la non debenza delle sanzioni, che per effetto dell’estinzione della società, non sono trasmissibili agli eredi, per effetto dell’art. 8 del D.Lgs. 472/97 che dispone: ‘L’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi’, ma anche perché le stesse fanno carico esclusivamente alla persona giuridica ex art. 7 del D.L. 269/2003 ‘.
5.2. Il motivo è inammissibile.
La pretesa inconferenza delle affermazioni della CTR rispetto al ‘ricorso’ – che, per il contesto, si lascia identificare con il ricorso introduttivo del giudizio – è vacua, posto che la CTR è stata investita dell’atto d’appello dell’agente della riscossione e, pur qualificata la censura come omessa pronuncia per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., l’odierno ricorrente non allega e non riproduce le doglianze rassegnate in primo grado ed eventualmente riproposte nelle controdeduzioni in appello.
Sotto altro profilo, il ‘thema’ dell’intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi non coglie nel segno, donde comunque la manifesta infondatezza del motivo.
Proprio alla luce della già riportata premessa figurante in ricorso: ‘In data 18 dicembre 2019, veniva notificata a COGNOME Giuseppe (ricorrente), nella qualità di rappresentante legale, la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA intestata alla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione’, la cartella oggetto di giudizio, emessa ai sensi dell’art. 36 -bis DPR n. 600 del 1973, era intestata e riferita alla società: è stata bensì notificata all’odierno ricorrente, ma nella qualità (che egli medesimo ricorda) di ex liquidatore, ossia legale rappresentante, ai sensi dell’art. 28 D.Lgs. n. 175 del 2014. Ne consegue che le sanzioni irrogate con la cartella pertengono alla società e non all’odierno ricorrente come ex socio.
D’altronde, pur qualora, in via di mera ipotesi, così non fosse, ci si consente di rammentare che ‘l’estinzione della società di capitali, per la cancellazione dal registro delle imprese, integra un fenomeno successorio sui generis, connesso al regime di responsabilità dei soci per i debiti sociali, con la conseguenza che i soci succeduti rispondono anche per il pagamento delle sanzioni tributarie’ (Cass. n. 23341 del 2024).
Terzo motivo: ‘Nullità della sentenza per inammissibilità della chiamata in causa dell’Agenzia delle Entrate da parte dell’Agenzia Entrate Riscossioni per costituzione dopo 60 giorni con decadenza di proporre eccezioni processuali e chiamare terzi in causa -Violazione dell’art. 23 del D. Lgs. 546/92, degli artt. 1 e 3 -bis, della L. 53/94, in relazione all’art. 360, comma 1, n.4, c.p.c. error in procedendo’.
6.1. ‘La sentenza impugnata, con affermazione dal significato, incomprensibile, criptica, indecifrabile ed oscura, afferma al punto 3 (pag. 3), che: ‘3. -Va respinta l’eccezione d’inammissibilità della chiamata in causa dell’Agenzia delle entrate, in quanto irrilevante su tale chiamata in causa è la decadenza dalla proposizione di
eccezioni’. Dalla criptica affermazione, non è chiaro cosa sia ‘irrilevante’ rispetto alla ‘decadenza dalla proposizione di eccezione’, così come incomprensibile ed ultra petita è la riqualificazione, da parte del Collegio di Appello, delle controdeduzioni dell’Agenzia delle Entrate, con ‘sostanza di appello incidentale adesivo’, ed in quanto tale, del tutto avulsa, inconferente e non pertinente alla specifica eccezione del ricorrente, all’esito della costituzione in giudizio dell’Ader, in sede di memoria all’udienza del 16.11.2020 (pag.1), e con repliche all’udienza del 14.12.2020, al punto n. 1 (pag. 1), e ribadite in appello, al punto n. 3 (pag. 7 controdeduzioni) (pag.7), in cui si eccepiva la tardività della costituzione in giudizio dell’Ader, e della conseguente impossibilità di chiamata in causa di terzi, essendo incorso nelle preclusioni di cui all’art. 23, a cui rinvia l’art. 54 D.Lgs. 546/92. Infatti l’Agenzia Entrate Riscossioni, in sede di costituzione in giudizio in data 28.07.2020, mediante avvocato di libero foro, depositava anche chiamata in causa dell’Agenzia delle Entrate di Caserta, mentre i sessanta giorni per la costituzione tempestiva scadevano il giorno 05.07.2020, visto che l’attuale ricorrente si era costituito in giudizio in data 06.05.2020, tardiva pur a voler considerare la sospensione da Covid -19, con i termini che decorrevano a partire dal 12.05.2020, e con i 60 giorni che scadevano il 10.07.2020′.
6.2. Il motivo è infondato.
È ben vero che, ‘nel processo tributario, la violazione del termine previsto dall’art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992 per la costituzione in giudizio della parte resistente comporta esclusivamente la decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi, sicché permane il diritto dello stesso resistente di negare i fatti costitutivi dell’avversa pretesa, di contestare l’applicabilità delle norme di diritto invocate e di
produrre documenti ai sensi degli artt. 24 e 32 del detto decreto’ (Cass. n. 2585 del 2019).
Nondimeno, con riferimento all’art. 39 D.Lgs. n. 112 del 1999, si insegna che:
-‘il dovere del concessionario del servizio di riscossione, ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n. 112 del 1999, di chiamare in causa l’ente impositore nelle controversie che non riguardano solo la regolarità o la validità degli atti esecutivi, ha natura sostanziale di ‘litis denuntiatio’, avente lo scopo di mettere il terzo in condizione di intervenire, con la conseguenza che detta chiamata può essere effettuata con qualunque modalità, purché idonea a portare a conoscenza dell’ente l’esistenza della lite’ (Cass. n. 9250 del 2019);
-‘il dovere del concessionario del servizio di riscossione di chiamare in causa l’ente impositore nelle controversie che non riguardano solo la regolarità o la validità degli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n. 112 del 1999, ha natura di ‘litis denuntiatio’ sicché non è a tal fine necessaria alcuna autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria’ (Cass. n. 16685 del 2019);
-‘il giudicato formatosi tra il contribuente e l’agente della riscossione spiega in ogni caso effetti anche nei confronti dell’ente impositore, indipendentemente dalla ‘denunciatio litis’ all’Agenzia delle entrate, la cui partecipazione alla lite deve essere sollecitata dall’agente e rileva unicamente nel rapporto interno ex art. 39 del d.lgs. n. 112 del 1999′ (Cass. n. 14566 del 2021).
La ‘litis denuntiatio’ ‘non costituisce una ‘vocatio in jus” (Cass. n. 9113 del 2007).
Rammentasi, in aggiunta, altra recente pronuncia (Cass. n. 11607 del 2021), siccome intervenuta in un caso, affine a quello che presentemente ne occupa, di ‘chiamata in causa dell’ente
impositore, richiesta dall’agente della riscossione costituitosi tardivamente’. Più particolarmente, ricorrente in cassazione era l’agente della riscossione, che denunciava ‘la violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 101, 102, 106 cod. proc. civ., 10, 14 e 23 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, 39 d.lgs. 13 aprile 1999 n. 112, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.; secondo la ricorrente, la C.t.r., una volta rilevato che la sentenza di primo grado aveva ritenuto correttamente che fosse inammissibile la chiamata in causa dell’ente impositore, richiesta dall’agente della riscossione costituitosi tardivamente, in violazione dei termini di cui all’art. 23 d.lgs. n. 546/1992, avrebbe dovuto dichiarare la carenza di legittimazione passiva dell’Equitalia Sud S.p.A., dovendo il ricorso essere indirizzato esclusivamente nei confronti dell’Agenzia delle entrate’. La S.C. ritiene il motivo infondato, osservando, dopo una compiuta ricostruzione del quadro giurisprudenziale cui si rinvia, che:
se azione è svolta nei confronti del concessionario, questi, se non vuole rispondere dell’esito eventualmente sfavorevole della lite, deve chiamare in causa l’ente titolare del diritto di credito;
in ogni caso l’avere il contribuente individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio;
in tal senso, questa Corte si è pronunciata anche di recente, in un caso di impugnazione dell’avviso di mora (Cass. Sez. 6 -5, Ordinanza n. 3955 del 18/02/2020).
6.3. Conclusivamente, deve affermarsi che: l’art. 39 D.Lgs. n. 112 del 1999 prevede a carico del riscossore una mera ‘litis
denuntiatio’, che ha lo scopo di mettere l’ente impositore in condizione di intervenire nel processo, qualora non escluso o precluso, e rileva unicamente nel rapporto interno tra i due, ragion per cui, come può essere effettuata a semplice iniziativa del riscossore, senza necessità di alcuna autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria, con qualunque modalità, purché idonea a portare a conoscenza dell’ente l’esistenza della lite, così parimenti non soggiace al termine di cui all’art. 23 D.Lgs. n. 546/1992.
Quarto motivo (indicato in ricorso come 3.1): ‘Nullità della sentenza per inammissibilità della chiamata in causa dell’Agenzia delle Entrate da parte dell’Agenzia Entrate Riscossioni -Inesistenza della notifica della chiamata di terzi effettuata ai sensi degli artt. 1 e 3 -bis della L. 53/94, inapplicabile al processo tributario, da effettuarsi ai sensi dell’art. 16/bis D.Lgs. 546/92 -Violazione degli artt. 16/bis del D.Lgs. 546/92, degli artt. 1 e 3 -bis, della L. 53/94, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. -error in procedendo’.
7.1. ‘Si rilevava inoltre l’inesistenza della notifica tamquam non esset. (Cass. Sez. trib., Ord. 27 marzo 2019, n. 8560) , della chiamata in causa di terzi effettuata ai sensi dell’art. 1 e 3/bis della L.53/94 la quale prevede, all’art. 1, che l’avvocato possa effettuare in proprio, nell’ambito del PCT -Processo Civile telematico le ‘notificazione degli atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale’, con esclusione di quello tributario’.
Il motivo è infondato.
7.2. Segue le sorti del precedente, in relazione al quale s’è evidenziato che la ‘litis denuntiatio’ dell’art. 39 D.Lgs. n. 112 del
1999 può, in effetti, esser effettuata dal concessionario con qualunque modalità, purché idonea a portare a conoscenza dell’ente l’esistenza della lite.
Quinto motivo (indicato in ricorso come 4): ‘Nullità della sentenza per inammissibilità dell’appello proposto dall’Ader, con patrocinio di avvocato di libero foro senza prova dell’indisponibilità dell’Avvocatura dello Stato ad assumere il patrocinio e conseguente nullità attività processuale – Violazione dell’art. 11 del D.Lgs. 546/92 in relazione all’art. 360, comma 1, n.4, c.p.c. – error in procedendo’.
8.1. ‘l conferimento della procura a un difensore del libero foro, è inammissibile, in mancanza di una specifica e motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza ex art. 43, comma 4, R.d. 1611/33. Con l’art. 4 novies del decreto -legge 30 aprile 2019, n. 34, coordinato con la legge di conversione 28 giugno 2019, n. 58, il legislatore interpreta l’art. 1 comma 815 del Decreto legge 22/10/2016 n. 193 stabilendo che l’ufficio può avvalersi degli avvocati esterni, davanti al tribunale e giudice di pace , confermando nell’ultimo periodo che ‘per il patrocinio davanti alle commissioni tributarie continua ad applicarsi l’articolo 11, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546′, che impone la difesa tramite personale interno, da cui la deduzione interpretativa che va riferita soltanto ai giudizi diversi da quelli tributari. Ciò premesso, qualora si dovesse ammettere la possibilità da parte del concessionario di poter ricorrere agli avvocati del libero foro, sarà necessario che l’agenzia delle entrate riscossione richieda preventivamente l’assistenza dell’Avvocatura dello Stato, la quale si dichiari indisponibile, e sottoporre specifica e motivata delibera agli organi di vigilanza ex articolo 43, comma 4, Rd 1611/33, con la necessità di produrre in giudizio i documenti giustificativi di tale diversa valutazione. In mancanza degli adempimenti sopra riportati l’avvocato affidatario del mandato non
aveva lo ius postulandi ed è quindi nulla la relativa costituzione in giudizio ed inammissibile l’appello proposto, con impossibilità alla regolarizzazione della procura ex art. 182 c.p.c. applicabile nel processo tributario solo nei confronti delle parti che devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato, ed il difetto dello ius postulandi doveva essere rilevato d’ufficio dal Collegio di Appello . Di conseguenza si deve confermare l’eccepita inammissibilità dell’appello proposto dall’Ader, con patrocinio di avvocato di libero foro senza prova dell’indisponibilità dell’Avvocatura dello Stato ad assumere il patrocinio e conseguente nullità di tutta l’attività processuale svolta nel giudizio di appello’.
8.2. Il motivo è infondato.
Già in passato questa SRAGIONE_SOCIALE. aveva avuto modo di affermare che, ‘per la difesa e la rappresentanza in giudizio, l’Agenzia delle Entrate e della Riscossione, impregiudicata la generale facoltà di farsi rappresentare anche da propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, si avvale dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti dalla convenzione intervenuta con la stessa come ad essa riservati, potendo evitarla soltanto nelle ipotesi di conflitto oppure alle condizioni di cui art. 43, comma 4, r.d. n. 1611 del 1933 (cioè con apposita, motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza) oppure in caso di indisponibilità dell’Avvocatura erariale; quando, invece, la convenzione non riservi all’Avvocatura erariale la difesa e la rappresentanza in giudizio, non è richiesta l’adozione di apposita delibera o alcuna altra formalità per ricorrere al patrocinio a mezzo di avvocati del libero foro, da scegliere nel rispetto dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del comma 5 dell’art. 1 del d.l. n. 193 del 2016 e dei principi del codice dei contratti pubblici’ (Cass. n. 31241 del 2019).
In tempi assai prossimi, questa S.C. ha infine precisato che, ‘in tema di difesa e rappresentanza in giudizio, l’Agenzia delle Entrate
e l’Agenzia delle Entrate – Riscossione si avvalgono dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti dalle convenzioni con quest’ultima stipulate, fatte salve le ipotesi di conflitto, quali le condizioni di cui art. 43, comma 4, del R.d. n. 1611 del 1933 oppure l’indisponibilità dell’Avvocatura; ne consegue che non è richiesta l’adozione di apposita delibera o alcun’altra formalità per ricorrere al patrocinio a mezzo di avvocati del libero foro quando la convenzione non riserva all’Avvocatura erariale la difesa, come nel contenzioso tributario, per il quale la convenzione esime le predette Agenzie dal ricorso alla difesa erariale per i giudizi innanzi alle corti di giustizia tributaria, prevedendola espressamente, invece, per quello di legittimità, rispetto al quale, dunque, in difetto delle condizioni ricordate (conflitto, indisponibilità o apposita delibera) la procura conferita ad un legale del libero foro deve ritenersi affetta da invalidità, con conseguente inammissibilità del ricorso’ (Cass. n. 28199 del 2024).
Sesto motivo (indicato in ricorso come 5): ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2495, comma 2, artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. – error in iudicando’.
9.1. ‘Su tale motivo, questione di fondo di tutto il ricorso, la sentenza del tutto confusionaria, contraddittoria ed inconferente con gli atti di causa, al limite dell’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., non è pertinente con il motivo di ricorso in cui si deduceva il ‘difetto assoluto di legittimazione passiva della società ricorrente ed inesistenza dell’atto per estinzione della società cancellata dal registro delle imprese in data 05.04.2017′, e verteva sul cosiddetto fenomeno successorio che si verifica all’estinzione della soggetto giuridico con il quale si trasferiscono ai soci le obbligazioni sociali successivamente sorte, con la conseguente nullità degli atti intestati ad una società cancellata dal registro delle imprese, come accolto con ampia motivazione dalla decisione16 di primo grado, e del tutto omesso in sede di appello dalla sentenza impugnata, che
rileva anche ai fini dell’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. e dell’omessa carente motivazione, come dedotta al precedente motivo di ricorso per cassazione’. ‘In specie, dagli atti processuali, in cui sono depositati il piano di riparto, il bilancio finale ed il verbale assemblea a dei soci, risulta che non vi è stata alcuna distribuzione di attivo in sede di bilancio finale di liquidazione, fatti che assurgono a prova, ex art. 115 c.p.c., in quanto non contestati, sul quale il Giudice può fondare la sua decisione. In conclusione l’estinzione della società avvenuta in data 05.04.2017, ben due anni e mezzo, prima della notifica dell’atto impugnato, comporta sul piano processuale, la sua in -capacità a stare o essere convenuta in giudizio, con la conseguenza che qualsiasi atto impositivo ad essa intestato è del tutto inesistente ‘.
9.2. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato.
Come visto a proposito del secondo motivo, la cartella oggetto di giudizio – alla stregua di quanto riportato in ricorso – era intestata e riferita alla società ed è stata correttamente (in allora) notificata all’odierno ricorrente nella qualità di ex liquidatore ex art. 28 D.Lgs. n. 175 del 2014, tanto che in tale qualità egli l’ha altrettanto correttamente impugnata.
Ne consegue che il motivo è inammissibile laddove chiama l’art. 2495 cod. civ., che non viene in linea di conto, poiché il rapporto tributario dedotto in cartella e vertito in giudizio si riferisce alla società e non all’odierno ricorrente attinto come ex socio.
Esso è manifestamente infondato laddove si duole della mancata condivisione dell’eccezione di ‘difetto assoluto di legittimazione passiva della società ricorrente ed inesistenza dell’atto per estinzione della società cancellata dal registro delle imprese in data 05.04.2017’. In disparte che trattasi di eccezione che il motivo, paventando una violazione dell’art. 112 cod. proc.
civ., in difetto di autosufficienza, non allega e non dimostra essere stata riprodotta anche in appello, la società era destinataria della cartella e, per il tramite dell’odierno ricorrente, proprio in forza dei poteri straordinari eccezionalmente conservatigli dall’art. 28 D.Lgs. n. 175 del 2014, l’ha effettivamente impugnata, peraltro non contestandola nel merito.
Settimo motivo (indicato in ricorso come 6): ‘Condanna alle spese e risarcimento danni per lite temeraria’.
10.1. ‘Richiamata la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con l’ordinanza 13899 del 2013, si chiede espressamente la condanna dell’Ufficio al risarcimento del danno da lite temeraria ex art. 96. Nonché, con la cassazione della sentenza d’appello impugnata, la condanna alle spese di lite, anche del giudizio di appello, da liquidare ai difensori antistatari, come da parametri’.
10.2. Il motivo segue le sorti di tutti i precedenti, dal cui esito è evidentemente pregiudicato.
In definitiva, in riferimento alla posizione del COGNOME in proprio ed in qualità di ex socio della società, il ricorso va integralmente rigettato. Nuovamente, nulla è statuirsi sulle spese, per mancata costituzione delle agenzie fiscali. Sussistono i presupposti per il versamento del cd. doppio contributo unificato.
P.Q.M.
In riferimento alla posizione di COGNOME NOME in qualità di ex liquidatore di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, dichiara improcedibile il ricorso.
In riferimento alla posizione di COGNOME NOME in proprio ed in qualità di ex socio di RAGIONE_SOCIALE unipersonale in liquidazione, rigetta il ricorso, dando atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 14 febbraio 2025.