Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15274 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15274 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
Oggetto: società partecipata da società -ristretta base sociale -sussistenza -principio di diritto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4962/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., NOME COGNOME entrambi difesi congiuntamente e disgiuntamente dall’avv. NOME COGNOME dall’avv. NOME COGNOME dall’avv. NOME COGNOME dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME domiciliati in Roma presso la Cancelleria della Corte di cassazione e agli indirizzi pec:
;
-ricorrenti –
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, n. 4357/20/2023, depositata il 14.7.2023 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 27 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, n. 4357/20/2023, depositata il 14.7.2023 venivano riuniti e rigettati gli appelli principali e incidentali proposti dalla società RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME e da ll’Agenzia delle Entrate avverso le sentenze della Commissione tributaria provinciale di Benevento. Tali decisioni avevano rigettato sia il ricorso proposto dalla società avverso l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti per l’anno di imposta 2014 con cui venivano riprese ad imposizione maggiori II.DD. e IVA e irrogate le relative sanzioni, sia i ricorsi proposti dalla società e da NOME COGNOME avverso l’avviso di accertamento emesso per maggiore IRPEF e per mancato pagamento di ritenuta d’acconto in relazione agli utili asseritamente distribuiti dalla società al socio. L’avviso nei confronti della società traeva origine dal processo verbale di constatazione redatto nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE società dedita all’attività di commercio all’ingrosso di gomma greggia e plastiche. Emergeva il ruolo della RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE quale broker di secondo livello, nelle compravendite di materie plastiche da operatori nazionali ed esteri, costituita allo scopo di vendere la merce sottocosto ed omettendo di versare l’IVA e, tra i cessionari, figurava la società contribuente. Previa interlocuzione a mezzo questionario e sulla base delle risultanze del p.v.c., l’Ufficio disconosceva il costo relativo
all’operazione ritenuta inesistente. In conseguenza del primo atto impositivo, con il secondo avviso veniva contestata la mancata effettuazione di ritenute alla fonte, nonché per la mancata presentazione del modello 770 ordinario, con liquidazione della maggiore imposta di riferimento.
Il giudice di secondo grado, riuniti gli appelli delle parti, rigettava innanzitutto quello incidentale proposto dall’Agenzia con cui veniva chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado proposto dalla società perché indirizzato avverso l’invito al contraddittorio e l’avviso di accertamento recante la ripresa IRPEF. Rigettava, inoltre, gli appelli principali dei contribuenti affermando la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della presunzione di distribuzione utili e per difetto di motivazione.
Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per Cassazione i contribuenti con due distinti ricorsi deducendo la società quattro motivi e il socio tre motivi; il secondo motivo è a sua volta scomposto in tre sub-motivi. Replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso. A seguito di rinuncia al mandato da parte dell’originario difensore dei contribuenti, si sono costituiti i difensori riportati in epigrafe. Da ultimo, la difesa della società contribuente deposita memoria illustrativa ex art.380-bis.1. cod. proc. civ. e ulteriore nota del 25 marzo 2025 con indicazione del numero di iscrizione a ruolo del giudizio per revocazione pendente avverso la sentenza d’appello .
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via pregiudiziale, il Collegio prende atto della nota di deposito del 17.3.2025 in cui la difesa della società ricorrente ha chiesto il rinvio a nuovo ruolo della controversia in quanto, nelle more dell’impugnazione in Cassazione, la contribuente ha proposto ricorso per revocazione straordinaria ex artt.395 n.3 cod. proc. civ. e 64 d.lgs. n.546/1992 nei confronti della sentenza CGT2 Campania n.4357/20/2023, attualmente pendente avanti alla CGT di secondo grado.
Il Collegio osserva che, nel diritto tributario, la materia della revocazione è disciplinata essenzialmente dal d.lgs. 31.12.1992, n. 546, il quale all’art. 64, rubricato “Sentenze revocabili e motivi di revocazione” il cui primo comma è stato sostituito dall’art. 9 comma 1 lett. cc ) del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 10 gennaio 2016, per effetto dell’art. 12 comma 1 del citato d.lgs. n. 156 del 2015 e, dalla data indicata, prevede ora: «1. Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado dalle commissioni tributarie possono essere impugnate ai sensi dell’articolo 395 del codice di procedura civile».
2.1. La revocazione straordinaria avverso le sentenze delle Commissioni Tributarie è regolata dall’art. 64 del d.lgs. 31.12.1992 n. 546 ai commi 2 e 3 il quale dispone: «2. Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello possono essere impugnate per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile purché la scoperta del dolo o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di cui al numero 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile siano posteriori alla scadenza del termine suddetto. 3. Se i fatti menzionati nel comma precedente avvengono durante il termine per l’appello il termine stesso è prorogato dal giorno dell’avvenimento in modo da raggiungere i sessanta giorni da esso.».
Questa formulazione non è stata interessata dalla riforma del comma 1 di detto art. 64 – disposta dall’art. 9, comma 1, lett. cc ), d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016 – e, a sua volta, riproduce nel processo tributario esattamente quanto previsto dal codice di rito ordinario nei due commi dell’art. 396 cod. proc. civ., a conferma della perfetta simmetria sul punto dei due sistemi processuali.
Infatti, la disciplina della revocazione dettata dal codice di rito prevede, per i “Casi di revocazione” all’art. 395 cod. proc. civ., che: «Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono
essere impugnate per revocazione: 1. se sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra; 2. se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza; 3. se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario; 4. se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare; 5. se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione; 6. se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato».
2.2. Orbene, a sostegno dell’impugnazione ex artt. 395, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. e 64 d.lgs. n. 546 del 1992, la società ha dedotto davanti al giudice d’appello di aver scoperto, dopo la scadenza del termine per proporre ricorso per Cassazione della sentenza revocanda, nuovi documenti emergenti da un parallelo processo penale e idonei a dimostrare la fondatezza delle proprie difese.
Pertanto, nel caso di specie, poiché era scaduto il termine per la proposizione del ricorso per Cassazione allorquando a gennaio 2025 è emerso il recupero dei documenti ritenuti decisivi dalla parte, con conseguente proposizione del ricorso per revocazione avanti al giudice d’appello, si verte in un’ipotesi di revocazione straordinaria e non ordinaria.
Sussiste una pregiudizialità non tecnica bensì meramente logica tra i due processi, pendenti in due gradi di giudizio diversi, perché se il
ricorso per revocazione fosse accolto dal giudice del merito, la pronuncia sarebbe suscettibile di incidere sulla sentenza oggetto del presente ricorso per Cassazione e, dunque, sull’esito del presente giudizio.
Tuttavia, l’art. 398, comma 4, cod. proc. civ. sancisce la tendenziale non interferenza tra giudizio di revocazione in sede di merito e processo per Cassazione, principio temperato dalla previsione che il solo giudice davanti a cui è proposta la revocazione, su istanza di parte, possa sospendere o il ricorso per Cassazione o il procedimento relativo, entro un limite temporale preciso, costituito dalla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione, e sempre che ritenga non manifestamente infondata la revocazione proposta (cfr. Cass. n.21169 del 2022, Cass. Sez. U. 9776 del 2020, Cass. n.15926 del 2024).
La previsione del codice ordinario di rito è applicabile, a norma dell’art. 1 del d.lgs. n. 546 del 1992, il quale al comma 2 detta: «I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile.».
Orbene, il ricorso per revocazione allegato alla memoria, non fa neppure menzione di aver indirizzato la richiesta alla CGT2, giudice della revocazione, di sospendere il processo di Cassazione pendente avverso la sentenza revocanda. Pertanto, la richiesta di rinvio a nuovo ruolo è priva di giustificazione e non può essere accolta dovendo provvedersi ad esaminare le censure.
Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., viene dedotta l’i llegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto la doglianza di nullità dell’avviso di accertamento ai fini IRES, IRAP ed IVA – e di conseguenza, del correlato avviso di accertamento ai fini delle ritenute/IR-
PEF – per illegittima duplicazione della azione accertativa. La sentenza sarebbe in parte qua viziata per violazione e falsa applicazione degli artt. 40, primo comma, 41-bis, e 43, terzo comma, d.P.R. n. 600, citato, e degli artt. 54, quinto comma, e 57, quarto comma, d.P.R. n. 633, citato, in ragione della notifica, avvenuta nel corso del 2018 e, dunque, anteriormente alla data di notifica dell’avviso di accertamento avvenuta nel 2019, del primo avviso di accertamento ai fini IRES, IRAP e IVA, a mezzo del quale è stata contestata, per il medesimo periodo d’imposta 2014 l’indeducibilità di taluni costi sostenuti dalla società, e l’indetraibilità della relativa IVA, per carenza di documentazione probatoria, nonché la violazione delle norme sulla tenuta della contabilità che, quindi, sarebbe stata necessariamente esaminata nel suo complesso.
4. Il motivo è inammissibile.
4.1. L’avviso di accertamento parziale ex artt. 41 bis, d.P.R. n. 600 del 1973, e 54, comma 5, d.P.R. n. 633 del 1972, non impedisce all’Ufficio di procedere ad un ulteriore accertamento, per il medesimo periodo di imposta, nei termini di decadenza previsti dalla legge, purché questo sia fondato su fonti diverse da quelle poste a base del primo o comunque su dati la cui conoscenza, da parte dell’ente impositore, sia ad esso sopravvenuta, non già in applicazione degli artt. 43, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973, e 57, comma 4, d.P.R. n. 633 del 1972, in tema di accertamento integrativo, stante la non sovrapponibilità dei due istituti, ma in applicazione del generale principio della tendenziale unicità degli accertamenti, di cui gli strumenti previsti da queste due disposizioni costituiscono deroga, altrimenti pregiudicandosi il diritto del contribuente ad una difesa unitaria e complessiva che tale principio garantisce (cfr. Cass. 27788 del 2020).
La sentenza di primo grado, riportata nel corpo della decisione impugnata, ha qualificato l’avviso del 2019 come integrativo e lo ha ritenuto pienamente legittimo, in quanto il P.V.C. del Nucleo Anti-
frode della G.D.F. a carico della RAGIONE_SOCIALE realizza pienamente quella sopravvenuta conoscenza, rispetto all’avviso del 2018, di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle entrate richiesta dagli artt. 43 comma 3 del d.P.R. n. 600/73 e 57 comma 4 d.P.R. n. 633/72 per la sua emissione. Ha anche espressamente escluso che in sede di precedente avviso l’Agenzia avesse già controllato tutti gli elementi relativi a quella fattura e al relativo pagamento, chiarendo che, in sede di accertamento con adesione (risultano due verbali) a seguito di questionario il difensore ha esibito ulteriore documentazione contabile e fiscale relativa alle operazioni tra le due società, sia in acquisto che in vendita.
A sua volta, il giudice d’appello ha stabilito che « L’ avviso di accertamento è stato emesso su segnalazione dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale Lazio, a conclusione una verifica fiscale nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ( … ) all’esito della quale era emerso che la società verificata, per gli anni d’imposta 2013 e 2014, si era resa responsabile dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti in quanto aveva ricoperto, nell’ambito di frode all’I.V.A. intracomunitaria, il ruolo di buffer e cross invoicer. La RAGIONE_SOCIALE è risultata, di fatto, fornitore e cliente della RAGIONE_SOCIALE e, in ragione di ciò, l’Ufficio, ai sensi dell’art. 41-bis D.p.r. 600/73 (avviso d’accertamento parziale) ha recuperato a tassazione una maggiore IVA (…) Il successivo avviso di accertamento (…) , trae invece origine dalla nota del 22.03.2019 dei funzionari dell’antifrode della Divisione Contribuenti contenente il Pvc elevato nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE Dal documento emergeva il ruolo della RAGIONE_SOCIALE quale broker di secondo livello, nelle compravendite di materie plastiche da operatori nazionali ed esteri, costituita al precipuo scopo di vendere la merce sottocosto omettendo di versare l’I VA. (…) Contrariamente a quanto assunto dalla parte appellante, l’avviso di accertamento non ha natura di accertamento integrativo del precedente avviso di accertamento . Trattasi, infatti, di avvisi di accertamento parziali, emessi ex
articolo 41-bis d.P.R. n. 600 del 1973, a seguito di due diverse segnalazioni».
Dunque, il giudice attraverso una motivazione logica ha innanzitutto qualificato i due avvisi come parziali e non integrativi, salvo poi aggiungere: «Del resto, anche a voler qualificare l’Avviso d’accertamento n. TFM030402192-2019 quale avviso di accertamento integrativo, nelle motivazioni dell’avviso di accertamento è bene evidenziato che il primo avviso di accertamento relativo al 2014 è stato notificato in data 09.10.2018 sulla scorta di precedente segnalazione e che solo in data 22.03.2019, invece, perveniva all’Ufficio di Benevento il verbale redatto dai funzionari dell’antifrode nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE che ha legittimato l’adozione del secondo avviso di accertamento emesso ex art. 41-bis. Dunque è solo a partire da tale data, o, al più, da quella di redazione del PVC, che gli elementi in esso riscontrati sono diventati conoscibili all’ente impositore e dunque rappresentano i fatti nuovi che consentono, a norma dell’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, di integrare l’avviso di accertamento già notificato.». I ricorrenti non impugnano specificamente tali accertamenti fattuali, limitandosi a riproporre argomentazioni di merito già vagliate e disattese dal giudice.
La censura è perciò inammissibile, come eccepito in controricorso, perché chiede la rivalutazione di questioni di fatto circa la portata dell’avviso del 2019 e della sua qualificazione che esulano dalla sindacabilità in sede di legittimità nei termini proposti, avendo il giudice esaustivamente e logicamente motivato innanzitutto circa la legittimità dell’accertamento parziale, adottato dall’Amministrazione senza violazione del principio di unicità dell’accertamento poiché originato da segnalazione distinta da quella che ha originato l’avviso del 2018. Inoltre, il giudice motiva logicamente anche con riferimento alla qualificazione alternativa di legittimo accertamento integrativo e, sotto il profilo, ha svolto una motivazione doppia conforme rispetto a quella del giudice di primo grado.
Con il secondo motivo i ricorrenti, in relazione all’art.360, primo comma, nn.3 e 4, cod. proc. civ., prospettano l’illegittimità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento ai fini IRES, IRAP e IVA – e di conseguenza, del correlato avviso di accertamento ai fini delle ritenute/IRPEF – ritenendo insussistenti i presupposti per la deduzione del costo e l’indetraibilità dell’IVA, in ragione della affermata oggettiva inesistenza dell’operazione di compravendita in giudizio e del mancato assolvimento dell’onere della prova. I ricorrenti scompongono il mezzo di impugnazione in tre sub-motivi:
5.1. Il giudice d’appello avrebbe omesso di rilevare il giudicato interno formatosi, per effetto della cd. acquiescenza impropria, sul capo di sentenza in cui il giudice di prime cure, avendo, seppur erroneamente, qualificato l’operazione di acquisto di materiale plastico da RAGIONE_SOCIALE come soggettivamente esistente, ne hanno riconosciuto la concreta effettuazione, in violazione del combinato disposto degli artt. 112 e 324, cod. proc. civ. e in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.;
5.2. Il giudice d’appello avrebbe erroneamente imputato in capo alla società l’onere di provare la sussistenza dei presupposti per dedurre il costo sostenuto per l’acquisto di materiale plastico da RAGIONE_SOCIALE e per detrarre la relativa IVA, in violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, cod. civ., 7, comma 5-bis, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Per effetto della erronea qualificazione dell’operazione in giudizio come oggettivamente inesistente, il giudice del gravame avrebbe reso una sentenza non conforme a diritto anche in ragione dell’errata individuazione del soggetto in capo al quale grava l’onere della prova;
5.3. Il giudice d’appello avrebbe erroneamente ritenuto idonei gli elementi (indiziari) adotti dall’Agenzia a supporto della ripresa fiscale e, specularmente, avrebbe erroneamente ritenuto insufficienti gli
elementi addotti dalla società a supporto della deduzione del costo/detrazione dell’IVA , in violazione e falsa applicazione degli artt. 109, quinto comma, d.P.R. n. 917, citato, 19, primo comma, e 21, secondo comma, d.P.R. n. 633, citato, e 5, d.lgs. n. 446, citato, art. 1, terzo comma, primo periodo, d.P.R. 14 agosto 1996, n. 472, e 2729, primo comma, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
6. Il motivo è inammissibile.
6.1. Innanzitutto, quanto alla tecnica di formulazione, va reiterato che per costante interpretazione giurisprudenziale (già Cass. 22 settembre 2014 n. 19959) il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito. La macro-censura in disamina compendia profili di doglianza tra loro eterogenei, anche sotto l’angolo di differenti paradigmi processuali dell’art.360, primo comma, cod. proc. civ.
6.2. Inoltre, all’evidenza non sussiste alcun giudicato interno con riferimento alla qualificazione delle operazioni rilevanti, operata dal giudice di prime cure e, all’interno di questa, tanto meno del segmento dell’effettiva realizzazione dell’operazione in questione, poiché il pertinente motivo di appello dell’Agenzia ha investito interamente la ripresa per deduzione del costo e detraibilità dell’IVA in relazione alle contestate operazioni economiche di compravendita.
Di conseguenza, l’appello devolutivo ha dato al giudice di secondo grado -in applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato -il potere di qualificare l’operazione da cui dipende la ripresa, operata nel senso di oggettivamente inesistente, con conseguente applicazione di diverso canone di riparto della prova anche con riferimento alla dimostrazione dell’esistenza o meno della singola operazione contestata.
6.3. Quanto poi al riparto dell’onere della prova, la difesa dei ricorrenti non tiene conto della consolidata giurisprudenza della Corte (Cass. Sez. 5, ordinanza n. 17619 del 05/07/2018; conforme, Cass. Sez. 5, ordinanza n. 27554 del 30/10/2018) secondo cui, in tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Tuttavia, tale onere non può ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. Parallelamente, quanto alla ripresa per imposte dirette, si veda anche Cass. Sez. 5, Sentenza n.7896 del 20/04/2016. La sentenza impugnata si è attenuta a tale insegnamento.
6.4. Infine, con riferimento alla valutazione degli elementi indiziari raccolti nel processo e pesati dal giudice nel senso dell’idoneità alla dimostrazione dell’oggettiva inesistenza delle operazioni sul versante dell’Agenzia e, in risulta, della inadeguatezza della prova liberatoria da parte contribuente, va riaffermato anche in questa sede che con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito (cfr. Cass. 7 aprile 2017
n. 9097). L’accertamento è stato tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Inoltre, nella parte in cui la sotto-censura prospetta la violazione di legge, non si tiene conto del principio di diritto condiviso (cfr. ad es. Cass. 30 dicembre 2015 n. 26110) in tema di ricorso per cassazione, secondo il quale il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa. I ricorrenti, viceversa, allegano un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, e tale operazione inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione, nei limiti in cui è consentito, e ciò non è stato neppure articolato.
Con il terzo motivo i ricorrenti, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., prospettano l’i llegittimità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento ai fini delle ritenute/IRPEF, ritenendo sussistente in capo alla società l’obbligo di effettuazione delle ritenute sulla quota del maggior reddito accertato con l’avviso di accertamento IRES, IRAP ed IVA, imputato per trasparenza al socio detentore di partecipazioni non qualificate, in violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5, 67, primo comma, lett. c-bis), d.P.R. n. 917, citato, 27, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 53 Cost..
8. Il motivo è infondato.
8.1. I ricorrenti censurano la statuizione del giudice che ha ritenuto la IMB ‘società a ristretta base sociale’, innanzitutto sotto il profilo soggettivo, poiché la compagine sociale non è direttamente composta da un numero ristretto di persone fisiche. Sotto un secondo profilo, oggettivo, contestano l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili in quanto l’avviso non recherebbe alcun accertamento di utili extra-bilancio, ma la sola contestazione dei presupposti per dedurre a fini fiscali i costi la cui contabilizzazione è incontestata.
9. Quanto al primo profilo il Collegio, in diritto, rammenta innanzitutto che per giurisprudenza consolidata della Corte (v. Cass. Sez. 5, ordinanza n. 4861 del 23/02/2024; conforme a Sez. 5, sentenza n. 13338 del 10/06/2009) la presunzione di riparto degli utili extrabilancio tra i soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa non è neutralizzata dallo schermo della personalità giuridica, ma estende la sua efficacia a tutti i gradi di organizzazione societaria per i quali si riscontri la ristrettezza della compagine sociale, operando il principio generale del divieto dell’abuso del diritto, che trova fondamento nei principi costituzionali di capacità contributiva e di eguaglianza, nonché nella tendenza all’oggettivazione del diritto commerciale ed all’attribuzione di rilevanza giuridica all’impresa, indipendentemente dalla forma giuridica assunta dal suo titolare.
Perciò, è stato anche più volte affermato dalla giurisprudenza (cfr. Cass. Sez. 6-5, ordinanza n. 1947 del 24/01/2019, conforme a Cass. Sez. 5, sentenza n. 15824 del 29/07/2016), che nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza
dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria.
9.1. L’operatività della presunzione investe dunque la società di capitali, sul presupposto che la ristretta base partecipativa consenta un controllo effettivo dei soci nella gestione sociale, mentre non conta la modalità di accertamento (ragionando da Cass. 20/12/2018, n. 32959), e l’imputazione ai soci del maggior reddito accertato in capo alla società prescinde dall’eventuale natura adesiva dell’accertamento nei confronti dell’ente.
Per escludere l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, conseguiti e non dichiarati da una società a ristretta base partecipativa, non è sufficiente che il socio si limiti ad allegare genericamente la mancanza di prova di un valido e definitivo accertamento nei confronti della società, ma deve contestare lo stesso effettivo conseguimento, da parte della società, di tali utili (Cass. Sez. 5, ordinanza n. 33976 del 19/12/2019).
9.2. In questo schema, non fa differenza il fatto che partecipe della società di capitali sia una persona fisica o una società, e che quest’ultima sia società di persone o società di capitali. Non è condivisibile la difesa della ricorrente secondo cui i soci-persone fisiche indicati dal provvedimento impugnato e dalla sentenza di merito sarebbero, meri soci ‘di secondo livello’, per i quali non sarebbe configurabile alcun vincolo di solidarietà.
Il fatto che tali persone fisiche non siano direttamente socie della IMB, bensì delle società che costituiscono la compagine sociale di quest’ultima , è un profilo meramente formale ai fini della valutazione della ristretta base azionaria (ragionando da Cass., Sez. 5. n. 13338 del 2009; v. anche Cass. n.20840/2023) e, dunque, della operatività
della presunzione connessa. Infatti, la valutazione va condotta secondo criteri sostanziali e non meramente formali, poiché ciò che conta è la sostanza del fenomeno economico sottostante alle forme giuridiche e, dunque, stabilire se tali società, siano indifferentemente di persone o di capitali, sono o meno un mero schermo rispetto alle persone fisiche, valido civilisticamente ma non opponibile al fisco.
9.3. Il profilo dirimente è se il ristretto numero di partecipi consenta un effettivo controllo della società a ristretta base sociale e nessun dubbio sussiste nel caso di specie, in cui la sentenza impugnata ha accertato che la compagine sociale della IMB si compone di appena due società, la società di persone RAGIONE_SOCIALE per il 50,50% delle quote e la società di capitali RAGIONE_SOCIALE per il restante 49,50%; quest’ultima è a sua volta partecipata dalla COGNOME per il 95,76% e, per il resto, da membri della famiglia COGNOME a conferma che il controllo dell’attività sociale della società ricorrente si concentra in pochissime mani.
Destituito di fondamento è del pari il secondo profilo di censura, con cui erroneamente si afferma che la presunzione applicata dall’Amministrazione finanziaria sarebbe invocabile solo per gli utili extrabilancio, mentre nel caso di specie l’operazione economica in questione risulterebbe dalle scritture contabili e, perciò, il maggior reddito non sarebbe espressivo di una disponibilità finanziaria occulta.
In disparte dal fatto che le scritture di bilancio in questione non sono neppure riprodotte in ricorso ai fini della dimostrazione della decisività della questione, è in diritto che la tesi di parte ricorrente non convince.
Su di un piano logico, un costo non adeguatamente documentato dalla società e, per tale ragione, disconosciuto dall’Amministrazione finanziaria, è un componente negativo di reddito che non è stato sostenuto dalla contribuente. Come tale, costituisce una maggiore
disponibilità di risorse a disposizione della società a ristretta base sociale, manifestazione di capacità contributiva ai fini dell’art.53 Cost. per cui opera la presunzione di distribuzione anche in tale caso.
In altri termini, la presunzione di distribuzione degli utili nella società a ristretta base sociale non opera solo per le componenti positive di reddito accertate, ma anche per le componenti negative disconosciute. Ne discende, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, che ai fini della presunzione di attribuzione ai soci la nozione di ‘ utili extracontabili ‘ comprende non solo maggiori componenti positivi di reddito accertati, ma anche il disconoscimento di componenti negativi, che fa emergere la presenza di maggiori risorse non dichiarate e che vanno considerate distribuite tra i soci e assoggettate a tassazione, ferma restando la possibilità per i soci di fornire prova contraria rispetto alla pretesa erariale.
Dev’essere così affermato il seguente principio di diritto:
« In materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, la presunzione di attribuzione ai soci di maggiori utili opera anche nel caso in cui la compagine sociale si componga esclusivamente di società, sia di persone sia di capitali, senza che ciò si ponga in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, allorquando il fatto noto è dato dalla ristrettezza dell’assetto societario che implica un reciproco controllo dei soci nella gestione sociale con conseguente vincolo di solidarietà. (Nella specie, società di capitali partecipata da due società, una RAGIONE_SOCIALE per il 50,50% delle quote e una RAGIONE_SOCIALE per il restante 49,50%, quest’u ltima a sua volta partecipata dalla prima per il 95,76% e, per il resto, a membri della medesima famiglia) » .
Pertanto, correttamente il giudice ha ritenuto che la presenza di società, anche di persone, a comporre la base sociale non è un impe-
dimento alla presunzione di distribuzione di maggiori utili e, altrettanto logicamente, il costo disconosciuto in capo alla società è stato assoggettato a imposizione come per legge, dal momento che non è stata allegata e fornita la prova della mancata distribuzione tra i soci dell’utile corrispondente.
11. Con un quarto motivo la sola società contribuente, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., lamenta l’i llegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice d’appello ha ritenuto corretto imputare ai soci il maggior reddito accertato in capo alla Società al lordo delle imposte accertate in capo a quest’ultima, in violazione e falsa applicazione degli artt. 2425, cod. civ., 27, primo comma, d.P.R. n. 600, citato, 67, primo comma, lett. c-bis), 163, d.P.R. n. 917, 67, primo comma, d.P.R. n. 600, citato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ..
12. La censura non può trovare ingresso.
La sentenza impugnata ha stabilito che, contrariamente a quanto assunto dalla società contribuente, la quota attribuita al socio non può essere valutata al netto delle imposte gravanti sulla società poiché non è ipotizzabile al riguardo alcun pagamento di imposte, trattandosi di utili extragestionali. Il ragionamento seguito è immune dal vizio censurato poiché, su di un piano logico, la quota attribuita al socio non può essere valutata al netto delle imposte gravanti sulla società, dal momento che sui maggiori utili in questione, prima non dichiarati, non risulta essere stata pagata alcuna imposta.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccom-
13 . In ultima analisi, il ricorso dev’essere rigettato. benza.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di lite, liquidate in euro 2.400 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27.3.2025