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Società a ristretta base: utili presunti ai soci

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 6745/2025, ha ribadito che in una società a ristretta base gli utili non dichiarati si presumono distribuiti ai soci. La Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva erroneamente addossato all’Agenzia delle Entrate l’onere di provare un vincolo di complicità tra i soci. Spetta invece al singolo socio fornire la prova contraria, dimostrando la propria totale estraneità alla gestione societaria o il reinvestimento degli utili.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società a ristretta base: la Cassazione conferma la presunzione di distribuzione degli utili ai soci

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale per tutti i soci di una società a ristretta base partecipativa: in presenza di utili non dichiarati, si presume che questi siano stati distribuiti tra i soci. Questa decisione chiarisce che l’onere di provare il contrario spetta al contribuente e non all’Amministrazione Finanziaria, un aspetto cruciale per la difesa in caso di accertamento fiscale.

I fatti del caso: dall’accertamento fiscale al ricorso in Cassazione

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a un contribuente per un maggior reddito IRPEF relativo all’anno 2012. L’Amministrazione Finanziaria aveva rilevato l’esistenza di utili occulti in capo a una S.r.l., qualificata come società a ristretta base partecipativa, di cui il contribuente era socio. Sebbene la società fosse formalmente composta da quattro soggetti, le indagini avevano rivelato che la gestione era di fatto paritaria tra il contribuente e un altro socio.

Il contribuente ha impugnato l’atto, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado. I giudici di merito avevano respinto le pretese del Fisco, sostenendo che l’Amministrazione non avesse adeguatamente dimostrato l’esistenza di un “vincolo” o di una “complicità” tra i soci finalizzata alla distribuzione dei ricavi “in nero”. In sostanza, avevano invertito l’onere della prova, richiedendo al Fisco di dimostrare ciò che la giurisprudenza consolidata considera presunto.

La presunzione di distribuzione degli utili nella società a ristretta base

Il fulcro della questione risiede nel consolidato orientamento della Cassazione. Per le società di capitali con un numero esiguo di soci, dove esiste un forte legame personale e fiduciario, si applica una presunzione semplice: gli utili extracontabili accertati si considerano distribuiti ai soci in proporzione alle loro quote di partecipazione. Questo principio si fonda sulla logica che, in un contesto così ristretto, è improbabile che gli amministratori possano occultare utili all’insaputa degli altri soci.

L’errore dei giudici di merito

La Corte di Cassazione ha evidenziato come la Commissione Tributaria Regionale abbia commesso un duplice errore. In primo luogo, ha fornito una motivazione carente, limitandosi ad affermare che le prove fornite dall’Agenzia erano insufficienti. In secondo luogo, e più gravemente, ha preteso che l’Agenzia dimostrasse l’esistenza di un accordo tra i soci per la spartizione dei fondi, un onere probatorio non richiesto dalla legge in questi casi. La presunzione opera proprio per sollevare l’Amministrazione da questa difficile prova.

La decisione della Corte di Cassazione e l’onere della prova

Accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, la Suprema Corte ha cassato la sentenza d’appello e rinviato la causa a un’altra sezione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado. La Corte ha ribadito che la presunzione di distribuzione degli utili è legittima e spetta al socio fornire la prova contraria per superarla.

Come può difendersi il socio?

Il socio raggiunto da un accertamento di questo tipo ha due principali vie di difesa:

1. Dimostrare il reinvestimento degli utili: Provare che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti ma accantonati a riserva o reinvestiti nell’attività aziendale.
2. Provare la propria estraneità alla gestione: Fornire una prova “precisa e rigorosa” di essere un socio meramente formale, un semplice intestatario di quote senza alcun ruolo concreto nella gestione e nel controllo della vita societaria.

In entrambi i casi, la prova deve essere solida e convincente, non potendosi basare su argomentazioni generiche.

le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando il proprio consolidato orientamento giurisprudenziale. Ha specificato che, una volta accertata l’esistenza di utili extracontabili in una società a ristretta base, scatta automaticamente la presunzione della loro attribuzione pro-quota ai soci. Qualsiasi interpretazione contraria, che addossi all’Erario l’onere di provare un “vincolo” o una “colleganza” finalizzata alla distribuzione, è errata. La sentenza impugnata è stata quindi considerata viziata per violazione di legge e per carenza di motivazione, poiché non ha fatto corretta applicazione di tale principio e si è limitata a definire irrilevanti le argomentazioni del Fisco, senza analizzare adeguatamente il quadro probatorio nel suo complesso.

le conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un importante monito per i soci di S.r.l. a compagine sociale ristretta. La qualifica di socio, anche se non accompagnata da cariche formali di amministratore, comporta il rischio di vedersi attribuire redditi non dichiarati dalla società. Per evitare conseguenze fiscali negative, è fondamentale che il socio, qualora estraneo alla gestione, sia in grado di dimostrare con prove concrete e inequivocabili la sua posizione di mero investitore. Non è sufficiente contestare l’accertamento del Fisco; è necessario fornire attivamente la prova contraria per vincere la presunzione legale.

In una società a ristretta base, a chi spetta dimostrare che gli utili non dichiarati non sono stati distribuiti ai soci?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova spetta al contribuente/socio. Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha accertato l’esistenza di utili extracontabili, si presume che questi siano stati distribuiti. È il socio a dover fornire la prova contraria.

Cosa deve provare un socio per evitare l’attribuzione di utili extracontabili?
Il socio deve fornire una prova “precisa e rigorosa” di una delle due seguenti circostanze: 1) che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti dalla società e non distribuiti; 2) la sua totale estraneità alla gestione e alla vita della società, dimostrando di essere stato un mero intestatario formale delle quote.

È sufficiente che una società abbia formalmente più soci per non essere considerata “a ristretta base” ai fini di questa presunzione?
No. Nel caso di specie, la società aveva quattro soci, ma la gestione era di fatto concentrata nelle mani di due di essi. La valutazione non è puramente numerica, ma sostanziale, basandosi sul controllo effettivo e sui legami tra i soci, che consentono di presumere una reciproca sorveglianza sulla gestione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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