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Società a ristretta base sociale: utili ai soci?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16035/2025, ha stabilito che la presunzione di distribuzione degli utili ai soci in una società a ristretta base sociale si applica anche quando la compagine sociale è composta da altre società e non direttamente da persone fisiche. La Corte ha chiarito che ciò che rileva è la sostanza economica e il controllo effettivo concentrato in poche mani, indipendentemente dagli schermi societari. Inoltre, ha confermato che anche i maggiori redditi derivanti da costi disconosciuti sono considerati utili extracontabili e, quindi, presuntivamente distribuiti ai soci.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società a ristretta base sociale: la presunzione di distribuzione utili vale anche con soci-società?

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata su un tema cruciale per il diritto tributario: l’applicazione della presunzione di distribuzione degli utili in una società a ristretta base sociale. La decisione chiarisce che tale presunzione opera anche quando la compagine sociale non è composta da persone fisiche, ma da altre società, se queste ultime fungono da mero schermo per un controllo riconducibile a un nucleo ristretto di individui. L’ordinanza analizza il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, un caposaldo nella lotta all’elusione fiscale.

I fatti del caso

Una società di capitali operante nel settore industriale riceveva un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava, per l’anno d’imposta 2015, la deducibilità di alcuni costi e la detraibilità della relativa IVA. Secondo l’Amministrazione finanziaria, tali costi non erano adeguatamente documentati. Di conseguenza, il Fisco non solo recuperava a tassazione IRES, IRAP e IVA in capo alla società, ma, qualificandola come società a ristretta base sociale, presumeva che i maggiori utili derivanti dai costi disconosciuti fossero stati distribuiti ai soci “di secondo livello”, ovvero alle persone fisiche che controllavano le società socie.

I contribuenti (la società e i soci finali) impugnavano gli atti, sostenendo che la presunzione non potesse operare in quanto i soci diretti della società accertata erano altre due società, una di persone (S.a.s.) e una di capitali (S.r.l.). A loro avviso, la presenza di schermi societari interrompeva quel vincolo di solidarietà e controllo diretto tra soci che giustifica la presunzione. I giudici di primo e secondo grado respingevano tale tesi, confermando la legittimità degli accertamenti. La questione giungeva così all’esame della Corte di Cassazione.

La questione della società a ristretta base sociale e la struttura a catena

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione del concetto di società a ristretta base sociale. Questa figura, di creazione giurisprudenziale, identifica quelle società di capitali in cui un numero esiguo di soci, spesso legati da rapporti familiari, esercita un controllo pregnante sulla gestione sociale. In tali contesti, vige la presunzione (relativa, che ammette prova contraria) secondo cui gli utili extracontabili accertati in capo alla società si considerano automaticamente distribuiti ai soci e, pertanto, tassabili in capo a questi ultimi come reddito da capitale.

Nel caso di specie, i ricorrenti sostenevano che questa presunzione fosse inapplicabile per due ragioni:
1. Profilo soggettivo: i soci diretti non erano persone fisiche, ma altre entità giuridiche. Mancava, quindi, il presupposto del diretto controllo da parte di un ristretto gruppo di individui.
2. Profilo oggettivo: l’accertamento non contestava l’esistenza di utili occulti (es. ricavi in nero), ma si limitava a disconoscere la deducibilità di costi regolarmente contabilizzati. Secondo i contribuenti, un costo indeducibile non genera automaticamente una maggiore disponibilità finanziaria da distribuire.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo infondate entrambe le censure e fornendo importanti chiarimenti sull’ambito di applicazione della presunzione.

In primo luogo, i giudici hanno ribadito il principio della prevalenza della sostanza sulla forma. Ai fini della qualificazione di una società a ristretta base sociale, non ci si può fermare alla compagine sociale formale. È necessario guardare alla struttura di controllo effettiva. Nel caso esaminato, la Corte ha rilevato che le due società socie erano a loro volta controllate in larghissima parte dalla medesima famiglia. La struttura societaria a catena rappresentava un mero schermo, dietro al quale il controllo dell’attività era concentrato “in pochissime mani”. La ristrettezza della base sociale, dunque, va valutata con criteri sostanziali, verificando chi detiene il potere decisionale ultimo, indipendentemente dal numero di società interposte.

In secondo luogo, la Cassazione ha respinto la distinzione tra utili extracontabili derivanti da ricavi non dichiarati e quelli emergenti da costi disconosciuti. Sul piano logico e fiscale, un costo che viene considerato indeducibile perché non inerente, non documentato o fittizio, è un componente negativo di reddito che la società non ha effettivamente sostenuto. La sua eliminazione dal bilancio fiscale comporta un aumento dell’utile imponibile e, di conseguenza, una maggiore disponibilità di risorse economiche per la società. Questa maggiore disponibilità, in una società a ristretta base sociale, si presume distribuita ai soci. La nozione di “utili extracontabili” comprende quindi non solo i maggiori componenti positivi, ma anche il disconoscimento di componenti negativi.

Le conclusioni

L’ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale in materia di accertamento fiscale. La presunzione di distribuzione degli utili ai soci non viene neutralizzata da complesse strutture societarie. Il Fisco e i giudici tributari sono legittimati a “guardare oltre il velo” societario per individuare i reali beneficiari dei profitti non dichiarati. Per le imprese a conduzione familiare o con pochi soci, questa decisione rappresenta un monito: la creazione di holding o società interposte non è sufficiente a eludere la presunzione se il controllo effettivo rimane concentrato. Spetta al contribuente, una volta che l’Amministrazione ha provato la ristrettezza della base sociale, fornire la prova contraria, dimostrando che i maggiori utili non sono stati distribuiti ma, ad esempio, reinvestiti nell’azienda o accantonati a riserva.

La presunzione di distribuzione degli utili in una società a ristretta base sociale si applica anche se i soci sono altre società e non persone fisiche?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la valutazione va condotta secondo criteri sostanziali. Se le società socie sono a loro volta controllate da un numero ristretto di persone fisiche, la presunzione opera perché ciò che conta è il controllo effettivo del fenomeno economico, indipendentemente dagli schermi societari interposti.

Un costo disconosciuto dal Fisco può essere considerato un ‘utile extracontabile’ distribuito ai soci?
Sì. Un costo non adeguatamente documentato e disconosciuto dall’Amministrazione finanziaria viene trattato come un componente negativo di reddito che la società non ha effettivamente sostenuto. Questo genera una maggiore disponibilità di risorse che, in una società a ristretta base sociale, si presume sia stata distribuita ai soci.

Qual è il criterio per determinare se una società ha una ‘ristretta base sociale’ quando la proprietà è indiretta?
Il criterio dirimente è verificare se il ristretto numero di partecipi consenta un effettivo controllo della società. Bisogna guardare alla sostanza della struttura proprietaria, accertando se, al di là delle società interposte, il controllo dell’attività sociale sia concentrato in poche mani, come quelle di un unico nucleo familiare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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