Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16035 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16035 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
Oggetto:
società partecipata da so- cietà – ristretta base so- ciale – sussistenza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14980/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, NOME COGNOME tutti congiuntamente e disgiuntamente difesi dall’avv. NOME COGNOME dall’avv. NOME COGNOME dall’avv. NOME COGNOME dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME, domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dei primi tre difensori e presso gli indirizzi pec:
;
-ricorrenti –
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, n. 7103/1/2023, depositata il 21.12.2023 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 27 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, n. 7103/1/2023, depositata il 21.12.2023 venivano riuniti e rigettati gli appelli proposti dalla società RAGIONE_SOCIALE e dai soci NOME COGNOME NOME COGNOME avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Benevento. Tale decisione aveva rigettato sia il ricorso proposto dalla società avverso gli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti per l’anno di imposta 2015 con cui venivano riprese ad imposizione maggiori II.DD. e IVA e irrogate le relative sanzioni, sia i ricorsi proposti dalla società, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME avverso gli avvisi di accertamento emessi per maggiore IRPEF, nonché per mancato pagamento di ritenuta d’acconto in relazione agli utili asseritamente distribuiti dalla società ai soci.
Il giudice di secondo grado, riuniti gli appelli proposti dalla società e dai soci, li rigettava affermando la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della presunzione di distribuzione utili confermando le riprese.
Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per Cassazione i contribuenti con tre distinti atti deducendo quattro analoghi motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso. A seguito
di rinuncia al mandato da parte dell’originario difensore dei contribuenti, si sono costituiti i difensori riportati in epigrafe. Da ultimo, la difesa della società contribuente deposita memoria illustrativa ex art.380-bis.1. cod. proc. civ. e ulteriore nota del 25 marzo 2025 con indicazione del numero di iscrizione a ruolo del giudizio per revocazione pendente avverso la sentenza d’appello .
Considerato che:
In via pregiudiziale, il Collegio prende atto della nota di deposito del 17.3.2025 in cui la difesa della società ricorrente ha chiesto il rinvio a nuovo ruolo della controversia in quanto, nelle more dell’impugnazione in Cassazione, la contribuente ha proposto ricorso per revocazione straordinaria ex artt.395 n.3 cod. proc. civ. e 64 d.lgs. n.546/1992 nei confronti della sentenza CGT2 Campania n. 7103/1/2023, attualmente pendente avanti alla CGT di secondo grado.
Il Collegio osserva che, nel diritto tributario, la materia della revocazione è disciplinata essenzialmente dal d.lgs. 31.12.1992, n. 546, il quale all’art. 64, rubricato “Sentenze revocabili e motivi di revocazione” il cui primo comma è stato sostituito dall’art. 9 comma 1 lett. cc ) del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 10 gennaio 2016, per effetto dell’art. 12 comma 1 del citato d.lgs. n. 156 del 2015 e, dalla data indicata, prevede ora: «1. Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado dalle commissioni tributarie possono essere impugnate ai sensi dell’articolo 395 del codice di procedura civile».
2.1. La revocazione straordinaria avverso le sentenze delle Commissioni Tributarie è regolata dall’art. 64 del d.lgs. 31.12.1992 n. 546 ai commi 2 e 3 il quale dispone: «2. Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello possono essere impugnate per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile purché la scoperta del dolo o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di cui al numero
6 dell’art. 395 del codice di procedura civile siano posteriori alla scadenza del termine suddetto. 3. Se i fatti menzionati nel comma precedente avvengono durante il termine per l’appello il termine stesso è prorogato dal giorno dell’avvenimento in modo da raggiungere i sessanta giorni da esso.».
Questa formulazione non è stata interessata dalla riforma del comma 1 di detto art. 64 – disposta dall’art. 9, comma 1, lett. cc ), d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016 – e, a sua volta, riproduce nel processo tributario esattamente quanto previsto dal codice di rito ordinario nei due commi dell’art. 396 cod. proc. civ., a conferma della perfetta simmetria su punto dei due sistemi processuali.
Infatti, la disciplina della revocazione dettata dal codice di rito prevede, per i “Casi di revocazione” all’art. 395 cod. proc. civ., che: «Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione: 1. se sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra; 2. se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza; 3. se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario; 4. se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare; 5. se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione; 6. se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato».
2.2. Orbene, a sostegno dell’impugnazione ex artt. 395, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. e 64 d.lgs. n. 546 del 1992, la società ha dedotto davanti al giudice d’appello di aver scoperto, dopo la scadenza del termine per proporre ricorso per Cassazione della sentenza revocanda, nuovi documenti emergenti da un parallelo processo penale e idonei a dimostrare la fondatezza delle proprie difese.
Pertanto, nel caso di specie, poiché era scaduto il termine per la proposizione del ricorso per Cassazione allorquando a gennaio 2025 è emerso il recupero dei documenti ritenuti decisivi dalla parte, con conseguente proposizione del ricorso per revocazione avanti al giudice d’appello, si verte in un’ipotesi di revocazione straordinaria e non ordinaria.
Sussiste una pregiudizialità non tecnica bensì meramente logica tra i due processi, pendenti in due gradi di giudizio diversi, perché se il ricorso per revocazione fosse accolto dal giudice del merito, la pronuncia sarebbe suscettibile di incidere sulla sentenza oggetto del presente ricorso per Cassazione e, dunque, sull’esito del presente giudizio.
Tuttavia, l’art. 398, comma 4, cod. proc. civ. sancisce la tendenziale non interferenza tra giudizio di revocazione in sede di merito e processo per Cassazione, principio temperato dalla previsione che il solo giudice davanti a cui è proposta la revocazione, su istanza di parte, possa sospendere o il ricorso per Cassazione o il procedimento per revocazione relativo, entro un limite temporale preciso, costituito dalla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione, e sempre che ritenga non manifestamente infondata la revocazione proposta (cfr. Cass. n.21169 del 2022; Cass. Sez. U. 9776 del 2020, Cass. n.15926 del 2024).
La previsione del codice ordinario di rito è applicabile, a norma dell’art. 1 del d.lgs. n. 546 del 1992, il quale al comma 2 detta: «I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per
quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile.».
Orbene, il ricorso per revocazione allegato alla memoria, non fa neppure menzione di aver indirizzato la richiesta alla CGT2, giudice della revocazione, di sospendere il processo di Cassazione pendente avverso la sentenza revocanda. Pertanto, la richiesta di rinvio a nuovo ruolo è priva di giustificazione e non può essere accolta dovendo provvedersi ad esaminare le censure.
Con il primo motivo i ricorrenti prospettano l’ Illegittimità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento ai fini IRES, IRAP e IVA – e di conseguenza, del correlato avviso di accertamento ai fini delle ritenute ritenendo insussistenti i presupposti per la deduzione dei costi e l’indetraibilità dell’IVA, in ragione di talune carenze/irregolarità nella fatturazione delle operazioni di acquisto da RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sotto più profili.
3.1. Una prima sottocensura evidenzia che il giudice del gravame avrebbe erroneamente ritenuto irregolari le fatture di acquisto di materiale plastico da RAGIONE_SOCIALE e avrebbe di conseguenza erroneamente imputato in capo alla Società l’onere di provare la sussistenza dei presupposti per dedurre i costi sostenuti e per detrarre la relativa IVA, in violazione e falsa applicazione degli artt. 109, quinto comma, d.P.R. n. 917, citato, 19, primo comma, e 21, secondo e quarto comma, d.P.R. n. 633, citato, e 5, d.lgs. n. 446, citato, art. 1, terzo comma, primo periodo, d.P.R. 14 agosto 1996, n. 472, 2697, cod. civ., 7, comma 5-bis, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ..
3.2. Un secondo sottomotivo deduce che il giudice avrebbe erroneamente ritenuto idonei gli elementi (indiziari) adotti dall’Agenzia a supporto della ripresa fiscale relativa alle operazioni con RAGIONE_SOCIALE e, specularmente, avrebbe erroneamente ritenuto insufficienti gli
elementi addotti da IMB a supporto della deduzione del costo/detrazione dell’IVA , in violazione e falsa applicazione degli artt. 109, quinto comma, d.P.R. n. 917, citato, 19, primo comma, e 21, secondo comma, d.P.R. n. 633, citato, e 5, d.lgs. n. 446, citato, art. 1, terzo comma, primo periodo, d.P.R. 14 agosto 1996, n. 472, e art. 2729, primo comma, cod. civ., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ..
3.3. In terzo luogo, la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto che la mancata produzione, nel corso del contraddittorio endoprocedimentale con l’Agenzia, del documento di trasporto collegato alla fattura n. 59 di RAGIONE_SOCIALE avrebbe reso la produzione in giudizio di tale documento inammissibile, in violazione e falsa applicazione dell’art. 32, quarto comma, d.P.R. n. 600, citato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ..
4. Il motivo è inammissibile.
4.1. Quanto alla tecnica di formulazione, a differenza di quanto ritiene la controricorrente, il ricorso per cassazione in questione non è stato assemblato mediante integrale riproduzione di una serie di documenti e l’esposizione dei fatti non viola l’art. 366, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. (cfr. Cass. Sez. 5, sentenza n. 8245 del 04/04/2018), dal momento che articola in modo sufficientemente chiaro, benché non sintetico, il contenuto delle doglianze.
4.2. Tuttavia, l’inammissibilità del complessivo mezzo di impugnazione deriva dal contenuto eterogeneo delle doglianze e, al proposito, va ribadito che per costante interpretazione giurisprudenziale (già Cass. 22 settembre 2014 n. 19959) il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della
specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito. La macro-censura in disamina compendia profili di doglianza tra loro eterogenei, che spaziano dall’inutilizzabilità della documentazione richiesta e non esibita in fase procedimentale, al criterio di riparto dell’onere della prova ai fini della deduzione/detrazione sino al contenuto della prova stessa.
4.3. Inoltre, la prima parte della macro-censura sollecita una rivalutazione del contenuto della prova con riferimento alla valutazione dei DDT, ritenuti regolari dai ricorrenti in ragione del loro contenuto, ma il fatto è stato indubbiamente valutato dal giudice, come riconoscono anche i contribuenti, e l’accertamento del giudice è stato in senso opposto alla tesi riproposta in ricorso ed è un accertamento supportato da una congrua motivazione. Per giurisprudenza costante della Corte (Cass. 28 novembre 2014 n. 25332), la parte non può in sede di legittimità censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi nuovamente la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice del merito.
4.4. Egualmente, il secondo sotto-motivo mira a negare la sussistenza della prova idonea, ravvisata dal giudice, negli elementi addotti dall’Amministrazione finanziaria e, al contrario, ad affermare la sussistenza della prova nel compendio addotto da parte contribuente, che è stato negato dal giudice. Sotto lo schermo della violazione di legge, la questione posta chiaramente attiene ad un profilo motivazionale della sentenza impugnata circa la valutazione e l’idoneità degli elementi indiziari. Va a proposito rammentato il corretto
procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi ai fini della disamina della fondatezza delle riprese: la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno desunti dal loro esame complessivo, in un giudizio non atomistico di essi (ben potendo ciascuno di essi essere insufficiente da solo), sebbene preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza ed ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 5374 del 2017).
Ciò che rileva è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, fermo restando il diritto del contribuente a fornire la prova contraria. Infine, quanto alla valutazione della prova contraria, il Collegio osserva come, per consolidata interpretazione giurisprudenziale (a partire da Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie offerte dalle parti e, nella fattispecie, come confermano gli stessi ricorrenti il fatto storico è indubbiamente stato considerato dal giudice. Ciò che viene contestato è l’esito di tale valutazione, in termini inammissibili in sede di legittimità.
4.5. L’unico profilo di doglianza che, in astratto, può essere sussunto nel paradigma di censura della violazione di legge di cui all’art.360, primo comma, n.3 cod. proc. civ., è il terzo ed ultimo in cui viene contestata l’applicazione nella fattispecie concreta della inutilizzabilità prevista da ll’art. 32, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, in ragione di elementi oggettivi risultanti dal carattere ‘ampio’ del riferimento alle ‘fatture’ e ad ‘altra documentazione utile’ riportato
nel questionario, ossia circa la valutazione del contenuto della richiesta della documentazione in sede procedimentale; e soggettivi, perché la società non avrebbe mai negato di possedere la documentazione richiesta e, dunque, non vi sarebbe stato né dolo né inerzia. Tuttavia, anche questo sotto-motivo è inammissibile poiché la censura è priva di specificità, dal momento che le fatture in questione non sono neppure riprodotte in ricorso.
Inoltre, la sotto-censura non impugna neppure l’accertamento contenuto alle pagg.23 e 24 della sentenza impugnata secondo cui «l’ampio riferimento nella richiesta di documentazione avanzata in sede stragiudiziale alle fatture ed ai relativi documenti di accompagnamento consente di ritenere che anche il d.d.t. in questione rientrasse tra i documenti specificamente richiesti» e, così, non impugna pienamente la ratio decidendi espressa dal giudice che ha dichiarato che erano stati richiesti in sede procedimentale anche i DDT in questione.
Con il secondo motivo i ricorrenti prospettano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento ai fini IRES, IRAP e IVA (e di conseguenza, del correlato avviso di accertamento ai fini delle ritenute/IRPEF) ritenendo insussistenti i presupposti per la deduzione dei costi e l’indetraibilità dell’IVA relativamente a talune operazioni di acquisto intracomunitario intercorse con la società RAGIONE_SOCIALE in ragione di talune carenze/irregolarità nella fatturazione delle predette operazioni.
5.1. In particolare, il giudice d’appello avrebbe erroneamente ritenuto le carenze/irregolarità recate dalle lettere di vettura internazionali tali da far venir meno l’attendibilità probatoria delle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE, rendendole quindi inidonee a costituire titolo per la deduzione dei relativi costi/detrazione dell’IVA, ed avrebbe di conseguenza erroneamente imputato in capo alla società l’onere di provare la sussistenza dei presupposti per dedurre i costi
sostenuti e per detrarre la relativa IVA, in violazione e falsa applicazione degli artt. 109, quinto comma, d.P.R. n. 917, citato, 5, d.lgs. n. 446, citato, 19, primo comma, d.P.R. n. 633, citato, 45, d.l. 30 agosto 1993, n. 331, 226, Dir. 112/2006, 2697, cod. civ., 7, comma 5-bis, d.lgs. n. 546, citato.
5.2. Sotto un ulteriore profilo, la sentenza avrebbe erroneamente ritenuto idonei gli elementi (indiziari) adotti dall’Agenzia a supporto della ripresa fiscale e, specularmente, avrebbe erroneamente ritenuto insufficienti gli elementi addotti da IMB a supporto della deduzione del costo/detrazione dell’IVA, in violazione e falsa applicazione degli artt. 109, quinto comma, d.P.R. n. 917, citato, 5, d.lgs. n. 446, citato, 19, primo comma, d.P.R. n. 633, citato, 45, d.l. n. 331, citato, 226, Dir. 112/2006, e 2729, primo comma, cod. civ..
Il motivo è complessivamente inammissibile, in quanto chiaramente diretto ad ottenere un nuovo apprezzamento della prova preclusa al giudice di legittimità, come già sopra argomentato con riferimento a parte della prima macro-censura e qui da intendersi richiamato per brevità.
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’illegittimità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento ai fini delle ritenute/IRPEF, ritenendo sussistente in capo alla società l’obbligo di effettuazione delle ritenute sulla quota del maggior reddito accertato con l’avviso di accertamento IRES, IRAP ed IVA, imputato per trasparenza ai soci (indiretti) detentori di partecipazioni non qualificate, in violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5, 67, primo comma, lett. c-bis), d.P.R. n. 917, citato, 27, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 53 Cost., 2697, cod. civ., 7, comma 5-bis, d.lgs. n. 546, citato.
Il motivo è infondato.
8.1. I ricorrenti censurano la statuizione del giudice che ha ritenuto la IMB ‘società a ristretta base sociale’, innanzitutto sotto il profilo soggettivo, poiché la compagine sociale non è direttamente composta da un numero ristretto di persone fisiche. Sotto un secondo profilo, oggettivo, contestano l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili in quanto l’avviso non recherebbe alcun accertamento di utili extra-bilancio, ma la sola contestazione dei presupposti per dedurre a fini fiscali i costi la cui contabilizzazione è incontestata.
9. Quanto al primo profilo il Collegio, in diritto, rammenta innanzitutto che per giurisprudenza consolidata della Corte (v. Cass. Sez. 5, ordinanza n. 4861 del 23/02/2024; conforme a Sez. 5, sentenza n. 13338 del 10/06/2009) la presunzione di riparto degli utili extrabilancio tra i soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa non è neutralizzata dallo schermo della personalità giuridica, ma estende la sua efficacia a tutti i gradi di organizzazione societaria per i quali si riscontri la ristrettezza della compagine sociale, operando il principio generale del divieto dell’abuso del diritto, che trova fondamento nei principi costituzionali di capacità contributiva e di eguaglianza, nonché nella tendenza all’oggettivazione del diritto commerciale ed all’attribuzione di rilevanza giuridica all’impresa, indipendentemente dalla forma giuridica assunta dal suo titolare.
Perciò, è stato anche più volte affermato dalla giurisprudenza (cfr. Cass. Sez. 6-5, ordinanza n. 1947 del 24/01/2019, conforme a Cass. Sez. 5, sentenza n. 15824 del 29/07/2016), che nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza
che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria.
9.1. L’operatività della presunzione investe dunque la società di capitali, sul presupposto che la ristretta base partecipativa consenta un controllo effettivo dei soci nella gestione sociale, mentre non conta la modalità di accertamento (ragionando da Cass. 20/12/2018, n. 32959), e l’imputazione ai soci del maggior reddito accertato in capo alla società prescinde dall’eventuale natura adesiva dell’accertamento nei confronti dell’ente.
Per escludere l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, conseguiti e non dichiarati da una società a ristretta base partecipativa, non è sufficiente che il socio si limiti ad allegare genericamente la mancanza di prova di un valido e definitivo accertamento nei confronti della società, ma deve contestare lo stesso effettivo conseguimento, da parte della società, di tali utili (Cass. Sez. 5, ordinanza n. 33976 del 19/12/2019).
9.2. In questo schema, non fa differenza il fatto che partecipe della società di capitali sia una persona fisica o una società, e che quest’ultima sia società di persone o società di capitali. Non è condivisibile la difesa della ricorrente secondo cui i soci-persone fisiche indicati dal provvedimento impugnato e dalla sentenza di merito sarebbero meri soci ‘di secondo livello’, per i quali non sarebbe configurabile alcun vincolo di solidarietà.
Il fatto che tali persone fisiche non siano direttamente socie della IMB, bensì delle società che costituiscono la compagine sociale di quest’ultima , è un profilo meramente formale ai fini della valutazione della ristretta base azionaria (ragionando da Cass., Sez. 5. n. 13338 del 2009; v. anche Cass. n.20840/2023) e, dunque, della operatività della presunzione connessa. Infatti, la valutazione va condotta secondo criteri sostanziali e non meramente formali, poiché ciò che conta è la sostanza del fenomeno economico sottostante alle forme
giuridiche e, dunque, stabilire se tali società, siano indifferentemente di persone o di capitali, sono o meno un mero schermo rispetto alle persone fisiche, valido civilisticamente ma non opponibile al fisco.
9.3. Il profilo dirimente è se il ristretto numero di partecipi consenta un effettivo controllo della società a ristretta base sociale e nessun dubbio sussiste nel caso di specie, in cui la sentenza impugnata ha accertato che la compagine sociale della IMB si compone di appena due società, la società di persone RAGIONE_SOCIALE per il 50,50% delle quote e la società di capitali RAGIONE_SOCIALE per il restante 49,50%; quest’ultima è a sua volta partecipata dalla COGNOME per il 95,76% e, per il resto, da membri della famiglia COGNOME a conferma che il controllo dell’attività sociale della società ricorrente si concentra in pochissime mani.
Destituito di fondamento è del pari il secondo profilo di censura, con cui erroneamente si afferma che la presunzione applicata dall’Amministrazione finanziaria sarebbe invocabile solo per gli utili extrabilancio, mentre nel caso di specie l’operazione economica in questione risulterebbe dalle scritture contabili e, perciò, il maggior reddito non sarebbe espressivo di una disponibilità finanziaria occulta.
In disparte dal fatto che le scritture di bilancio in questione non sono neppure riprodotte in ricorso ai fini della dimostrazione della decisività della questione, è in diritto che la tesi di parte ricorrente non convince.
Su di un piano logico, un costo non adeguatamente documentato dalla società e, per tale ragione, disconosciuto dall’Amministrazione finanziaria, è un componente negativo di reddito che non è stato sostenuto dalla contribuente. Come tale, costituisce una maggiore disponibilità di risorse a disposizione della società a ristretta base sociale, manifestazione di capacità contributiva ai fini dell’art.53 Cost. per cui opera la presunzione di distribuzione anche in tale caso.
In altri termini, la presunzione di distribuzione degli utili nella società a ristretta base sociale non opera solo per le componenti positive di reddito accertate, ma anche per le componenti negative disconosciute. Ne discende, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, che ai fini della presunzione di attribuzione ai soci la nozione di ‘utili extracontabili’ comprende non solo maggiori componenti positivi di reddito accertati, ma anche il disconoscimento di componenti negativi, che fa emergere la presenza di maggiori risorse non dichiarate e che vanno considerate distribuite tra i soci e assoggettate a tassazione, ferma restando la possibilità per i soci di fornire prova contraria rispetto alla pretesa erariale.
Dev’essere così affermato il seguente principio di diritto:
«In materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, la presunzione di attribuzione ai soci di maggiori utili, in corrispondenza di costi risultanti dalle scritture contabili ma disconosciuti, opera anche nel caso in cui la compagine sociale si componga esclusivamente di società, sia di persone sia di capitali, senza che ciò si ponga in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, allorquando il fatto noto è dato dalla ristrettezza dell’assetto societario che implica un reciproco controllo dei soci nella gestione sociale con conseguente vincolo di solidarietà. (Nella specie, società di capitali partecipata da due società, una RAGIONE_SOCIALE per il 50,50% delle quote e una RAGIONE_SOCIALE per il restante 49,50%, quest’ultima a sua volta partecipata dalla prima per il 95,76% e, per il resto, a membri della medesima famiglia)».
Pertanto, correttamente il giudice ha ritenuto che la presenza di società, anche di persone, a comporre la base sociale non è un impedimento alla presunzione di distribuzione di maggiori utili e, altrettanto logicamente, il costo disconosciuto in capo alla società è stato assoggettato a imposizione come per legge, dal momento che non è stata allegata e fornita la prova della mancata distribuzione tra i soci dell’utile corrispondente.
11. In ultima analisi , il ricorso dev’essere rigettato.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di lite, liquidate in euro 8.200 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27.3.2025