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Società a ristretta base partecipativa: oneri del socio

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3825/2024, ha rigettato il ricorso di una socia di una società a ristretta base partecipativa avverso un avviso di accertamento. L’ordinanza conferma il principio secondo cui i maggiori redditi accertati in capo alla società si presumono distribuiti ai soci. Spetta a questi ultimi fornire la prova contraria, dimostrando la mancata percezione o il reinvestimento degli utili. La Corte ha inoltre ribadito la validità della motivazione “per relationem” dell’atto impositivo.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società a ristretta base partecipativa: la Cassazione conferma l’imputazione degli utili ai soci

Con la recente ordinanza n. 3825 del 12 febbraio 2024, la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata su un tema cruciale del diritto tributario: la tassazione dei redditi in una società a ristretta base partecipativa. Questa decisione ribadisce la presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio ai soci e chiarisce l’onere della prova che grava su di loro per contestare la pretesa fiscale.

I fatti del caso: la pretesa fiscale verso la società e la socia

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società a responsabilità limitata, con cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti e un maggior reddito derivante da accertamenti bancari. Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria notificava un ulteriore avviso di accertamento a una socia di minoranza, imputandole per trasparenza una quota del maggior reddito accertato in capo alla società.

La contribuente impugnava l’atto, ottenendo una prima vittoria presso la Commissione Tributaria Provinciale. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale, in accoglimento dell’appello dell’Agenzia, riformava la decisione. La socia proponeva quindi ricorso per cassazione, affidato a sette distinti motivi.

La presunzione di distribuzione degli utili nella società a ristretta base partecipativa

Il fulcro della controversia risiede nel quinto motivo di ricorso, con cui la contribuente contestava l’automatica imputazione del reddito accertato alla società in virtù del semplice, e a suo dire non provato, presupposto della ristretta base sociale.

La Corte di Cassazione ha respinto tale motivo, giudicandolo infondato e allineandosi alla sua consolidata giurisprudenza. I giudici hanno affermato che, una volta accertata l’esistenza di una società a ristretta base partecipativa, gli utili conseguiti dalla società si presumono distribuiti ai soci in proporzione alla loro quota di partecipazione.

Questa è una presunzione legale relativa (o praesumptio hominis) che inverte l’onere della prova: non è l’Agenzia a dover dimostrare l’effettiva distribuzione, ma spetta ai soci provare il contrario. Tale prova può consistere nel dimostrare:

1. La mancata distribuzione degli utili.
2. Il loro reinvestimento all’interno della società.
3. La propria totale estraneità alla gestione e conduzione societaria.

Nel caso specifico, essendo stata accertata la natura di società a ristretta base partecipativa, gravava sulla socia l’onere di provare la mancata percezione dei maggiori proventi accertati, prova che non è stata fornita.

Altri principi processuali confermati dalla Corte

Oltre alla questione centrale, l’ordinanza ha toccato altri importanti aspetti procedurali.

La motivazione “per relationem” dell’avviso di accertamento

La ricorrente lamentava la nullità del proprio avviso di accertamento per difetto di motivazione, dato che l’Agenzia non aveva allegato l’atto prodromico notificato alla società. Anche questo motivo è stato respinto. La Corte ha ricordato che l’obbligo di motivazione può essere assolto anche “per relationem”, ossia mediante riferimento ad altri atti. Non è necessaria la trascrizione pedissequa o l’allegazione fisica, purché l’atto impositivo riproduca il contenuto essenziale del documento richiamato, in modo da consentire al contribuente di comprendere pienamente le ragioni della pretesa e di esercitare il proprio diritto di difesa.

La produzione di nuovi documenti in appello

È stato ritenuto infondato anche il motivo con cui si contestava l’ammissibilità della produzione in appello degli atti impositivi da parte dell’Agenzia. La Cassazione ha confermato che l’art. 58 del d.lgs. 546/1992 consente alle parti di produrre nuovi documenti in grado d’appello, non solo quando costituiscono prova piena, ma anche quando rappresentano meri elementi indiziari idonei a fondare una presunzione.

Le motivazioni della decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. La presunzione di distribuzione degli utili nelle società a ristretta base partecipativa trova la sua ratio nel rapporto di stretta fiducia e vicinanza che tipicamente lega i pochi soci, i quali hanno la possibilità di controllare e decidere congiuntamente le sorti dei profitti aziendali. Rigettando tutti i motivi del ricorso, inclusi quelli procedurali relativi alla nullità dell’atto per firma di funzionario decaduto (ritenuto inammissibile perché sollevato per la prima volta in Cassazione), la Corte ha confermato la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate e della sentenza di secondo grado.

Le conclusioni

L’ordinanza n. 3825/2024 consolida un principio fondamentale per i soci di SRL a compagine ristretta. Essi devono essere consapevoli che, in caso di accertamento di maggiori redditi in capo alla società, la presunzione legale opererà contro di loro. Per difendersi efficacemente, è indispensabile poter documentare in modo rigoroso la destinazione degli utili, ad esempio attraverso delibere assembleari che ne dispongano il reinvestimento o l’accantonamento a riserva, o dimostrando la propria completa estraneità alle decisioni operative e gestionali dell’impresa.

In una società a ristretta base partecipativa, si presume che gli utili non dichiarati vengano distribuiti ai soci?
Sì. Secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, una volta accertata la sussistenza di una ristretta base partecipativa, gli utili conseguiti dalla società vengono presuntivamente imputati ai soci nei limiti della loro partecipazione. Spetta ai soci fornire la prova contraria.

Quale prova deve fornire il socio per superare la presunzione di distribuzione degli utili?
Il socio deve provare la mancata distribuzione degli utili, il loro reinvestimento nell’attività aziendale, oppure la propria totale estraneità alla gestione e conduzione della società.

L’avviso di accertamento notificato al socio deve sempre allegare fisicamente quello notificato alla società?
No. L’obbligo di motivazione può essere soddisfatto anche “per relationem”, ossia riproducendo nell’avviso al socio il contenuto essenziale dell’accertamento notificato alla società. Questo è sufficiente per permettere al contribuente di comprendere le ragioni della pretesa e difendersi, senza che sia necessaria l’allegazione fisica dell’atto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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