Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22996 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22996 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3910/2018 R.G. proposto da : COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA n. 5769/2017 depositata il 23/06/2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Campania, con la sentenza n. 5769/2017 depositata in data 23/06/2017, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e rigettato gli appelli proposti dai contribuenti.
1.1. Nel giudizio definito con la sentenza impugnata sono stati riuniti tre giudizi scaturiti:
-dall’avviso di accertamento notificato in data 10/11/2014 al sig. COGNOME COGNOME in ordine alle imposte dirette relative all’anno 2007 (previo accertamento del maggior reddito della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione a ristretta base azionaria composta, in pari misura, dal ricorrente e dalla moglie a sua volta legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE in relazione a fatture per operazioni inesistenti;
-dall’avviso di accertamento emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (notificato al Moria come ex liquidatore);
-dall’avviso di accertamento emesso nei confronti della sig.ra COGNOME COGNOME, coniuge del sig. COGNOME, derivato da quello riguardante la società.
La CTR ha ritenuto fondato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate di cui al giudizio sub R.G. n. 5593/2016, rilevando che:
la ristretta base sociale (riconducibile al rapporto di coniugio tra il sig. COGNOME e l’altra socia) consenti va l’automatica traslazione dei ricavi non contabilizzati dalla società ai soci;
il sig. COGNOME non poteva essere, quindi, ritenuto estraneo rispetto alla fatturazione per operazioni inesistenti (considerato che la moglie era legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE), con la conseguente necessità del raddoppio dei termini di cui all’a rt. 43 d.P.R. n. 600 del 1973;
-l’avviso impugnato non reca alcun difetto di sottoscrizione, risultando firmato da un funzionario direttivo munito di valida delega e considerato che non sussiste il vizio di carenza motivazionale denunciato dal contribuente, dal momento che risultava chiaramente come al sig. COGNOME fosse chiesto il pagamento di debenze tributarie direttamente derivate dalla rettifica reddituale riguardante la società RAGIONE_SOCIALE da lui partecipata, considerata, peraltro, la genericità della contestazione dell’erroneità in ecc esso del computo del volume d’affari.
2.1. La CTR ha, poi, ritenuto che simili considerazioni valevano anche per il giudizio sub R.G. n. 9435/2016 relativo alla posizione della sig.ra COGNOME
2.2. Infine, in merito al giudizio n. 6912/2016 -concernente l’appello della s.r.l. Essemme contro la declaratoria d’inammissibilità del ricorso proposto contro l’avviso di accertamento notificatole quando era già estinta, la CTR ha evidenziato la correttezza della decisione del giudice di primo grado, rilevando che la contestazione dell’atto impositivo doveva essere fatta dai soci successori ai sensi dell’art. 2945 cod. civ., dal momento che l’incapienza del bilancio finale di liquidazione per mancanza di attivo e la connessa assenza di piano di riparto attenevano alla possibilità di esecuzione coattiva del credito tributario, ma non alla diversa e previa fase accertativa della debenza in capo ai successori della società estinta.
Contro la sentenza della CTR hanno proposto ricorso in cassazione, con sei motivi, il sig. NOME COGNOME in proprio e quale ex liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, e la sig.ra NOME COGNOME
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la nullità della sentenza impugnata per carenza di motivazione e contraddittorietà, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
1.1. Ad avviso dei ricorrenti la sentenza impugnata è nulla, in quanto priva dei requisiti costitutivi minimi di una pronuncia giurisdizionale. Sono, quindi, violate tutte le disposizioni che regolano il contenuto della sentenza (art. 36, comma 2, n. 4 e 5, d.lgs. n. 546 del 1992, art. 132, comma 2, n. 4 e 5, cod. proc. civ. e art. 118 d. att. cod. proc. civ.). Rilevano, quindi, come le affermazioni contenute nella motivazione sono confuse, a partire dalla considerazione che l’avviso emesso nei confronti d ella società estinta avrebbe dovuto essere impugnato dai soci, che neppure avevano ricevuto alcun atto impositivo, se non a titolo personale.
1.2. Ancor più grave è la decisione nella parte in cui, nel respingere il vizio di carente motivazione, ha affermato che era chiaro che al Moria fosse stato richiesto il pagamento di una debenza tributaria derivante direttamente dalla verifica reddituale riguardante la RAGIONE_SOCIALE da lui partecipata.
1.3. Il motivo è infondato. Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, a seguito della riforma del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, deve ritenersi denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente
all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
Nel caso di specie la motivazione della sentenza impugnata rende comprensibile il percorso decisorio svolto dal giudice di seconde cure, anche con riferimento alle questioni inerenti alla traslazione dei ricavi in relazione alla cd. ristretta base sociale della società e ai rapporti tra le società coinvolte nelle operazioni, anche con riferimento al rapporto di coniugio.
Con il secondo motivo di ricorso è stata denunciata la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 42 d.P.R. 29/09/1973, n. 600, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
2.1. Con tale motivo viene rilevato che era stata ricevuta la notifica di un avviso di accertamento firmato non dal direttore provinciale, ma dal Capo Uffici controlli NOME COGNOME, contenente la dicitura Firma per delega del Direttore Provinciale. L’Age nzia delle Entrate si costituiva in giudizio producendo copia della disposizione di servizio n. 26/2014 che, a suo dire, avrebbe legittimato la firma del Capo Area NOME COGNOME La parte ricorrente rileva che la delega di servizio n. 26/14 è priva di motivazione, generica, priva di limiti temporali e inaccettabile, in quanto non in linea con l’univoco orientamento di questa Corte, che ritiene necessaria l’indicazione,
unitamente alle ragioni della delega, del termine di validità e del nominativo del soggetto delegato.
2.2. Il motivo è infondato. Questa Corte -con orientamento che si pone in discontinuità con gli stessi precedenti evocati dai ricorrente -ha precisato che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass., 19/04/2019, n. 11013).
Con il terzo motivo è stata denunciata la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa interpretazione dell’art. 2495 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
3.1. La parte ricorrente evidenzia che uno degli avvisi di accertamento è stato indirizzato alla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione rappresentata dal sig. COGNOME COGNOME che aveva, poi, impugnato l’atto, precisando che la società, posta in liquidazione nel 2004, era stata cancellata dal registro delle imprese nel 2009. Chiedeva, quindi, di dichiararsi la nullità dell’atto, in quanto notificato a soggetto non più esistente. La sentenza di primo grado aveva dichiarato inammissibile il ricorso, evidenziando che la società, ormai cancellata dal registro delle imprese, aveva cessato di esistere. Nell’atto d’appello era stato, quindi, denunciato che il giudice di
prime cure avrebbe piuttosto dovuto dichiarare la nullità dell’avviso di accertamento notificato a un soggetto non più esistente e non più legittimato. La decisione della CTR -che ha ritenuto, in modo conforme a quanto stabilito dal giudice di primo grado , che l’atto avrebbe dovuto essere impugnato dai soci, quali successori ai sensi dell’art. 2495 cod. civ. -non è condivisibile. Difatti, il ricorso è stato presentato dal sig. COGNOME quale ex liquidatore e non già quale legale rappresentante di una società non più esistente.
Con il quarto motivo è stata denunciata la nullità della sentenza impugnata per ulteriore violazione dell’art. 2495 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
4.1. I ricorrenti evidenziano che l’art. 2495 cod. civ. prevede che, dopo la cancellazione, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. Di conseguenza, se l’Agenzia delle Entr ate avesse voluto far valere le proprie pretese creditorie nei confronti dei soci di una società cancellata, avrebbe dovuto notificare un atto che facesse riferimento a tale successione e, comunque, limitare la propria pretesa a quanto i soci hanno percepito in base al piano di riparto (così come sostenuto dai soci stessi a pag. 4 del ricorso e a pag. 2 dell’atto d’appello). Censurano, quindi, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’incapienza del bilancio finale di liquidazione per mancanza di attivo e la connessa assenza di piano di riparto attengono alla possibilità di esecuzione coattiva del credito tributario, ma non alla diversa e preventiva fase accertativa. Nel caso di specie i soci non hanno ricevuto una richiesta di pagamento delle somme eventualmente riscosse in base al bilancio di liquidazione, ma hanno ricevuto un avviso di accertamento nel quale gli utili
accertati a carico della RAGIONE_SOCIALE venivano ripartiti tra loro in virtù della presunzione di distribuzione degli utili.
Il terzo e il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati. Nel caso di specie la società è stata cancellata dal registro delle imprese nel 2009, ben prima dell’entrata in vigore del l’art. 28, comma 4, d.lgs. n. 175 del 2014 (« Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese. »).
5.1. Secondo questa Corte, infatti, il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495 cod. civ., comma 2, che, ai sensi dell’art. 28, comma 4, d.lgs. n. 175 del 2014, opera soltanto nei confronti dell’Amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati, con riguardo a tributi o contributi, si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese, che costituisce il presupposto di tale differimento, sia stata presentata nella vigenza della disposizione, e pertanto il 13 dicembre 2014 o successivamente, in quanto la norma reca disposizioni di natura sostanziale sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese e non ha pertanto efficacia retroattiva (Cass., 21/02/2020, n. 4536).
5.2. Ciò premesso, deve essere data continuità all’orientamento secondo cui, in tema di contenzioso tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della sua capacità processuale e
il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore (Cass., 23/03/2016, n. 5736; Cass., 19/09/2019, n. 23365).
In conclusione, considerato che l’estinzione della società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, nel caso di specie, è avvenuta anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 28, comma 4, d.lgs. n. 175 del 2014, è pertanto corretta la decisione del giudice di seconde cure secondo cui l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società estinta avrebbe dovuto essere impugnato dai soci.
Con il quinto motivo è stata denunciata la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa interpretazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
6.1. La parte rileva che i sig.ri COGNOME COGNOMEsia nel ricorso introduttivo, sia nell’atto d’appello avevano contestato la violazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, in quanto gli avvisi di accertamento impugnati relativi all’anno d’imposta 200 7, erano stati notificati il 10/11/2014, ben oltre il termine del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione previsto a pena di decadenza dall’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973.
La CTR -a seguito di due decisioni che si erano espresse su tale questione in senso opposto l’una dall’altra ha ritenuto corretto il raddoppio dei termini ex art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, ritenendo che il sig. COGNOME non potesse essere inconsapevole rispetto alla fatturazione di operazioni inesistenti, trattandosi di vicende intercorse tra lui e la moglie, legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE Nel caso di specie la fattispecie penalmente rilevante poteva riguardare, al più, la RAGIONE_SOCIALE (cui ven iva contestato l’uso di fatture relative a operazioni inesistenti), ma non certamente i due soci della stessa società, i quali hanno ricevuto un accertamento per
la sola presunta distribuzione di utili extracontabili accertati in capo alla società. Si tratta di accertamento privo di rilevanza penale, essendo stata imputata loro una maggiore imposta pari a Euro 36.725, inferiore alla soglia di punibilità. L’interpre tazione dei giudici di secondo grado, nel consentire il raddoppio dei termini anche nei confronti di soggetti che non hanno subito nessuna denuncia penale e non sono incorsi in nessuna violazione e/o contestazione di carattere penale, si pone, quindi, in c ontrasto con l’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973.
6.2. Il motivo è infondato. Il caso di specie riguarda, infatti, un’ipotesi di imputazione ai soci degli utili extracontabili realizzati da una società a ristretta base sociale. Proprio la circostanza che l’accertamento a carico di società a ristretta base integrasse il presupposto logico giuridico dell’accertamento a carico dei soci – in virtù della presunzione della distribuzione degli utili extracontabili fa conseguire l’applicabilità del raddoppio dei termini anche a carico dei singoli soci (Cass., 04/06/2025, n. 14989).
7. Con il sesto motivo è stata denunciata la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 7 legge n. 212 del 2000 e dell’art. 3 legge n. 241 del 1990, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
7.1. Con tale motivo viene rilevato che i ricorrenti, sin dall’atto introduttivo del giudizio (pag. 4 del ricorso), hanno contestato l’illegittimità dell’avviso di accertamento, in quanto motivato per relationem , con rinvio ad un altro avviso di accertamento elevato a carico della società RAGIONE_SOCIALE ma mai notificato alla RAGIONE_SOCIALE né ai soci della stessa. Mentre le sentenze di primo grado non avevano motivato in ordine a tale aspetto, i giudici di seconde cure hanno affermato che la denunciata carenza di motivazione non sussisteva, essendo chiaro che al Moria veniva chiesto il pagamento
di debenze tributarie direttamente derivate dalla rettifica reddituale riguardante la società RAGIONE_SOCIALE da lui partecipata.
7.2. Il motivo è inammissibile. Occorre premettere che, secondo questa Corte, nel processo tributario, ai fini della validità dell’avviso di accertamento non rilevano l’omessa allegazione di un documento o la mancata ostensione dello stesso al contribuente se la motivazione, anche se resa per relationem , è comunque sufficiente, dovendosi distinguere il piano della motivazione dell’avviso di accertamento da quello della prova della pretesa impositiva e, in misura corrispondente, l’atto a cui l’avviso si riferisce dal documento che costituisce mezzo di prova (Cass., 25/03/2024, n. 8016). Nel caso di specie la sentenza impugnata ha rilevato che « la denunciata carenza di motivazione non sussiste, ben essendo chiaro che al Moria veniva richiesto il pagamento di debenze tributarie direttamente derivate dalla rettifica reddituale riguardante la società RAGIONE_SOCIALE da lui partecipata, generica infine essendo la contestazione dell’erroneità in eccesso del computo del volume d’affari della medesima.»
La CTR ha, quindi, ritenuto che al sig. COGNOME veniva chiesto il pagamento di debenze tributarie conseguenti alla rettifica dei redditi della stessa società di cui era socio. Il motivo di ricorso si limita, invece, a evocare la mancata notificazione di un avviso di accertamento notificato alla RAGIONE_SOCIALE senza confrontarsi con la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha escluso la carenza motivazionale, evidenziando come l’accertamento nei confronti del socio traesse origine dall’accertamento della società di cui era socio.
8. Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio in favore della controricorrente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 5.900,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26/06/2025.