Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 860 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 860 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12722/2022 R.G., proposto
DA
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
l’Agenzia delle Entrate, c on sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore ;
INTIMATA
E
l’Agenzia delle Entrate – Riscossione, con sede in Roma, in persona del Presidente del Comitato di Gestione pro tempore ;
INTIMATA
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio il 19 aprile 2022, n. 1794/08/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19 dicembre 2023 dal Dott. NOME COGNOME
COMPENSAZIONE DELLE SPESE GIUDIZIALI RAGIONI
Rep .
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio il 19 aprile 2022, n. 1794/08/2022, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di cartella di pagamento in dipendenza di avviso di liquidazione dell’imposta di registro su un atto giudiziario, ha dichiarato l’estinzione del procedimento per cessazione della materia del contendere in conseguenza della formazione del giudicato esterno sulla decisione di annullamento della medesima cartella di pagamento in separato giudizio ed ha condannato la medesima alla rifusione delle spese giudiziali in favore dell’Agenzia delle Entrate e dell ‘Agenzia delle Entrate – Riscossione;
la Commissione tributaria regionale ha pronunziato la condanna alla rifusione delle spese giudiziali in base al principio della c.d. ‘ soccombenza virtuale ‘, valutando, per un verso, l’infondatezza dei motivi di appello, per altro verso, la violazione del principio di lealtà e correttezza processuale per la duplice impugnazione della medesima cartella di pagamento;
l ‘Agenzia delle entrate è rimasta intimata, non avendo depositato e notificato ai sensi dell’art. 370, primo comma, cod. proc. civ. – alcun controricorso (non essendo tale la mera ‘nota di costituzione’ depositata al dichiarato ‘solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza pubblica’) ; anche l ‘Agenzia delle Entrate – Riscossione è rimasta intimata;
la ricorrente ha depositato memoria illustrativa;
CONSIDERATO CHE:
il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 86, 92, 112 e 324 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma,
3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente pronunziata dal giudice di appello la condanna della contribuente alla rifusione delle spese giudiziali in favore dell’ente impositore e dell’agente della riscossione, nonostante la dichiarazione di estinzione del procedimento per cessazione della materia del contendere in conseguenza della formazione del giudicato esterno sulla sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Roma il 26 giugno 2019, n. 9228/05/2018, la quale aveva annullato la cartella di pagamento impugnata in questa sede, dovendo la medesima considerarsi parte vittoriosa in ragione di tale decisione e precludendo tale decisione ogni delibazione dei motivi di appello, senza nemmeno tener conto che l’ente impositore era costituito a mezzo di un proprio funzionario;
1.1 premesso che la tardiva costituzione dell’ente impositore deve considerarsi tamquam non esset , il motivo è inammissibile in relazione ai vari profili dedotti;
1.2 a ben vedere, le censure attingono la sentenza impugnata in relazione alla sola statuizione sulle spese giudiziali, non investendo la statuizione di cessazione della materia del contendere, che è, quindi, sottratta all’ambito del presente giudizio di legittimità, sulla base di quanto venne devoluto in appello e dei conseguenti motivi di ricorso, essendo la stessa coperta da giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329, secondo comma, cod. proc. civ.;
1.3 ciò considerato, spetta certamente al giudice del merito, nel caso in cui dichiari la cessazione della materia del contendere, di deliberare il fondamento della domanda per decidere sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale, ovvero per decidere se la domanda avrebbe dovuto essere accolta o rigettata ove non fosse intervenuta la
cessazione della materia del contendere, con apprezzamento di fatto la cui motivazione non postula certo di dar conto di tutte le risultanze probatorie e che è sindacabile in cassazione sol quando, a sua giustificazione, siano enunciati motivi formalmente illogici o giuridicamente erronei, cosa che non si evince nel caso di specie;
1.4 in materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimità trova ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza, ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, e ciò vale sia nel caso in cui la controversia venga decisa in ognuno dei suoi aspetti, processuali e di merito, sia nel caso in cui il giudice accerti e dichiari la cessazione della materia del contendere e sia, perciò, chiamato a decidere sul governo delle spese alla stregua del principio della c.d. ‘soccombenza virtuale’ ( da ultime: Cass., Sez. 1^, 31 agosto 2020, n. 18128; Cass., Sez. 2^, 28 dicembre 2022, n. 37857);
1.5 quando, pertanto, un giudizio sia stato definito con sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere comprensiva di condanna alle spese giudiziali a carico di una delle parti, è ammissibile il ricorso per cassazione sul capo della decisione concernente le spese giudiziali soltanto se il suo oggetto sia limitato alla verifica della correttezza dell’attribuzione della qualità di parte soccombente, attraverso il riscontro dell’astratta fondatezza delle ragioni delle difese spiegate dal ricorrente per cassazione (Cass. Sez. 3^, 14 luglio 2003, n. 10998; Cass., Sez. 2^, 28 dicembre 2022, n. 37857); 1.6 ora, con una motivazione analitica ed esaustiva, la sentenza impugnata ha compiutamente esposto gli argomenti in base ai quali il giudice di secondo grado ha delibato la probabile infondatezza dei motivi di appello, con i quali erano
state riproposte le doglianze addotte a fondamento dell’impugnazione della cartella di pagamento (in relazione al disconoscimento della conformità all’originale, alle modalità e agli adempimenti della notifica a mezzo pec, alla sottoscrizione del funzionario responsabile, ai criteri di calcolo degli interessi moratori, alla costituzione dell’ente impositore), ed ha specificamente ravvisato la slealtà processuale della contribuente, la quale aveva impugnato in separati giudizi nell’arco di breve tempo la med esima cartella di pagamento dinanzi allo stesso giudice di primo grado, tralasciando di dedurre l’annullamento giudiziale della cartella di pagamento (ancorché non ancora divenuto irrevocabile) sin dal procedimento di prima istanza o di sollecitare l’ente impositore alla caducazione della cartella di pagamento in sede di autotutela, per cui tali apprezzamenti di fatto non inducono ad affermare che la condanna alle spese inflitta alla ricorrente abbia errato nell’attribuzione allo stesso della qualità di soccombente;
1.7 su tali premesse, quindi, il riferimento del ricorrente ad una preclusione per il giudice di merito ad una verifica circa la verosimile fondatezza dei motivi di appello non ha ragion d’essere , essendo imprescindibile proprio per la delibazione della soccombenza virtuale;
1.8 del pari, è inconferente il richiamo alla costituzione dell’ente impositore a mezzo di un proprio funzionario, giacché l’opzione per la difesa ‘domestica’ ex art. 11, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non esclude che la soccombenza del contribuente ne giustifichi la condanna alla rifusione delle spese giudiziali, potendo al più incidere sulla misura dei compensi liquidabili ex art. 15, comma 2sexies , del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (nel testo novellato dall’art . 9,
comma 1, lett. f, n. 2, del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156), essendo pacifico che, nel processo tributario, alla parte pubblica assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, contenuto nell’art. 15, comma 2bis , del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti, che sono legittimati a svolgere attività difensiva nel processo (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 17 settembre 2019, n. 23055; Cass., Sez. 5^, 11 ottobre 2021, n. 27634; Cass., Sez. 5^, 1 giugno 2022, n. 17816; Cass., Sez. 5^, 24 ottobre 2023, n. 29439);
alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi l’inammissibilità del motivo dedotto, non resta al collegio che pronunziare l’ absolutio ab instantia ;
nulla deve essere disposto in ordine alla regolamentazione delle spese giudiziali, giacché le parti vittoriose non hanno svolto attività difensiva;
ai sensi dell’ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del r icorso; dà atto dell’obbligo, a carico del la ricorrente, di pagare l’ ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 19 dicembre