Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19910 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19910 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
NOME
-intimata – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 2889/2020 depositata in data 8/10/2020, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/06/2025 dal relatore consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Irpef Rimborso-Pensione complementare INPS
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10728/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis ;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME impugnava il silenzio rifiuto dell’amministrazione sulla richiesta di restituzione della maggior Irpef per le somme trattenute in eccedenza sulla pensione complementare alla stessa corrisposta dall’INPS per effetto della mancata applicaz ione del regime fiscale più favorevole previsto dall’art. 11, comma 6, d.lgs. 5/12/2005, n. 252, con decorrenza dall’1/01/2008.
La Commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva il ricorso.
La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello dell’Agenzia. In particolare, i giudici di appello, rigettata l’eccezione di inammissibilità per mancanza di indicazione della somma richiesta, hanno ritenuto che la contribuente avesse docu mentato l’importo del rimborso richiesto e che nel merito ella avesse ragione, a nulla rilevando l’anzianità del fondo e la sua soppressione prima della nuova normativa.
Contro tale decisione ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate, con due motivi.
La contribuente, al cui difensore in appello il ricorso è stato notificato a mezzo p.e.c., non svolge attività difensiva.
Il ricorso è stato fissato per l’adunanza del 20/06/2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate eccepisce violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 19, commi 1 e 3, lett. g), del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché degli artt. 37 e 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 60 2, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.
Deduce la ricorrente che erroneamente la C.T.R. non aveva rilevato l’inammissibilità del ricorso introduttivo in primo grado, non essendo configurabile, nel caso di specie, un’ipotesi di silenzio -rifiuto impugnabile, in quanto l’istanza amministrativa pres entata dal contribuente in realtà non conteneva una specifica istanza di rimborso,
trattandosi semplicemente di una istanza di rilascio di certificazione rivolta all’INPS perchè si attestasse il nuovo importo imponibile della propria pensione.
Con il secondo motivo , l’Agenzia censura la sentenza impugnata che non ha considerato che tutti i montanti previdenziali coperti dall’istanza di rimborso erano giunti a maturazione fino alla data ultima del 30/09/1999 (con la precisazione che la gestione complementare dell’INPS era stata so ppressa a partire dal 1°/10/1999), sicché, come previsto dall’art. 23, commi 5 e 7, d.lgs. n. 252 del 2005, ai medesimi importi non era applicabile il regime tributario agevolato di cui all’articolo 11.
2. Il primo motivo è fondato.
Secondo un costante orientamento della Corte «Le domande di rimborso, prive delle indicazioni inerenti gli estremi di versamento e gli importi relativi all’ammontare delle ritenute IRPEF, nonché della indicazione degli importi chiesti in restituzione, non possono considerarsi giuridicamente valide e non sono, dunque, idonee alla formazione del silenzio-rifiuto impugnabile, in quanto non consentono di valutare la fondatezza o meno della richiesta; né tale vizio è sanabile con il successivo deposito di documenti, atti a colmare le lacune predette, deposito che è comunque tardivo, in quanto intervenuto nel corso di un procedimento che non avrebbe dovuto neppure essere iniziato» (Cass. 30/11/2012, n. 21400; conforme, Cass. 20/03/2000, n. 3250 e in riferimento a caso analogo al presente Cass. 24/10/2019, n. 27337 e Cass. 5/07/2023, n. 19001; Cass. 19/04/2023, n. 10527; Cass. 22/02/2023, n. 5531); inoltre «La proposizione di un’azione di accertamento nel giudizio tributario, pur essendo estranea al modulo
di tale processo, da introdursi necessariamente con l’impugnazione di specifici atti, non dà luogo ad un’ipotesi di difetto di giurisdizione essendo questa attribuita in via esclusiva e ” ratione materiae “, e non in considerazione dell’oggetto della domanda – ma all’improponibilità di quest’ultima, che è rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 382, comma 3, cod. proc. civ., con conseguente cassazione senza rinvio della decisione di merito che si sia pronunciata su di essa, nonostante l’inesistenza di un atto (anche di solo silenzio rigetto) impugnabile» (Cass., Sez. U., 23/12/2009, n. 27209).
Orbene, nel caso di specie emerge dal ricorso, ove l’istanza è stata trascritta, che si trattasse di una richiesta del tutto generica, rivolta principalmente all’INPS, senza alcuna indicazione degli atti di imposta e volta a ottenere la quantificazione di quanto dovuto, e quindi di fatto propedeutica ad una vera e propria istanza di rimborso e prima ancora a ottenere di non far operare le ritenute.
Di conseguenza, non essendo contestato il fatto che l’importo oggetto dell’istanza fosse indeterminato, tale mancanza, per la consolidata giurisprudenza della Corte sopra richiamata e che va ribadita in questa sede, preclude la formazione del silenzio-rifiuto.
Pertanto, ha errato la C.T.R. a ritenere, senza peraltro alcuna reale motivazione, che la parte avesse quantificato, in base alla documentazione ad essa disponibile, l’importo del rimborso ad essa spettante.
3. In conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso e assorbito il secondo, la sentenza va cassata senza rinvio ex art. 382, ultimo comma, cod. proc. civ. perché la causa non poteva essere proposta.
In merito alle spese, vanno compensate le spese dei gradi di merito mentre la parte intimata va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’originario ricorso introduttivo; compensa le spese dei gradi di merito; condanna NOME COGNOME a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore di Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 1.400,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2025.