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Silenzio assenso riscossione: quando non si applica

Una società ha contestato un’intimazione di pagamento, invocando l’annullamento automatico del debito tramite il meccanismo del silenzio assenso riscossione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, chiarendo che tale procedura si applica solo a ipotesi specifiche e tipizzate dalla legge, che il contribuente ha l’onere di indicare e provare. La Corte ha stabilito che una richiesta generica non è sufficiente per attivare l’annullamento automatico del debito dopo 220 giorni di silenzio dell’ente.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Silenzio Assenso Riscossione: La Cassazione Chiarisce i Limiti per l’Annullamento del Debito

Il meccanismo del silenzio assenso riscossione, introdotto dalla Legge di Stabilità 2013 (L. n. 228/2012), rappresenta uno strumento cruciale per il contribuente per ottenere l’annullamento di un debito in caso di inerzia dell’ente creditore. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica né generalizzata. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali sui presupposti necessari per attivare questa procedura, sottolineando che il contribuente deve specificare a quale delle ipotesi tassativamente previste dalla legge si riferisce la sua istanza.

I Fatti del Caso: Un’Intimazione di Pagamento Contestata

Una società del settore automotive riceveva un’intimazione di pagamento da parte dell’agente della riscossione. La società decideva di impugnare l’atto, ma il ricorso in primo grado veniva dichiarato inammissibile perché tardivo rispetto alla notifica della cartella esattoriale originaria.

In appello, la società introduceva un nuovo argomento: sosteneva che, avendo presentato un’istanza di sospensione ai sensi della L. n. 228/2012, il debito si sarebbe dovuto considerare annullato di diritto a causa del decorso di oltre 220 giorni senza risposta da parte dell’ente (il cosiddetto silenzio assenso riscossione). La Commissione Tributaria Regionale, tuttavia, rigettava l’appello, considerando l’argomento una ‘domanda nuova’ e quindi inammissibile a quel punto del processo. La questione è così giunta all’attenzione della Corte di Cassazione.

La Questione del Silenzio Assenso Riscossione e la sua Applicazione

Il cuore della controversia ruotava attorno all’interpretazione dell’art. 1, commi 537-544, della Legge n. 228/2012. Questa normativa prevede che un contribuente possa presentare una dichiarazione all’agente della riscossione per chiedere la sospensione della procedura esattiva, documentando che le somme richieste sono interessate da specifiche cause, quali:

* Prescrizione o decadenza del diritto di credito.
* Provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore.
* Sospensione amministrativa o giudiziale.
* Pagamento già effettuato.
* Qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito.

Se l’ente creditore non risponde all’agente della riscossione entro 220 giorni, le partite contestate vengono annullate di diritto. Il punto cruciale, come evidenziato dalla Cassazione, è che l’effetto dell’annullamento è strettamente legato a queste ipotesi tipizzate.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, pur correggendo la motivazione della sentenza d’appello. La Corte ha chiarito che l’argomento del silenzio assenso non costituiva una ‘domanda nuova’, bensì la deduzione di un fatto estintivo del credito. Tuttavia, nel merito, la pretesa della società è stata ritenuta infondata.

La Cassazione ha stabilito che l’effetto di annullamento automatico del debito previsto dalla legge è legato indissolubilmente alle ipotesi espressamente elencate nel comma 538. Non è sufficiente presentare una generica istanza di sospensione. Il contribuente ha l’onere di specificare chiaramente quale delle cause previste dalla norma ricorre nel suo caso concreto. Nel caso di specie, la società non aveva indicato a quale delle ipotesi legali si riferisse la sua istanza, rendendo di fatto inapplicabile il meccanismo del silenzio assenso riscossione.

Inoltre, la Corte ha confermato che la Commissione Tributaria d’appello aveva correttamente esaminato e respinto anche gli altri motivi di ricorso relativi ai vizi propri dell’intimazione di pagamento, ritenendo l’atto sufficientemente motivato e conforme alla normativa.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica per contribuenti e professionisti. L’istituto del silenzio assenso è una potente arma di tutela, ma il suo utilizzo richiede precisione e rigore. Per ottenere l’annullamento di diritto di un debito, non basta denunciare il silenzio dell’ente; è indispensabile che l’istanza iniziale sia fondata su una delle cause specifiche previste dalla legge e che ciò sia chiaramente esplicitato nella dichiarazione presentata all’agente della riscossione. Una richiesta vaga o generica non attiverà la procedura di annullamento automatico, esponendo il contribuente al rigetto delle proprie pretese e alla prosecuzione delle azioni di recupero del credito.

Quando si applica il meccanismo del silenzio assenso per l’annullamento dei debiti con l’agente della riscossione?
Si applica quando il contribuente presenta una dichiarazione all’agente della riscossione fondata su una delle cause specifiche ed espressamente tipizzate dall’art. 1, comma 538, della legge n. 228 del 2012 (es. prescrizione, sgravio, pagamento già avvenuto) e l’ente creditore non fornisce riscontro entro il termine di 220 giorni.

Presentare un’istanza di sospensione generica garantisce l’annullamento del debito se l’ente non risponde?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’effetto dell’annullamento di diritto non consegue a una qualsivoglia istanza, ma è strettamente legato alle ipotesi espressamente previste dalla legge. Il contribuente deve specificare quale di queste ipotesi ricorre nel suo caso.

Se un ricorso è tardivo rispetto alla cartella originaria, si possono ancora contestare i vizi propri della successiva intimazione di pagamento?
Sì, è possibile. Anche se l’impugnazione è tardiva per contestare il merito della pretesa contenuta nella cartella di pagamento, il contribuente può sempre far valere i vizi propri dell’intimazione di pagamento successiva (es. difetto di motivazione, omessa indicazione del responsabile del procedimento), che devono essere esaminati dal giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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