Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32998 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32998 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21954/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO (EMAIL -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA del LAZIO n. 1054/2016 depositata il 24/02/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio ( hinc : CTR), con la sentenza n. 1054/2016, depositata il 24/02/2016, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza n. 18249/2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso avverso l’avviso di intimazione con il quale l’agente per la riscossione aveva chiesto il pagamento di Euro 30.562,79.
La CTR ha ritenuto infondato l’appello proposto dalla contribuente per i motivi di seguito indicati:
-tardività e conseguente inammissibilità (ex art. 57 d.lgs. 31/12/1992, n. 546) della domanda relativa al presunto annullamento della pretesa impositiva ex art. 1, comma 540, legge n. 24/12/2012, n. 228. Il giudice d’appello ha evidenziato come l’art. 32 d.lgs. n. 546 del 1992 permetta il deposito di memorie illustrative, mentre l’integrazione dei motivi ex art. 24 d.lgs. n. 546 del 1992 è possibile solo nell’ipotesi di deposito di documenti non conos ciuti ad opera delle parti o per ordine della commissione;
-il ricorso originario è tardivo, in quanto l’intimazione di pagamento è stata preceduta, in data 13/09/2006, dalla notificazione della cartella esattoriale relativa allo stesso debito. Di conseguenza, il ricorso notificato in data 01/03/2013 è proposto oltre i termini previsti dall’art. 21 d.lgs. n. 546 del 1992. Tanto più che il contribuente, in data 08/02/2011, aveva presentato istanza di rateizzazione relativa alla cartella di pagamento sottesa
all’intimazione impugnata (accolta in data 15/06/2011). Non è quindi possibile sostenere che sia stata omessa la notificazione della cartella che risulta regolarmente notificata, a mezzo posta ex art. 26 d.P.R. n. 602 del 1973, presso la sede legale della società, in Roma, INDIRIZZO con consegna a persona addetta alla casa ufficio o azienda. Sul punto non assume rilievo la denominazione della contribuente come RAGIONE_SOCIALE o RAGIONE_SOCIALE trattandosi dello stesso soggetto, come risulta dall’identica partita IVA. Considerata, pertanto, la tempestività della notificazione della cartella di pagamento il ricorso contro l’atto di intimazione è inammissibile e tardivo ai sensi dell’art. 21 d.lgs. n. 546 del 1992, nella parte in cui sostiene l’illegittimità delle somme intimate con le cartelle di pagamento non impugnate e regolarmente notificate;
– pretestuosità degli altri motivi di impugnazione, con riferimento alla nullità della notificazione della cartella di pagamento per mancata redazione della relata di notifica (considerato che la notifica è avvenuta a mezzo del servizio postale). È parimenti valida la notifica della cartella esattoriale eseguita direttamente dal concessionario (art. 45 e 65 d.lgs. 13/04/1999, n. 112 e 14 legge 20/11/1982, n. 890 e 60 d.P.R. 29/09/1973 n. 600). È infondata anche la contestazione relativa alla mancata motivazione dell’avviso di intimazione ex art. 60 d.P.R. n. 602 del 1973, tanto più che quest’ultimo è stato redatto in conformità al modello ministeriale. Lo stesso vale anche per la mancata indicazione dei termini per l’impugnazione e dell’autorità a cui ricorrere. Infine, alla luce della notificazione della cartella di pagamento, è stata considerata infondata anche l’eccezione di prescrizione.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in cassazione con cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE ( hinc : RAGIONE_SOCIALE o controricorrrente) ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata contestata la nullità della sentenza nella parte in cui ha omesso di rilevare il difetto di pronuncia del giudice di primo grado in ordine alla formazione del silenzio assenso sull’istanza di sospensione, in relazione all’art. 360, primo comma n. 4, cod. proc. civ.
1.1. La ricorrente rileva che la sentenza impugnata sia da considerare nulla per la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Viene contestato alla CTR di aver omesso di rilevare il mancato esame da parte dei giudici di primo grado della richiesta di dichiarazione dell’intervenuto annullamento ex lege (art. 1, comma 540, legge n. 228 del 2012). Ad avviso della ricorrente quest’ul timo è una conseguenza automatica dell’infruttuoso decorso del termine perentorio fissato dal comma 540 dell’art. 1 d.l. n. 228 del 2012, risultando indipendente dalla fondatezza e legittimità della pretesa impositiva, in quanto connesso, in via esclusiva, all’inerzia dell’ente creditore. Si tratta, quindi, di una vera e propria sanzione a carico dell’ente creditore che omette di pronunciarsi tempestivamente sulla richiesta del debitore.
Con il secondo motivo di ricorso è stata contestata la violazione e falsa applicazione degli artt. 57, 24 e 32 d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. e l’illegittimità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto inammissibile la deduzione relativa all’intervenuta formazione del silenzio-assenso ex legge n. 228 del 2012.
2.1. Ad avviso della ricorrente i giudici di secondo grado hanno ritenuto che la richiesta di annullamento della pretesa impositiva ex
legge n. 228 del 2012 integrasse una domanda nuova e, come tale, inammissibile ex art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992. La ricorrente rileva, quindi, come, secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, si possa parlare di domanda nuova in presenza dell’allegazione di elementi idonei a modificare in maniera sostanziale l’oggetto dell’azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa da quella avanzata con l’atto introduttivo. Ritiene, quindi, che il caratt ere innovativo dell’allegazione controversa sia escluso dalla stessa struttura impugnatoria del processo tributario, atteso che la domanda proposta non potrà che risolversi nella richiesta di annullamento dell’atto impugnato, eventualmente associata a quel la della sua sospensione cautelare. Di conseguenza, la deduzione, durante la prima fase del giudizio, dell’intervenuta formazione del silenzio -assenso (e del conseguente annullamento di diritto delle pretese creditorie sottese all’atto impugnato) non può v alidamente inquadrarsi come «domanda» o come «eccezione» nuova, in quanto identicamente ordinata -al pari dei motivi originariamente proposti -all’annullamento dello stesso atto e dei relativi atti presupposti. Solo per effetto della conclusione del primo grado di giudizio, in sede di impugnazione della pronuncia che ne definisce gli esiti, si ha la cd. cristallizzazione del thema decidendum , con la conseguente limitazione delle contestazioni da parte del contribuente nel corso del giudizio di secondo grado (cd. divieto di ius novorum stabilito dall’art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992 ). La norma non può essere assunta neppure a fondamento della declaratoria di inammissibilità dell’atto d’appello proposto dal contribuente, non essendo sostenibile, né sul piano logico, né su quello giuridico l’inquadramento di una domanda proposta in primo grado e riproposta in appello come domanda nuova.
Non è, inoltre, plausibile il richiamo agli artt. 24 e 32 d.lgs. n. 546 del 1992: mentre la seconda norma circoscrive l’oggetto delle memorie illustrative alla precisazione delle argomentazioni difensive già formulate negli atti introduttivi, la prima norma consente l’integrazione dei motivi di ricorso in presenza di circostanze di carattere sopravvenuto emergenti dai documenti depositati dalle altre parti. Di conseguenza, se tale riapertura viene consentita in presenza di documenti nuovi, deve ritenersi legittima, a maggior ragione, l’evidenziazione delle conseguenze giuridiche ricondotte dall’ordinamento, in ragione del decorso del tempo, a documenti allegati dal contribuente unitamente al ricorso introduttivo.
Con il terzo motivo di ricorso è stata contestata la nullità della sentenza nella parte in cui ha inquadrato come «nuovo elemento» l’istanza di sospensione ex legge n. 228 del 2012 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
3.1. La ricorrente evidenzia come l’istanza di sospensione ex legge n. 228 del 2012 fu oggetto di allegazione fin dal primo grado di giudizio e che all’epoca del deposito del ricorso non avrebbe potuto essere proposto alcun motivo di annullamento fondato su tale istanza, non essendo ancora decorso il termine di duecentoventi giorni previsto nell’art. 1, comma 540, legge n. 228 del 2012, ai fini della formazione del silenzio assenso. In base ai commi 537 ss. della disposizione appena richiamata il soggetto raggiunto dalla notificazione di un atto esattivo o di un atto della procedura cautelare o esecutiva può chiedere la sospensione immediata delle procedure di riscossione entro novanta giorni dal ricevimento dell’atto (termine successivamente ridotto a sessa nta giorni ad opera dell’art. 1 d.lgs. n. 159 del 2015). L’istanza deve essere accompagnata da una dichiarazione con la quale venga documentato che gli atti emessi dall’ente creditor e prima della formazione del ruolo o la successiva
cartella di pagamento o l’avviso per cui si procede sono interessati da: a) prescrizione o decadenza del diritto di credito sotteso, intervenuta in data anteriore a quella in cui il ruolo è stato reso esecutivo; b) un provvedimento di sgravio emesso dall’e nte creditore; c) una sospensione amministrativa comunque concessa dall’ente creditore; d) una sospensione giudiziale oppure una sentenza che abbia annullato in tutto o in parte la pretesa dell’ente creditore, emesse in un giudizio al quale il concessionario della riscossione non ha preso parte; e) un pagamento eseguito e riconducibile al ruolo, anteriore alla sua formazione; f) qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso.
Ricevuta tale dichiarazione l’ente incaricato per la riscossione è tenuto a sospendere immediatamente la procedura e a inoltrare, entro dieci giorni, l’istanza all’ente creditore, tenuto a riscontrare le circostanze allegate dal contribuente. Decorsi sessa nta giorni l’ente impositore è tenuto a confermare al contribuente la correttezza o ad avvertirlo dell’inidoneità dell’apparato probatorio prodotto, trasmettendo, contestualmente, all’agente della riscossione il provvedimento di sospensione o sgravio o di inidoneità della documentazione presentata dal debitore a mantenere la sospensione. Nel caso in cui l’ente impositore ometta l’invio di tali comunicazioni l’art. 1, comma 540, legge n. 228 del 2012 prevede che, trascorso inutilmente il termine di duecentoventi giorni dalla data di presentazione della dichiarazione del debitore al concessionario, le partite siano annullate, con l’automatico discarico dei relativi ruoli. Nel caso di specie, a fronte dell’istanza di sospensione inviata il 13/03/2013, il silenzio-assenso si è perfezionato il 20/10/2013. Il contribuente ha provveduto, pertanto, ad allegare l’istanza al ricorso introduttivo, deducendo il perfezionamento del cd. silenzio-assenso. La sentenza impugnata
deve, quindi, ritenersi nulla, in quanto emessa in violazione degli artt. 18 e 57 d.lgs. n. 546 del 1992 per aver ritenuto la richiesta di annullamento inammissibile, ai sensi dell’art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto domanda nuova.
Con il quarto motivo di ricorso è stata contestata la nullità della sentenza impugnata per aver ritenuto tardivo e conseguentemente inammissibile il ricorso ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 4, cod. proc. civ.
4.1. La ricorrente rileva che la sentenza impugnata ha ritenuto tardivo il ricorso originario, dal momento che l’intimazione di pagamento era stata preceduta dalla notificazione, in data 13/06/2007, della cartella esattoriale per lo stesso debito d’imposta . La CTR ha, tuttavia, trascurato che il ricorso introduttivo non era incentrato solamente sui vizi derivati dell’intimazione impugnata (per omessa notifica della cartella prodromica), ma che erano altresì contestati anche i vizi dell’intimazione stessa. S i trattava in particolare dei motivi 4 (difetto di motivazione dell’intimazione), 5 (illegittimità dell’intimazione per mancanza delle indicazioni tassativamente previste dalla normativa di riferimento in ordine alle modalità, ai termini, all’organo giurisdizionale o all’autorità amministrativa cui indirizzare l’eventuale atto di impugnazione), 6 (omessa indicazione di un effettivo responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e omessa sottoscrizione del responsabile del procedimento dell’intimazione) , 8 (non corrispondenza degli importi iscritti a ruolo risultanti dalla cartella di pagamento -individuati dalla contribuente a seguito dell’interrogazione dell’estratto dei ruoli del 25/02/2013 -rispetto a quelli risultanti dall’intimazione), 9 (l’intim azione era posta a fondamento di pignoramenti di importo superiore a tre milioni di euro e veniva rilevato che « dal momento che tutte le asserite pretese avrebbero riguardato un omesso
versamento, complessivamente, rilevante sul piano penale, l’intimazione era illegittima anche per violazione del principio di specialità e per la mancata applicazione del cumulo giuridico (in subordine si chiedeva quindi l’annullamento delle sanzioni amministrative). »
Con il quinto motivo di ricorso è stata contestata la nullità della sentenza nella parte in cui la CTR ha omesso di rilevare il difetto di pronuncia del giudice di primo grado in ordine ai vizi propri dell’intimazione in relazione all’art. 360, primo comma n. 4, cod. proc. civ.
5.1. La ricorrente rileva, ad integrazione di quanto evidenziato nel precedente motivo di ricorso, che la CTR ha interpretato erroneamente la domanda proposta dalla società contribuente, che non si è limitata a chiedere una nuova valutazione dei profili di illegittimità dedotti, ma ha chiesto, prima di tutto, di rilevare il difetto di pronuncia del collegio di primo grado come emerge dalla stessa formulazione dei motivi. Richiama quindi il motivo n. 3 (« Illegittimità sentenza per non aver rilevato i giudici gli ulteriori vizi degli atti impugnati, quali l’omessa indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e del responsabile del procedimento dell’intimazione », come da pag. 1517 dell’atto d’appello) e n. 4 («Illegittimità della sentenza per non aver, i giudici di prime cure, ritenuto l’intimazione carente di motivazione», come da pag. 1721 dell’atto d’appello).
5.2. Rileva, quindi, che i giudici d’appello, anziché valutare, in conformità alla domanda dell’appellante, l’operato dei giudici di primo grado, hanno statuito, de plano , sul merito delle questioni rappresentate, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
La controricorrente ha contestato la fondatezza del primo motivo di ricorso, evidenziando di aver eccepito, in entrambi i gradi
di giudizio, l’inammissibilità del ricorso, in quanto tardivo ai sensi dell’art. 21 d.lgs. n. 546 del 1992. Era stata sottolineata, infatti, la corretta notificazione (in data 22/07/2010) della cartella, con la conseguente decorrenza -alla data della notificazione dell’impugnazione dell’intimazione di pagamento del termine ex art. 21 d.lgs. n. 546 del 1992.
6.1. Anche il secondo e il terzo motivo sono inammissibili o, comunque, infondati. Sotto quest’ultimo profilo la controricorrente evidenzia come, nel caso di specie, non si sia verificato nessun annullamento ex legge n. 228 del 2012 considerata sia la carenza dei presu pposti in capo alla contribuente, sia l’erronea qualificazione della nota trasmessa all’agente della riscossione sia della non veridicità della circostanza del mancato riscontro da parte di Equitalia Sud. In particolare, l’istanza trasmessa da lla contribuente, in data 19/04/2013, si doleva solo ed esclusivamente dei vizi attinenti all’operato dell’Agente della Riscossione e non poteva, quindi, avere rilievo ai sensi della legge n. 228 del 2012, non ricorrendo nessuna delle ipotesi previste nei commi 537544 dell’art. 1 della legge appena evocata. Le istanze, anziché essere correttamente qualificate come richieste di sospensione ex legge n. 228 del 2012, non costituivano altro che la pedissequa riproposizione del ricorso e delle memorie integrative del presente giudizio e non erano, comunque, formulate con gli appositi moduli predisposti di concerto con l’Agenzia delle Entrate. Peraltro, non solo l’agente per la riscossione non aveva nessun obbligo di riscontrare istanze non conformi a quanto previsto nella legge n. 228 del 2012, ma con nota trasmessa alla ricorrente, in data 12/12/2013, rendeva edotta la controparte, oltre che della tardività e infondatezza delle doglianze sollevate nella sua istanza e nel ricorso introduttivo, anche dell’inapplic abilità della legge n. 228 del 2012, che riguarda aspetti di pertinenza dell’ente
impositore e non dell’agente della riscossione. Peraltro, la normativa del 2012 ricalcava proprio la Direttiva (di Equitalia) n. 10 del 2010, dove si stabiliva che il debitore poteva informare l’ente di riscossione dell’esistenza di cause anteriori alla formazione del ruolo che potessero incidere sulla pretesa impositiva (documento di sgravio o sospensione, provvedimento emesso alla magistratura o che attestasse il pagamento avvenuto in data anteriore alla formazione del ruolo). Tale prassi è stata ripresa nelle ipotesi delineate nell’art. 1, comma 538, legge n. 228 del 2012, che riguardano -anche nell’ipotesi di chiusura prevista nella lettera f), dove viene richiamata qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso -questioni di merito dell’ ente impositore e mai aspetti di competenza dell’agente della riscossione. Con riferimento agli aspetti relativi all’inammissibilità della domanda ha poi evidenziato come quest’ultima ipotesi si verifich i anche quando venga prospettata una diversa causa petendi (Cass., 30/07/2007, n. 16829 e Cass. 23/05/2005, n. 10864).
6.2. Infine, la controricorrente ha contestato anche la fondatezza del quarto e del quinto motivo di ricorso, evidenziando come le doglianze della parte ricorrente si sostanzino in un’ammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti della commissione di secondo grado, preclusa al giudice di legittimità.
I primi tre motivi di ricorso -che richiamano sotto diversi profili la normativa contenuta nell’art. 1, commi 537 -544, legge n. 228 del 2012 -possono essere esaminati congiuntamente.
7.1. Con il primo motivo di ricorso viene contestata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 , cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per l’omesso rilievo del difetto di pronuncia del giudice di primo grado sull’intervenuta formazione del cd. silenzio -assenso, mentre con il secondo motivo il medesimo parametro
normativo è evocato, sempre contestualmente al profilo processuale scandito dalla disciplina delle preclusioni contenuta negli artt. 24 e 57 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Infine, la questione dell’avv enuta formazione del silenzio-assenso ex art. 1, comma 5, legge n. 228 del 2012, viene veicolata, con il terzo motivo, in relazione alla contestata tardività della domanda di annullamento.
7.2. Occorre rilevare, diversamente da quanto ritenuto dalla CTR, che la ricorrente, invocando l’annullamento in relazione all’asserita formazione del cd. silenzio -assenso sulle proprie istanze depositate ai sensi dell’art. 1, comma 537, legge n. 228 del 2012 , non ha fatto valere, in realtà, un motivo aggiunto relativo all’atto originariamente impugnato, bensì una pretesa causa di estinzione del credito portato dall’atto impugnato e da quello presupposto.
La ricorrente non ha, tuttavia, indicato (neppure nella presente sede) a quale, tra le ipotesi indicate nell’art. 1, comma 538, legge n. 228 del 2012, intendesse fare riferimento.
Come già rilevato da questa Corte (Cass., 05/11/2019, n. 28354): « Con l’obiettivo di migliorare la relazione con i debitori, che hanno subito, iscrizioni a ruolo, e quindi con l’esigenza di attivare la riscossione solo in presenza di un valido titolo esecutivo, il legislatore ha cristallizzato una prassi già esistente (in tal senso direttiva Equitalia n. 10 del 6-5-2010).» Tale prassi è stata recepita nell’art. 1, commi 537-544, legge n. 228 del 2012.
L’art. 1, comma 538, legge n. 228 del 2012 (nella versione applicabile ratione temporis al caso in esame, dove l’istanza di sospensione del contribuente è stata presentata in data anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2015) prevede che: « Ai fini di quanto stabilito al comma 537, entro novanta giorni dalla notifica, da parte del concessionario per la riscossione, del primo atto di
riscossione utile o di un atto della procedura cautelare o esecutiva eventualmente intrapresa dal concessionario il contribuente presenta al concessionario per la riscossione una dichiarazione anche con modalità telematiche, con la quale venga documentato che gli atti emessi dall’ente creditore prima della formazione del ruolo, ovvero la successiva cartella di pagamento o l’avviso per i quali si procede, sono stati interessati:
da prescrizione o decadenza del diritto di credito sotteso, intervenuta in data antecedente a quella in cui il ruolo è reso esecutivo;
da un provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore;
da una sospensione amministrativa comunque concessa dall’ente creditore;
da una sospensione giudiziale, oppure da una sentenza che abbia annullato in tutto o in parte la pretesa dell’ente creditore, emesse in un giudizio al quale il concessionario per la riscossione non ha preso parte;
da un pagamento effettuato, riconducibile al ruolo in oggetto, in data antecedente alla formazione del ruolo stesso, in favore dell’ente creditore;
f) da qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso. » Per quanto la formulazione della norma si nutra di un’elencazione casistica che si chiude con una clausola generale ( i.e. quella relativa alla causa di non esigibilità del credito sotteso) l’effetto di annullamento di diritto delle partite -così come la loro eliminazione dai ruoli affidati all’agente della riscossione ex art. 1, comma 540, legge n. 228 del 2012 (quale conseguenza del mancato riscontro dell’ente creditore all’istanza del contribuente) – è legato alle ipotesi espressamente tipizzate nell’art . 1, comma 538, legge n. 228 del 2012 e non a ogni e qualsivoglia istanza presentata dal contribuente.
La parte ricorrente, nell’illustrazione dei motivi di ricorso interessati dalla legge n. 228 del 2012, non ha specificato quale, tra le ipotesi indicate nell’art. 1, comma 538, legge n. 228 del 2012 ricorresse nel caso concreto e non ha neppure indicato espressamente a quali partite si riferisse l’istanza presentata ex art. 1, comma 537, legge n. 228 del 2012.
L ‘ effetto previsto dall’art. 1, comma 540, legge n. 228 del 2012 (e l’annullamento delle partite ricollegate alle ipotesi previste dal comma 538 con l’eliminazione dai ruoli affidati all’agente della riscossione) costituisce l’esito di una fattispecie a formazione progressiva, articolata nei seguenti passaggi:
-presentazione di una dichiarazione da parte del debitore, limitatamente alle partite relative agli atti espressamente indicati dal debitore, effettuata ai sensi del comma 538 dell’art. 1 legge n. 228 cit.;
-inclusione delle partite in una delle ipotesi indicate nell’art. 1, comma 538, legge n. 228
-inutile decorso del termine di duecentoventi giorni (art. 1, comma 5, legge n. 228 del 2012.
La richiesta di annullamento dell’atto impositivo si fonda sul rilievo di nuovi e diversi fatti estintivi che incidono sia sulla pretesa sostanziale (comportando l’annullamento di diritto delle partite interessate dalle ipotesi indicate nell’art. 1, comma 538 , legge n. 228 del 2012), sia sull’attività di riscossione (determinando l’eliminazione delle partite dai ruoli affidati all’agente della riscossione).
Ora, se è vero che l’art. 1, comma 540, legge n. 228 del 2012 solo successivamente alle modifiche apportate dall’art. 1 d.lgs. n. 159 del 2015 prevede che: « L’annullamento non opera in presenza di motivi diversi da quelli elencati al comma 538 ovvero nei casi di sospensione giudiziale o amministrativa o di sentenza non definitiva
di annullamento del credito. », è altrettanto vero che questa Corte ha precisato che: « Tale disposizione è stata inserita dalla novella per la rilevanza dell’istituto per le casse erariali e per evitarne potenziali applicazioni distorsive, con la presentazione di istanze di sospensione solo pretestuose.» precisando al contempo che « la disposizione per cui l’annullamento non opera in presenza di motivi diversi da quelli elencati al comma 538 deve considerarsi, in parte qua, una clausola di chiusura, confermativa dell’impianto preesistente. » (Cass., 23/04/2024, n. 10939).
Di conseguenza, i primi tre motivi sono infondati, essendo sufficiente la correzione della motivazione resa dal giudice di seconde cure ai sensi dell’art. 384, comma 4, cod. proc. civ.
7.3. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. per aver ritenuto tardivo e, conseguentemente, inammissibile il ricorso introduttivo, tenuto conto che l’intim azione di pagamento era stata preceduta dalla notificazione della cartella di pagamento in data 22/07/2010 per lo stesso debito d’imposta. La ricorrente -che non ripropone nella presente sede alcuna censura inerente alla notificazione della cartella di pagamento -contesta la sentenza impugnata per aver omesso di considerare come il ricorso introduttivo non fosse esclusivamente incentrato sulla deduzione dell’illegittimità derivata dell’intimazione impugnata per omessa notifica della cartella prodromica e dei vizi propri di quest’ultima ex art. 19, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992, ma riguardasse anche numerosi vizi dell’atto di intimazione. Richiama, quindi i contenuti dei motivi n. 4, 5, 6, 8 e 9 richiamando le pag. 12 ss. del ricorso introduttivo indicato sub doc. 3).
Il motivo è infondato dal momento che la sentenza impugnata prende posizione anche in relazione ai vizi (contestati) dell’atto di
intimazione, ritenendo infondata la contestazione relativa alla mancata impugnazione dell’atto di intimazione, in quanto l’art. 50 d.P.R. n. 602 del 1973 non prevede un obbligo di motivazione dell’attivo di intimazione e rileva che « ciò nonostante, si fa presente che detti avvisi debbano contengono l’indicazione del debito, distinto per imposte sovrattasse, pene pecuniarie, interessi, ed il richiamo dell’atto precedentemente notificato al quale si fa riferimento (ossia la cartella esattoriale). »
Nella sentenza impugnata si legge, poi, che: « Per quanto riguarda il responsabile del procedimento (che peraltro si evidenzia è chiaramente indicato nell’atto impugnato) ed l’omessa indicazione dei termini e dell’autorità cui ricorrere, il Collegio ricorda il costante insegnamento della Suprema Corte di Cassazione Sez. Tributaria che anche recentemente con la Sentenza n. 15143 del 26.06.2009 ribadendo un orientamento ormai consolidato … ha ribadito che la ‘mancata indicazione nell’atto amministrativo (e nel la specie di una cartella di pagamento) del termine d’impugnazione e dell’organo dinanzi al quale può essere proposto ricorso non inficia la validità dell’atto ma comporta sul piano processuale il riconoscimento della scusabilità dell’errore in cui sia eve ntualmente incorso il ricorrente. » Nonostante alcuni refusi contenuti nelle parti della sentenza impugnata appena riportate, è evidente come la stessa si sia occupata (anche) dei vizi relativi all’atto di intimazione. Quest’ultima è stata, infatti, analizzata dal giudice di secondo grado che l’ha ritenuta corretta.
7.4. Infine, è da ritenere infondato anche il quinto motivo di ricorso, dove la parte ricorrente rileva che la sentenza impugnata abbia omesso di rilevare il difetto di pronuncia del giudice di primo grado in ordine ai vizi propri dell’intimazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
La ricorrente contesta, in particolare, che « i giudici d’appello, in luogo di valutare -in conformità alla domanda dell’appellante l’operato dei giudici di primo grado, hanno de plano statuito sul merito delle questioni rappresentante, definendole nei seguenti termini … »
Come già indicato, il motivo è infondato, considerato che, secondo questa Corte: « I l giudice di appello, cumulandosi davanti al medesimo le fasi rescindente e rescissoria, ha il potere di pronunciare su di una domanda sia qualora il primo giudice abbia omesso di decidere su di essa sia ove venga in rilievo una pronuncia viziata perché adottata in un procedimento conclusosi con una sentenza l’annullamento della quale non comporti l’obbligo di rimessione al primo giudice ex artt. 353 e 354 c.p.c. » (Cass., 17/05/2019, n. 10744). I l giudice d’appello non è chiamato , quindi, a pronunciarsi sull’operato del giudice di primo grado, ma conosce del medesimo rapporto sostanziale dedotto davanti a quest’ultimo nei limiti delle censure proposte con i motivi d’appello.
8. Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della parte controricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 2.400,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo uni ficato pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 09/10/2024.