Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32348 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32348 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
Oggetto: legge 228/2012
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15920/2016 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv . NOME COGNOME (PEC: EMAIL) elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza n.6775/14/15 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio depositata il 16.12.2015, non notificata. camerale del 9 ottobre 2024
Udita la relazione svolta nell’adunanza dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio veniva rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 13544/2/14, con la quale il giudice aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’ avviso di intimazione n. NUMERO_DOCUMENTO.
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma dichiarava l’inammissibilità del ricorso introduttivo, decisione confermata dal giudice d’appello, il quale accertava che la cartella di pagamento sottesa era stata regolarmente e tempestivamente notificata ad opera dell’agente della riscossione, avvalendosi a tal fine del servizio postale in forza dell’art. 26 d.P.R. 602/73. La decisione veniva integralmente confermata in appello.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente, affidato a quattro motivi, al quale l’ agente della riscossione ha replicato con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per aver il giudice omesso,
pur espressamente richiesto dall’appellante, di accertare e dichiarare l’intervenuto annullamento dell’atto impugnato ex art. 1, comma 540, della legge. n. 228/2012.
Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 540, della legge. n. 228/2012 ai fini dell’ art. 360, primo comma, n.5, cod. proc. civ., riverberando l’omessa pronuncia -a dire del ricorrente – inevitabilmente nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Il terzo motivo prospetta, ex art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art.1, comma 540, della L. n. 228/2012 e dell’art. 112 cod. proc. civ. in ordine alla domanda di accertamento e dichiarazione dell’intervenuta formazione del silenzio assenso ai sensi dell’art. 1 comma 540 della L. n. 228/2012 formulata dalla Società ricorrente nelle memorie illustrative depositate il 30 maggio 2014.
I tre motivi, connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili.
4.1. In primo luogo, dalla lettura degli atti emerge la tardività della questione della violazione e falsa applicazione dell’art.1, comma 540, della L. n. 228/2012 per formazione del silenzio assenso sulla istanza cautelare sospensiva del 19 aprile 2013 in relazione all’atto impugnato. Infatti, secondo la stessa ricorrente, come si legge a pag.6 del ricorso: «Con memorie illustrative depositate il 30 maggio 2014 (già presenti in atti nel fascicolo di primo grado dell’odierna ricorrente, che per agevolare il compito del relatore si allega nuovamente al presente ricorso al doc. n. 4), la Società evidenziava l’intervenuta formazione – in data 25 novembre 2013 – del silenzio assenso di cui all’art. 1, comma 540 L. n. 228/212 sull’istanza di sospensione proposta (in relazione all’atto di pignoramento presso terzi n. 097 2013 NUMERO_CARTA ed alla sottesa cartella di pagamento».
Tale domanda doveva essere formulata a pena di decadenza nel ricorso introduttivo del giudizio, e non poco prima della discussione il
13 giugno 2014 e decisione della controversia con sentenza depositata il 16 giugno 2014.
4.2. In ogni caso, la prospettazione di parte è anche radicalmente infondata nel merito.
La ricorrente richiama la disciplina della procedura introdotta dall’art. 1, commi 537 e ss., L. n. 228/2012, la quale prevede la possibilità di richiedere, entro novanta (ora sessanta) giorni dalla notifica dell’atto esattivo o di un atto della procedura cautelare o esecutiva eventualmente intrapresa, la sospensione immediata delle procedure di riscossione ad Equitalia o agli enti e società incaricati della riscossione dei tributi se ricorre una delle condizioni ostative del credito azionato previste dall’art. 1, alle lettere da a) a f), comma 538, della Legge n. 228/2012.
All’atto della ricezione della dichiarazione, l’agente della riscossione deve sospendere immediatamente la procedura e, entro i dieci giorni successivi, deve inoltrare l’istanza all’ ente creditore sul quale grava l’onere del riscontro puntuale delle circostanze allegate. Decorso il termine di ulteriori sessanta giorni, l’ ente impositore è tenuto, con propria comunicazione, a confermare al contribuente la correttezza dell’apparato probatorio prodotto, ovvero ad avvertirlo della inidoneità della stessa.
Continua la ricorrente, nel caso in cui l’ ente impositore ometta l’invio delle già menzionate comunicazioni e dei conseguenti flussi informativi, il comma 540 prevede che, trascorso inutilmente il termine di duecentoventi giorni dalla data di presentazione della dichiarazione del debitore al concessionario della riscossione, le partite sono annullate, con l’automatico discarico dei relativi ruoli e la eliminazione dei corrispondenti importi dalle scritture patrimoniali del medesimo. Nel caso di specie, è pacifico il fatto che il 19 aprile 2013 l’RAGIONE_SOCIALE avvalendosi di detta procedura, ha presentato all’Equitalia Sud S.p.a. relativamente a ll’ atto di pignoramento, contenente le pretese creditorie oggetto dell’intimazione di pagamento per cui è causa, un’ istanza di sospensione ex art. 1, comma 537 e ss., della
L. n. 228/2012 ai sensi delle lett. a) e f) dell’a rt. 1, comma 538, della L. n. 228/12.
Poiché tale istanza, secondo la società, non è stata riscontrata né dall’ente impositore né dall’Agente della Riscossione nei termini di legge, ai sensi del successivo comma 540, si sarebbe consolidato il ‘silenzio -assenso’ di cui al sopra citato art. 1, comma 540, L. n. 228/212 con conseguente annullamento di diritto dei crediti oggetto del pignoramento e, dunque, anche del credito per cui pende il presente giudizio.
Con riferimento alle istanze inviate in data 13 marzo 2013, l’ultimo dei duecentoventi giorni disponibili per rispondere sarebbe stato il 19 ottobre 2013 mentre, con riferimento all’istanza inviata in data 19 aprile 2013, l’ultimo giorno utile sarebbe stato il 25 novembre 2013.
4.3. La prospettazione complessiva della società non può trovare accoglimento, alla luce della giurisprudenza della Sezione (v. Cass. Sez. 5, sentenza n. 28354 del 05/11/2019). In tema di riscossione delle imposte, qualora il contribuente presenti domanda di sospensione ex art. 1, comma 538, della l. n. 228 del 2012 senza ottenere risposta dall’Agenzia delle entrate entro il termine di 220 giorni previsto dal comma 540 del cit. art. 1 (come modif. dall’art. 1 del d.lgs. n. 159 del 2015), il ruolo è annullato di diritto solo qualora i motivi posti a fondamento dell’istanza costituiscano cause potenzialmente estintive della pretesa tributaria. Il Collegio condivide tale principio di diritto e, non solo va considerata anche una risposta tardiva, ma l’effetto di annullamento non può che dipendere dal contenuto delle istanze che, altrimenti, finirebbero per essere meramente strumentali e defatigatorie.
4.4. Infatti, in tema di riscossione mediante ruolo (cfr. Cass. Sez . 5, ordinanza n. 10939 del 23/04/2024, al contribuente è riconosciuta la facoltà di presentare istanza di sospensione finalizzata ad ottenere l’annullamento d’ufficio della pretesa creditoria, se azionata
in difetto di un valido titolo esecutivo, con l’obiettivo di salvaguardare il principio di economicità dell’azione impositiva e rimediare ai difetti di comunicazione tra l’ente creditore e l’agente della riscossione. Ne deriva che sono idonee a tale scopo soltanto le ipotesi di sospensione tipizzate all’art. 1, comma 538, lett. a) – f), della l. 228 del 2012, come modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 159 del 2015, in quanto riferibili all’ente impositore o al suo credito, non già ad attività dell’agente della riscossione, al quale resta comunque demandata una delibazione sommaria delle istanze al fine di rigettare quelle apertamente dilatorie.
Con il quarto motivo viene prospettata, in relazione all’ art. 360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 7, comma 2, della L. n. 212/2000 e 112 cod. proc. civ., per non essersi il giudice pronunciato sulla questione.
La ricorrente rende noto di aver dedotto, sin dal primo grado di giudizio, la difformità del provvedimento notificato rispetto all’archetipo delineato dall’art. 7, comma 2, della L. n. 212/2000. Alla stregua del disposto l’ agente della riscossione deve tassativamente indicare: a) l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento; b) l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela; c) le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili (cfr. pp. 14-15 del ricorso introduttivo).
Con successivo atto d’appello la società ha dedotto l’illegittimità della sentenza per non aver i giudici rilevato gli ulteriori vizi degli atti impugnati, quali l’omessa indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e del responsabile del procedimento dell’intimazione (pp. 13-15 dell’atto di appello).
La censura è inammissibile, poiché la ricorrente non ha riprodotto l’atto notificato come necessario (Cass. Sez. 5, ordinanza n. 31038 del 30/11/2018) e funzionale alla comprensione del motivo
e, quindi, non consente alla Corte di valutare la decisività della censura.
7. Il ricorso è conclusivamente rigettato. Le spese di lite sono regolate come da dispositivo e seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in euro 5.800,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9.10.2024