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Silenzio assenso: quando il debito si annulla?

Una società si oppone a un avviso di intimazione, sostenendo l’annullamento del debito per silenzio assenso a seguito di una sua istanza di sospensione. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo che il silenzio assenso non è automatico, ma richiede una dichiarazione del contribuente basata su motivi specifici e tassativi previsti dalla legge, che nel caso di specie non erano stati indicati. La Corte ha ritenuto infondati anche gli altri motivi relativi a presunti vizi dell’atto di intimazione.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Silenzio Assenso: La Cassazione Chiarisce i Limiti per l’Annullamento dei Debiti Fiscali

Il meccanismo del silenzio assenso rappresenta uno strumento di semplificazione nei rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione, ma la sua applicazione in materia tributaria è soggetta a condizioni rigorose. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui presupposti necessari affinché l’inerzia dell’ente creditore possa portare all’annullamento automatico del debito, sottolineando che non ogni istanza del contribuente è idonea a innescare tale effetto.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore automobilistico ha impugnato un avviso di intimazione per un debito di oltre 142.000 euro. Il ricorso era fondato su diversi motivi, tra cui la presunta omessa notifica della cartella di pagamento originaria e, soprattutto, l’avvenuta formazione del cosiddetto silenzio assenso.

La società sosteneva che, avendo presentato un’istanza di sospensione della riscossione ai sensi della Legge n. 228/2012, la mancata risposta dell’agente della riscossione e dell’ente creditore entro il termine di 220 giorni avrebbe dovuto comportare l’annullamento automatico del debito. La Commissione Tributaria Regionale, tuttavia, aveva rigettato l’appello, considerando la questione del silenzio assenso come una domanda nuova e inammissibile, e ritenendo tardivo il ricorso originario in quanto la cartella presupposta era stata notificata anni prima.

La questione del silenzio assenso e la decisione della Cassazione

Il cuore della controversia portata dinanzi alla Corte di Cassazione riguardava l’interpretazione e l’applicazione delle norme sul silenzio assenso per l’annullamento dei carichi affidati all’agente della riscossione. La ricorrente lamentava che i giudici di merito avessero erroneamente qualificato la sua argomentazione come domanda nuova, violando le regole processuali e omettendo di pronunciarsi su un punto decisivo.

La Corte Suprema ha affrontato la questione in modo sistematico, rigettando i motivi di ricorso ma correggendo la motivazione della sentenza d’appello.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha chiarito che l’annullamento del debito per silenzio assenso, previsto dalla Legge n. 228/2012, non scaturisce da una qualsiasi istanza del contribuente, ma è l’esito di una ‘fattispecie a formazione progressiva’ che richiede il rispetto di precisi passaggi:

1. Presentazione di una dichiarazione specifica: Il contribuente deve presentare una dichiarazione all’agente della riscossione documentando che le somme richieste sono interessate da una delle cause di inesigibilità tassativamente elencate dalla legge (art. 1, comma 538, L. 228/2012). Queste includono, tra le altre, la prescrizione o decadenza del credito, un provvedimento di sgravio, una sospensione giudiziale o amministrativa, o un pagamento già effettuato.
2. Inclusione in una delle ipotesi di legge: La situazione rappresentata dal debitore deve rientrare in uno dei casi specificamente previsti dalla normativa.
3. Inutile decorso del termine: Deve trascorrere il termine di 220 giorni dalla presentazione della dichiarazione senza che l’ente creditore comunichi all’agente della riscossione un provvedimento di conferma del debito o di inidoneità della documentazione.

Nel caso specifico, la società ricorrente si era limitata a invocare l’avvenuta formazione del silenzio assenso senza però specificare, né in primo grado né in Cassazione, quale delle ipotesi di legge legittimasse la sua richiesta di sospensione e il conseguente annullamento. La sua istanza era generica e non ancorata a uno dei presupposti richiesti dalla norma.

La Corte ha quindi concluso che, in assenza di una dichiarazione circostanziata e fondata su uno dei motivi tassativi, il meccanismo del silenzio assenso non poteva operare. Di conseguenza, i primi tre motivi di ricorso sono stati ritenuti infondati.

Inoltre, la Cassazione ha respinto anche le censure relative ai presunti vizi propri dell’avviso di intimazione, rilevando che i giudici di merito avevano correttamente esaminato e ritenuto infondate le contestazioni sulla motivazione dell’atto e sull’indicazione del responsabile del procedimento.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: il silenzio assenso che porta all’annullamento del debito fiscale non è un rimedio automatico e generalizzato. Per attivarlo, il contribuente ha l’onere di presentare una dichiarazione completa e specifica, indicando e documentando una delle precise cause di estinzione o inesigibilità del credito previste dalla legge. Una richiesta generica di sospensione non è sufficiente a far scattare l’effetto estintivo. Questa decisione rafforza la necessità di diligenza e precisione da parte dei contribuenti e dei loro difensori nell’utilizzare gli strumenti di tutela offerti dall’ordinamento.

Che cos’è il ‘silenzio assenso’ nella riscossione dei tributi?
È un istituto giuridico in base al quale, se un contribuente presenta una dichiarazione all’agente della riscossione per contestare un debito sulla base di motivi specifici previsti dalla legge (es. prescrizione, pagamento già avvenuto), la mancata risposta dell’ente creditore entro 220 giorni comporta l’annullamento automatico di quel debito.

Perché nel caso esaminato la richiesta di annullamento per silenzio assenso è stata respinta?
La richiesta è stata respinta perché la società contribuente non ha specificato su quale dei motivi tassativamente previsti dalla legge (art. 1, comma 538, L. 228/2012) si basasse la sua istanza di sospensione. La Corte ha chiarito che una richiesta generica, non ancorata a una delle cause legali, non è idonea a far scattare il meccanismo del silenzio assenso.

È possibile contestare in giudizio solo i vizi di un avviso di intimazione senza contestare la cartella di pagamento precedente?
Sì, è possibile. In questo caso, la Corte ha esaminato anche i motivi di ricorso relativi a vizi propri dell’avviso di intimazione (come difetto di motivazione o mancata indicazione del responsabile). Tuttavia, ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente valutato e respinto anche tali contestazioni, giudicando l’atto legittimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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