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Sgravio fiscale non è acquiescenza: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32490/2024, ha chiarito un punto cruciale del processo tributario: lo sgravio fiscale di una cartella di pagamento, disposto dall’Agenzia delle Entrate dopo una sentenza di primo grado favorevole al contribuente, non costituisce acquiescenza. Tale atto, motivato dalla volontà di evitare ulteriori spese esecutive, non fa venir meno l’interesse dell’Amministrazione a proseguire il giudizio d’appello. Di conseguenza, la Corte ha annullato la decisione che dichiarava cessata la materia del contendere, rinviando la causa per un nuovo esame nel merito.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Sgravio fiscale post-sentenza: non significa che il Fisco si è arreso

Quando un contribuente vince una causa tributaria in primo grado e, di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate annulla la cartella di pagamento, è facile pensare che la battaglia sia finita. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda che non è così. Il provvedimento di sgravio fiscale emesso in pendenza di appello non equivale a un’ammissione di sconfitta da parte dell’Amministrazione finanziaria. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I fatti del caso: dalla cartella di pagamento all’appello

Una società a responsabilità limitata si era vista notificare una cartella di pagamento per IVA non corrisposta, emessa a seguito di un controllo automatizzato sulla dichiarazione dei redditi. La società ha impugnato l’atto davanti alla Commissione Tributaria Provinciale, che le ha dato ragione annullando la cartella.

Successivamente, l’Agenzia delle Entrate ha proposto appello. Nel frattempo, però, in conseguenza della sentenza di primo grado sfavorevole, la stessa Agenzia ha emesso un provvedimento di “sgravio”, ossia ha formalmente cancellato il debito. Forte di questo atto, la società contribuente ha sostenuto in appello che la controversia fosse ormai chiusa.

La decisione dei giudici d’appello

La Commissione Tributaria Regionale ha accolto questa tesi, dichiarando la “cessazione della materia del contendere”. Secondo i giudici di secondo grado, lo sgravio della cartella, unito alla mancata contestazione sul punto da parte dell’Agenzia, dimostrava una volontà comune di porre fine al giudizio. In pratica, l’atto di sgravio è stato interpretato come una tacita accettazione (acquiescenza) della sentenza di primo grado.

Il ricorso in Cassazione e il principio dello sgravio fiscale

L’Agenzia delle Entrate non ha accettato questa interpretazione e ha presentato ricorso in Cassazione. Il motivo principale del ricorso era la violazione di legge: sostenere che lo sgravio fiscale equivalesse ad acquiescenza era un errore giuridico. L’Amministrazione ha chiarito che tale atto non faceva venir meno il suo interesse a continuare il giudizio d’appello per ottenere una riforma della prima sentenza.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dato pienamente ragione all’Agenzia delle Entrate, accogliendo il ricorso. Gli Ermellini hanno ribadito un principio già consolidato nella loro giurisprudenza (citate le sentenze n. 28976/2019 e n. 6334/2016): l’integrale sgravio del ruolo, disposto dopo una sentenza di primo grado favorevole al contribuente, non comporta acquiescenza alla sentenza.

La Corte ha spiegato che questo comportamento non è una resa, ma può essere fondato sulla semplice volontà di evitare ulteriori spese. Proseguire con l’esecuzione forzata sulla base di un titolo annullato in primo grado esporrebbe l’Amministrazione al rischio di dover pagare le spese di precetto e degli altri atti esecutivi, qualora la sentenza venisse confermata in appello. Lo sgravio è, quindi, un atto prudenziale e gestionale, che non incide sul diritto dell’Agenzia di contestare nel merito la decisione a lei sfavorevole.

Le conclusioni

La sentenza impugnata è stata cassata e la causa è stata rinviata alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado per un nuovo esame. La lezione pratica per i contribuenti è chiara: non bisogna mai abbassare la guardia. Un provvedimento di sgravio fiscale ricevuto dopo una vittoria in primo grado è certamente una buona notizia, perché blocca ogni azione esecutiva, ma non segna la fine del contenzioso. L’Amministrazione Finanziaria conserva pienamente il suo diritto di appellare la sentenza e, se l’appello viene accolto, il debito può tornare a esistere.

Se l’Agenzia delle Entrate emette uno sgravio fiscale dopo una mia vittoria in primo grado, significa che ho vinto definitivamente la causa?
No. Secondo la Corte di Cassazione, lo sgravio non implica un’accettazione della sentenza (acquiescenza). L’Agenzia può comunque proseguire con il giudizio d’appello per tentare di ribaltare la decisione.

Perché l’Amministrazione finanziaria emette uno sgravio se intende comunque continuare la causa?
Lo fa per motivi prudenziali ed economici. Emettere lo sgravio serve principalmente a evitare di dover sostenere le eventuali ulteriori spese legate agli atti di esecuzione forzata (come il precetto), nel caso in cui la sentenza di primo grado venisse confermata anche in appello.

Cosa ha deciso la Corte di Cassazione in questo caso specifico?
La Corte ha annullato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che aveva dichiarato la fine del processo. Ha stabilito che lo sgravio non faceva venir meno l’interesse dell’Agenzia a proseguire l’appello e ha quindi rinviato la causa ai giudici di secondo grado per una nuova decisione sul merito della controversia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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